“Juve-Napoli. Romanzo popolare” di Darwin Pastorin e Vincenzo Imperatore: due amici con fedi calcistiche diverse
“Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris/ Nescio, sed fieri sentio et excrucior”
“Odio e amo; perché io faccia ciò, forse mi chiedi./ Non lo so, ma sento che accade e ne sono tormentato” – Catullo
Oggi voglio parlarvi di un libro sul calcio che però, come recita la quarta di copertina del volume stesso, «piacerà anche ai non amanti del pallone. Perché, in queste pagine, si parla dei vita, di sogni, di illusioni, di conquiste, di avventure, di letteratura». Il libro si intitola “Juve-Napoli. Romanzo popolare“ ed è stato scritto a quattro mani da Darwin Pastorin e Vincenzo Imperatore e le parole sopra citate sono tratte dall’introduzione congiunta dei due autori, tra loro profondamente amici.
Ma chi sono costoro?
Darwin Pastorin, italiano e brasiliano, è un giornalista sportivo di lungo corso, di fede juventina mentre Vincenzo Imperatore, napoletano sia come cittadino che come tifoso, è un esperto di economia e di finanza, collabora con il Fatto Quotidiano e conduce su Radio Amore un programma di informazione finanziaria; ultimamente è spesso ospite di Myrta Merlino nel suo L’Aria che Tira su La 7 in qualità di consulente in materia di banche; inoltre è molto attivo su Linkedin.
Pastorin e Imperatore sono l’esempio vivente di come si possa essere amici nonostante si appartenga a fedi calcistiche diverse, anzi opposte. Infatti Juve e Napoli incarnano due club antitetici perché antitetici sono i valori che si attribuiscono ai tifosi dell’una e dell’altra squadra. Nella società italiana, storicamente divisa tra Nord e Sud, la rivalità calcistica Juve Napoli si fa, pertanto, metafora del contrasto tra Torino e Napoli, Savoia e Borboni, Nord e Sud, efficienza e inefficienza, rigore e lassismo, austerità mentale e brio, freddo e caldo.
Pubblicato nel maggio 2018 per Aliberti, il testo è stato composto nell’arco degli otto mesi precedenti. Esso è organizzato come una sorta di romanzo epistolare i cui scrittori si alternano in un dialogo cui è sempre sotteso un forte affetto reciproco. Dopo l’introduzione congiunta, significativamente intitolata con Precampionato, e dal carattere programmatico, il libro consta di tre parti a loro volta intitolate ciascuna “a tema” rispettivamente Girone d’andata, Girone di ritorno, Terzo tempo. La prima si dispiega in tre capitoli ciascuno dei quali sdoppiato in due sottocapitoli in modo che ciascuno dei due autori possa dire la sua su La prima volta allo stadio, La delusione più grande, Il giorno indimenticabile.
La seconda parte, invece, consta di cinque capitoli; i primi due costituiscono una sorta di scambio di ruoli fra i due scrittori: infatti inizialmente Imperatore scrive cosa rappresenti per lui la Juve (titolo esatto La Juve per me), subito dopo è Pastorin a raccogliere il testimone mostrando al lettore cosa rappresenti per lui il Napoli (titolo Il Napoli per me); seguono poi altri quattro capitoli ancora sdoppiati e denominati rispettivamente: Vivere lo studio, La settimana del tifoso: riti, cerimoniali e superstizioni, Il mio idolo, Epos della passione: storie diventate leggende. Anche in questi capitoli ciascuno dei due scrittori affronta, a turno, la tematica imposta dal titolo.
Infine, cosa non concessa al calcio giocato, ma concessa al calcio romanzato è un Terzo tempo in cui si realizza in modo esplicito quel romanzo epistolare evidente tutto il resto del libro pieno di rimandi reciproci tra i due scrittori; tuttavia è solo in questa sezione che troviamo due capitoli redatti a mo’ di lettere; seguono, infine, i ringraziamenti.
Anche per non togliere al lettore il piacere della sorpresa, mi soffermerò su alcuni dei molti argomenti del libro.
Innanzitutto meritano attenzione il punto di vista di Pastorin e di Imperatore nei confronti del calcio. Entrambi, lo richiamo, sono professionisti di successo, apprezzati per le loro competenze. Tuttavia, nella loro vita privata, sono dei tifosi.
E la parola tifo, ricordano proprio i due autori citando a loro volta Giovanni Arpino «deriva dal greco e significa “nebbia”. Per questo gli appassionati, di questa o quella squadra, sono “annebbiati”. Ma ciò non deve cancellare la ragione e l’ironia, il saper prendere il gioco così com’è, soprattutto quando la partita finisce».
Incuriosita da questa etimologia, apro il mio vecchio caro vocabolario della lingua greca (che non mi tradisce mai!) e vado alla voce typhos: il lemma è chiosato con i seguenti sostantivi: “illusione”, “affettazione”, “vanità”, “boria”, “svago superficiale”. In effetti essi possono essere accostati, per metafora, alla fumosità della nebbia. E il dizionario non fallisce in questo perché rimanda al verbo typho, di cui vado a leggere i significati: “mandare fumo”, “fumare”, “consumare nel fumo”, “bruciare lentamente”. E tra typhos e typho il dizionario colloca un altro verbo, typhoo che vuol dire “gonfiare”, “illudere”, e in senso passivo “essere illuso”, “reso folle”.
Confermata l’idea del tifo come qualcosa che, mandando in fumo la mente, la annebbia nel senso che la rende quasi folle. Questo sì che è il massimo dei piaceri! Le citazioni e le varie “elucubrazioni semantiche” poco sopra riportate mi confortano, inoltre, sul fatto che il mio continuo accostamento tra calcio e greco non è poi del tutto sconsiderato, se il calcio mutua il suo linguaggio tecnico proprio dal greco. Ma del resto, per citare un libro recente, non siamo tutti greci? E questa è solo una chicca. Attendetevene altre!
Per quanto concerne il contenuto della citazione, poi, esso vale forse ancora di più per un giornalista sportivo che dovrebbe, per etica del lavoro, essere il più obiettivo possibile nel commentare le partite sportive un po’ come si chiede ai giornalisti tout-court. Ma non è semplice, perché l’uomo è innanzitutto un animale e certe passioni, ad esempio il calcio e la politica, possono essere davvero travolgenti.
Vorrei citare a tal proposito due esempi. Lo scorso 18 settembre c’è stato uno scontro valido per la Champions League tra Inter e Tottenham che si è risolto positivamente per l’Inter solo allo scadere della gara. La telecronaca di Sky Tv di questo match è stata affidata a Riccardo Trevisani e Daniele Adani, rispettivamente giornalista sportivo ed ex-calciatore diventato poi commentatore tecnico. Ebbene i due, proprio sul finire della partita, si sono lasciati andare ad un’esultanza a dir poco di parte ed esuberante, tanto che sono stati oggetto di critica, nonostante il carattere senza dubbio divertente della loro performance. Tuttavia, calati nel loro ruolo tecnico, avrebbero dovuto mantenere un atteggiamento più sobrio e non farsi “annebbiare” dalla loro presunta fede calcistica per una squadra italiana perché in quel momento, nella loro veste ufficiale, descrivevano la partita per tutti e non solo per gli interisti e/o per un pubblico italiano. Un modello positivo è fornito in tal senso proprio da Pastorin, tifoso della Juve, ma firma di Tuttosport, di fatto l’organo del Torino.
L’altro esempio mi è fornito dalla gentile testimonianza di un edicolante che conosco e che ringrazio. Ebbene, parlando, egli mi ha riferito che per chi svolge questo lavoro può costare caro esporsi sia calcisticamente sia politicamente, a tal punto che il cliente può cambiare edicola solo per “vendicarsi” di qualcuno che si è permesso di pensarla diversamente in merito al calcio e/o alla politica. Per chi ascolta o legge questa storia dall’esterno, essa appare incredibile se non assurda, eppure i fatti sono questi perché c’è di mezzo una forza completamente irrazionale come il tifo, per l’appunto.
Essa, tuttavia, «non deve cancellare la ragione e l’ironia, il saper prendere il gioco così com’è, soprattutto quando la partita finisce […] Abbiamo, giornata dopo giornata, indossato le nostre divise, il bianconero e l’azzurro, vivendo le nostre rispettive squadre del cuore con passione, applausi, imprecazioni. Chi ci ha visto può confermarlo: diventiamo, ma per davvero, due bambini. Poi, ritorniamo adulti. Professionisti ammirati e rispettati nei rispettivi mestieri». Cito sempre dall’introduzione congiunta. Ed è sempre nel segno della razionalità che, al limite, è possibile «spiegare, seppur parzialmente, il valore del tifo».
Come? Mediante la “memoria”, facoltà attraverso la quale i nostri due amici impostano la scrittura dei successivi capitoli, tutti costruiti infatti come narrazione della loro epopea personale vissuta da appassionati di calcio e di quella delle squadre di cui, a partire dall’infanzia, sono sostenitori. E la memoria, ovvero la facoltà delle mente che consente di testimoniare il passato calcistico, la materia viva del legame tra Pastorin e Imperatore, è essa stessa qualcosa a metà tra il razionale e l’irrazionale; la Memoria, che i Greci si figuravano come una Dea (Mnemosyne), è la madre delle Muse, ovvero delle dee che sovrintendono le attività dell’intelletto umano come la poesia e la storia.
E infatti, scrivono ancora Darwin e Vincenzo nella loro presentazione: «Il calcio, vogliamo dimostrare, è poesia […] Perché l’incantesimo ricomincia, ogni volta, al fischio iniziale dell’arbitro. E in quel tempo, epico, omerico, fanciullo, tutto si ferma: Eupalla non permette distrazioni». A tal punto il calcio mutua il proprio linguaggio specifico dal greco che non solo tale sport viene qualificato con gli aggettivi della poesia epica, ma addirittura il suo lessico viene talora costruito per analogia con i nomi della mitologia greca. Così sulla scia di una della Muse, Euterpe, viene coniato Eupalla, formato dal prefisso eu che in greco significa “bene” e dal sostantivo palla: come Euterpe è “colei che rallegra bene” (dal greco eu e terpein, “rallegrare”). Eupalla è la “bella palla”, ovvero la dea protettrice del gioco del calcio, una sorta di decima Musa. Altra chicca tesa a spiegare questa mia insana mania di voler mettere per forza insieme calcio e mondo greco.
Andando ai capitoli narrativi, mi soffermerò solo su alcuni di essi, lasciando gli altri alla scoperta autonoma dei lettori.
E così, se per Vincenzo la prima volta allo stadio ha coinciso solo e soltanto con l’esperienza vissuta per vedere il Napoli, per Darwin vanno distinte rispettivamente “una prima volta in Brasile” e “una prima volta in Italia per la Juve”. Infatti, mentre Imperatore ha tifato sempre solo per il Napoli, Pastorin è figlio di una famiglia veneta emigrata in Brasile; nato a San Paolo, grazie allo ius soli presente nel Paese sudamericano, gode della doppia cittadinanza, quella brasiliana e quella italiana. Sullo ius soli avrei tanto da scrivere, ma mi riprometto di farlo nel corso di un altro articolo limitandomi qui ad affermare che mi sembra una regola di civiltà, assolutamente da estendere anche in Italia. Lo hanno inventato i Romani, ovvero i nostri antenati: glielo dobbiamo per devozione e per rispetto!
Inoltre, essendo nato Pastorin nel 1955, se confrontiamo il Brasile di quegli anni con quello attuale in cui le ultime elezioni sono state vinte da un leader come Jair Bolsonaro non c’è assolutamente partita. Su questo personaggio (dichiaratamente contro i gay, i neri e le donne) si è espresso il mio caro Andrea Scanzi, ma anche il bravissimo giornalista Giancarlo Loquenzi, conduttore di Zapping su Radio Uno, in un suo articolo apparso sul settimanale femminile Grazia (numero 46, 1.11. 2018).
Ebbene Pastorin conobbe come prima fede calcistica quella per la squadra brasiliana del Palmeiras; successivamente, quando la sua famiglia rientrò in Italia nel 1961 e si stabilì a Torino, Darwin iniziò a tifare Juve per imitazione del fratello che, iscrittosi al Liceo classico, era divenuto juventino perché «venne catturato dal nome latino. Cosa che gli permetteva di fare bella figura, anche fuori dai banchi». Trovo assolutamente riscontro di queste parole nella mia esperienza quotidiana a scuola, in cui spesso mi diverto a dire ai miei alunni che frequentare il Classico dà una marcia in più quando si vuol fare bella figura con i coetanei perché comunicare qualcosa mediante alcune espressioni in greco o latino fa più colpo nel destinatario del messaggio. Ed essi ridono annuendo!
Ebbene Darwin ha sempre continuato a tifare per entrambe le squadre, pur consapevole del rischio di essere giudicato male per questo, sulla scia delle seguenti parole pronunciate da Edoardo Galeano: “Un uomo, nella sua vita, può cambiare moglie, idea politica, religione, persino il sesso, ma non la squadra amata. Guai a farlo”. In realtà, però, spiega Pastorin, il suo caso è effettivamente diverso. Non ha cambiato squadra, non ha rinnegato alcuna precedente fede sportiva, ma le ha mantenute entrambe, perché ciascuna adeguata alla situazione specifica che si è trovato a vivere. E, del resto, quanti di noi tifa contestualmente per una squadra di serie A e per una di serie B e/o C spesso radicata nel luogo in cui si vive?
Fra gli altri capitoli di tipo narrativo sono particolarmente degni di considerazione quelli in cui ciascuno dei due autori tratta dell’altra squadra. In particolare mi trovo in perfetta sintonia con quanto espresso da Imperatore sulla Juve: è un club che merita rispetto, benché in modo paradossale. Scrive infatti: «Un fastidioso fascino. Un personalissimo ossimoro racchiude il mio rapporto attuale con la Juventus. Una figura retorica che si è costruita e completata nel corso degli ultimi 40 anni per effetto di una complicata storia di delusioni. Le mie sono legate alla terza generazione della famiglia Agnelli. Hanno disilluso il mio immaginario di profondo ammiratore della società bianconera». Imperatore spiega poi il senso di queste parole precisando di aver ammirato la Juve degli anni Settanta e Ottanta in quanto affascinato dal modello di efficienza incarnato dalla società di quegli anni e dalla qualità dei suoi calciatori. Negli anni 2000, invece, la Juve viene coinvolta in diversi scandali, come ad esempio quello del Doping (2007) e di Calciopoli (2006). Tuttavia, argomenta Imperatore, non sono tanto questi i motivi per cui la squadra torinese lo ha deluso, perché in ciò essa è in buona compagnia. Il motivo della disillusione è, se vogliamo, più piccolo, ma sono appunti i dettagli a fare la differenza: infatti, in seguito a Calciopoli, la Juve, insieme alla retrocessione, vede ridursi a trentaquattro i trentasei scudetti vinti nel corso della sua storia. Tuttavia la società ha proseguito ad attribuirsene trentasei. Ciò ha deluso il nostro Vincenzo Imperatore, che lo ribadisce come segue: «Caro amico mio, la grande delusione è stata invece quella che ho provato per il “nuovo” stile Juve …che, non rispettando le decisioni della magistratura sportiva, si è attribuita anche platealmente gli scudetti revocati. 36, 35 o 34, ma cosa cambia? La verità è che, continuando con questa patetica litania dei 36 scudetti sul campo (e 34 secondo la FIGC), si cerca di ridurre tutto a numeretto, gettando un’ombra tra il fastidioso e il ridicolo sulla dirigenza attuale, che per il resto si sta dimostrando intelligente, abile e di gran lunga la migliore d’Italia e della serie A».
Come dargli torto? Sia da un punto di vista logico che emotivo tali parole colgono nel vivo e non sono il frutto ideologico del tifo inteso come annebbiamento totale della capacità di giudizio critico. Vittime di un tifo irrispettoso sono, per l’appunto, i tifosi juventini che non accettano la sentenza della magistratura, ma anche i tifosi delle altre squadre che “odiano” o “invidiano” (in latino invidia significa “odio”, terza chicca della giornata!) perché troppo forte: è facile invidiare la prima classe, quella sempre precisetta e saccente che sembra essere lì solo per farci sfigurare. Eppure gli anti-juventini possono far leva sul fatto che la Vecchia Signora è la numero uno in Italia perché nel campionato nostrano non ci sono, purtroppo, alternative; invece in Europa la Juve non riesce proprio a vincere la Champions League. Proprio contro questa maledizione, che evidentemente pesa come un macigno sulla squadra e sui tifosi, la società quest’anno ha tentato l’ultima spes, un colpo grandissimo in termini economici, ovvero l’acquisto di Cristiano Ronaldo. Anche qui però: o lo si ama o li odia. Ma questa è un’altra storia.
Interessante è poi il punto di vista di Pastorin sul Napoli che è legato fondamentalmente alla storia personale del cronista sportivo: infatti, sebbene egli abbia origini nel Nord Italia, ricordiamoci che è nato in Brasile, ovvero in una nazione “latina”, come il nostro Sud e questo ha certamente inciso nella sua ammirazione per il Napoli, come espresso non soltanto nel capitolo La Juve per me, ma anche in altri all’interno del volume, come in quello dedicato alla settimana del tifoso. E così, se un atteggiamento scaramantico ce lo aspetteremmo da un napoletano doc come Imperatore (si leggano le sue pagine dedicate al tema), meno ce lo aspetteremmo da Pastorin, nato in Veneto e vissuto a Torino, tifoso della Juve; ma Pastorin è anche brasiliano per nascita, ovvero latino, cioè anche lui un po’ napoletano: «E va bene, lo confesso. Ed è la prima volta, pubblicamente. Ci volevi tu, amico Enzo, per portarmi a questo. Senza pudori, senza reticenze. Sì, sono/ero superstizioso. E qui vorrei soffermarmi, ma c’è un capitolo da rispettare, e mi tocca andare avanti. Soprattutto nel calcio sono/ero superstizioso. Maledettamente superstizioso. Anche perché i riti, diciamolo, non servono a niente. Perché la mia Juve avrebbe vinto più Champions League e il tuo Napoli più di due scudetti. Ma, poi, ci cadiamo sempre. Perché io sono un oriundo italo-brasiliano e tu un napoletano. E sappiamo benissimo, come vanno certe faccende…».
Attraverso la lettura del libro, inoltre, emerge anche qual era la modalità in cui gli italiani seguivano le partite di calcio ‒ prima dell’avvento della Tv nella narrazione calcistica ‒ quando la loro squadra era in trasferta (nel caso in cui non si abitasse nella città sede di quella squadra) o anche, più in generale, quando/se non si poteva andare allo stadio. Ebbene, l’unica possibilità era seguire il calcio alla radio, ascoltando lo storico programma di Radio Uno Tutto il calcio minuto per minuto. Programma che ancora esiste e che ancora oggi o meglio soprattutto oggi, consente a tutti ma proprio a tutti, di partecipare di tutto il calcio, resistendo di fatto alla competizione imposta delle Pay tv. Rimando al mio primo articolo per Oubliette dedicato al calcio per le mie idee sul rapporto tra calcio e radio (potete leggerlo cliccando QUI).
Tornando al nostro libro, vorrei chiudere soffermandomi sul Terzo Tempo in cui trova esito pieno il progetto e l’impianto narrativo iniziale. Ciò avviene, lo ribadisco, mediante due lettere che i due autori si inviano esplicitamente (con tanto di «Caro Darwin/Caro Vincenzo» in incipit) al termine di una narrazione in cui è pur sempre stato costante il dialogo reciproco mediante richiami e l’uso della seconda personale singolare dei verbi e del pronome (sottinteso) “tu”. A conclusione di tale conversazione, si realizza e si porta a compimento il romanzo nel romanzo: quello epistolare fra i nostri due amici all’interno di quello fra Juve e Napoli. Come in molti altri casi della letteratura, la scrittura ha avuto un ruolo fondamentale perché, mediante la “corrispondenza d’amorosi sensi” fra le nostre due anime belle, si sono appianati simbolicamente i dissidi fra due società che, ancora oggi, stentano a rispettarsi come risulta palese, durante gli scontri diretti nei quali si assiste molto spesso ai vergognosi cori razzisti da parte della società bianconera contro quella azzurra. Infatti il momento della scrittura dell’ultima sezione del testo, maggio 2018, coincide con la fine del campionato 2017/2018. Vincenzo riconosce a Darwin il merito della Juve e ammette il valore catartico che la scrittura, avviata circa otto mesi prima, ha avuto per lui: «Per me è stato terapeutico. Non solo perché mi ha permesso di apprezzare la tua sensibilità narrativa, specchio di una nobile anima, ma soprattutto perché mi ha consentito di curare le piaghe del lutto sportivo derivante dalla ennesima stagione con “zero tituli”». Inoltre, altra cosa fondamentale, «molto spesso si vince anche arrivando secondi». E non è una frase fatta, ma l’attestazione orgogliosa da parte di un tifoso che ha visto il Napoli, negli ultimi anni, vincere trofei ben più importanti di quelli che assegna il campo: infatti, prosegue l’autore che tra questi trofei “uno dei più importanti della gestione societaria del Napoli è stato ad esempio quello di avere completamente rotto qualsiasi rapporto con ogni tipo di ambiente criminale, sottraendosi ai ricatti che hanno sempre caratterizzato in passato il rapporto tra il Napoli calcio e una parte “deviata” della tifoseria”. A sua volta Darwin riconosce il valore della Juve in Italia e la maledizione della Champions, cercando di consolare l’amico per il sogno sfumato degli azzurri, proprio nella fase conclusiva del campionato appena trascorso, di vincere finalmente lo scudetto. Occorre infatti ricordare che durante la passata stagione il Napoli ha saputo tenere testa alla Juve, addirittura vincendo la scontro diretto del 22 aprile. Che emozione anche per me quella sera! Ricordo che ero andata a teatro, nella mia meravigliosa Ascoli Piceno, a vedere uno spettacolo del bellissimo Lino Guanciale e all’uscita scoprii, nell’aria leggera e profumata della primavera, prima che i partenopei avevano pareggiato, poi addirittura vinto. Tuttavia si trattava di un’emozione che sarebbe poi costata cara al Napoli: nella città ormai si respirava aria di vittoria dell’intero campionato, ma ben presto quella “guastafeste” della Juve (che ha il vizio/difetto di crederci sempre fino alla fine) ha saputo riprendersi il primato fino a vincere il settimo scudetto consecutivo.
Scrive Pastorin «Posso immaginare la tua delusione, con quel “Sogno a portata di mano” a una manciata di giornate dal termine. Ricordi? Tu eri scettico, io invece vedevo gli azzurri, soprattutto dopo la vittoria a Torino, allo Stadium, ormai a un passo del terzo scudetto, il primo post-maradoniano. Eupalla, tra certezze e polemiche, il miele e il fiele ha deciso diversamente. Ma niente toglie al valore assoluto della squadra di Sarri: tutto è, di nuovo, rimandato alla prossima stagione. Anche se prevedo molti cambiamenti in entrambe le squadre».
Lette a posteriori, queste parole hanno un che di profetico: i cambiamenti in entrambe le squadre ci sono stati eccome! Nel club juventino è arrivato CR7 e sulla panchina partenopea c’è ora Ancelotti, per questo si veda andando al link contenente il mio secondo contributo sul calcio per Oubliette, cliccando QUI.
Nell’incipit del mio articolo riferivo che, per ammissione degli stessi autori, il libro avrebbe interessato anche i non appassionati di calcio. Effettivamente lo sport caro ad Eupalla viene sempre e in ultima analisi interpretato dai nostri due reporter come metafora della vita. Infatti, nell’impianto narrativo del testo, rimane sempre evidente che in fondo si sta parlando “solo” di calcio, ovvero «della cosa più importante tra le cose non importanti»
Visto che si parlava di calcio e vita, vorrei citare due ricordi personali che mi legano al calcio.
Dichiaro di essere milanista, ma al contempo profondamente “anti-juventina” per un verso e “filo-napoletana” per un altro. Il perché di questa mia bipolarità? Assolutamente dovuto all’aspetto più passionale e istintivo della patologia del tifo, ovvero all’aspetto più profondamente associato alla vita.
Per colpa di una delusione affettiva sono anti-juventina: tutto il mito che ancora oggi ci costruisco sopra deriva da lì, nonostante non mi interessi più nulla di quella persona; grazie ad un grande amore, invece, simpatizzo per il Napoli. Ho avuto modo di vivere nella Nea polis per un anno per motivi di studio e di ricerca. Erano i tempi in cui la squadra, in seguito all’arrivo di De Laurentiis come presidente, cominciava a recuperare dignità e credibilità. Ebbene, frequentando la città nei sabati pomeriggio degli anticipi sportivi, ho ammirato il modo in cui i napoletani vivono il calcio: un evento capace di paralizzare l’intera comunità, non solo allo stadio, ma anche nel centro storico. Ovunque andassi, erano tutti a sentire le radioline. Ricordo in particolare un episodio: entro in uno di quei fantastici negozi polivalenti che si trovano solo a Napoli (e guai a dire che i napoletani non hanno voglia di lavorare, perché sono invece dei maestri nel sapersi inventare un lavoro dal niente!) e che fungeva da parrucchieria e centro estetico; appena entro gli azzurri segnano e la radio lo comunica; il proprietario mi fa: «Vi prego, tornate indietro ed entrate di nuovo!», invitandomi cioè a reiterare un gesto che lui aveva recepito come magico! Insieme all’amore per il calcio, i napoletani mi hanno insegnato a diffidare dai baristi (poco accoglienti) che non ti versano l’acqua non appena hai ordinato un caffè e a concedermi lunghe passeggiate terapeutiche a Mergellina! Grazie città del Sole, sei stata per la mia vita un vero miracolo!
Ad maiora
Written by Filomena Gagliardi
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Sito Compagnia Editoriale Aliberti
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