“Arrivederci Emilia” di Daniele Castellani: e fu così che dai nostri eroi non imparammo niente
Cantante, chitarrista e compositore, Daniele Castellani inizia a muovere i suoi primi passi con diverse formazioni di cui si sono perse le tracce soprattutto cercando e ricercando sul web.

Eppure, ricordando personalmente i Vana Radman, formazione reggiana di cui fece parte, non solo si esibirono nella natia Emilia ma, riuscirono a sconfinare in Repubblica Ceca, a Belfast e Parigi.
Daniele, dopo lo scioglimento dei Vana Radman si dedica ai Raniero, band di cui era autore e compositore, e con la quale ha pubblicato un solo EP nel 2012: “No Summer”, presentato dal vivo al Corallo di Scandiano, storico locale rock di quella che i CCCP avrebbero definito “Rozza Emilia”.
Seguono altre esperienze poi si fa avanti la voglia di dedicarsi al suo progetto solista che autoproduce e intitola senza troppi giri di parole: “Arrivederci Emilia”.
È un outsider, vintage sia nei suoni che nell’approccio che definirei “so 80s” e che, ai miei occhi, non appare certo come un difetto. Osereste mai criticare le scelte artistiche di Vasco Rossi? Paragone pretestuoso certo ma doveroso.
Veniamo ora al disco, un disco che esplora diversi stati d’animo che grazie allo spirito sicuramente satirico dell’autore non vengono però trasformati in un dramma ma raccontandoli diventano storia e per questo automaticamente superati.
Daniele parla di storie d’amore da dimenticare, così come si percepisce in “Oslo”, per farne una citazione: Sul molo urla un tipo esaurito: “le ragazze qui non ti amano davvero… o non come vorresti tu”.
In “Canzoni d’amore sul lastrico” le relazioni finiscono certo, ma aleggia nelle liriche e nei toni un’ironia così forte di cui riporto una strofa che trovo emblematica della personalità del cantautore: “Cadrò da solo nel buio dei Bacardi e gin, cadrò sconfitto nei buchi dei tuoi jeans”.
Si passa poi ai battiti reggae di “Arrivederci Emilia”, la title track che parla di non riconoscere più i luoghi in cui si è cresciuti, di paesaggi mutati nel tempo, luoghi abbandonati così come quegli “echi di anni passati, compagnie e trofei dimenticati”.

In “Fantastici poemi”, emergono vividi ricordi di lunghe calde estati emiliane trascorse in casa per via di una salute cagionevole, in cui ogni oggetto che circondava l’autore diventava un pretesto per inventare una storia che favoriva lo sviluppo della sua fantasia: “e nei segreti degli armadi c’era la vita”.
“Fredda è la notte” un’introspezione sulla solitudine al pari di “Snowland”, uno strumentale nato vagando per Reggio Emilia alla ricerca del cocktail perfetto.
Chiude il disco “Maledetti Posters”… e giuro che nel momento in cui ho letto la parola “posters” la mente ha fatto un balzo indietro nel tempo (o anche più di uno), da quanto non sentivo più nominarla?
La canzone la interpreto come una riflessione sul momento della crescita e su come si vivono i propri sogni, e che non è più il momento di andare per i bar a fare finta di essere quello che non si è: musicista o calciatore poco importa, il principio è lo stesso. Ed è proprio così, perché fu così anche per me, nel momento in cui te ne rendi conto, osservi con occhi diversi i poster che hai in camera: “Oh, i posters sul muro, le notti che vorrei essere qualcuno, le facce dei Nirvana stanno ingiallendo”.
Written by Luca Dainese