Life After Death: l’intervista ad Ulisse, il navigatore alla ricerca della conoscenza
Salve a tutti amici! Per il nostro appuntamento coi personaggi storici, e tra i più improbabili da intervistare, oggi abbiamo raggiunto la più famosa isola greca che la letteratura abbia mai citato.
Siamo ad Itaca. Come avrete capito oggi siamo qui per intervistare un navigatore che, possiamo dire, tutti conoscono per le sue avventure straordinarie.
Ah eccolo lì! Al castello c’è stato detto che passeggia spesso sulla spiaggia.
Signor Ulisse! Vostra maestà! Eccovi qui, vi sto cercando da molto. Bene amici, abbiamo qui con noi Odisseo, meglio conosciuto come Ulisse, re di Itaca.
Ulisse: Chi siete voi? V’ha mandato qui la regina Penelope mia moglie oppure siete messaggero degli dei, che mi rincorrete con tanta foga in questi pochi momenti in cui posso essere solo? no… no, non potete essere una creatura divina. Gli dei mi hanno concesso il riposo finalmente. Renda manifesto, lei… per qual cagione viene sulle sponde della mia isola allora?
A.T.: No, no sono qui per mia volontà. Sono, come dire se voi, una mortale, un essere umano qualunque che, spinto dalla curiosità vorrebbe parlarvi e conoscervi.
Ulisse: Curiosità. La più bella e la più terribile delle virtù umane. Ciò che ci spinge ad andare avanti… anche se non sappiamo dove.
A.T.: Ecco… signor Ulisse, sono qui per poter parlare di lei, delle sue azioni, delle sue avventure…
Ulisse: Mnemosine mi sorride ancora. La mia mente rimembra perfettamente quanto lei vuol conoscere.
A.T.: Volevo appunto approfittare dell’occasione, avendo qui un uomo del suo stampo di cui tanto si è scritto ed immaginato. Com’era la Grecia dei suoi tempi? Come è stato vivere quella che noi definiamo tutt’oggi Odissea.
Ulisse: Lei, da persona di si distante epoca sorride pensando a me e ai miei trascorsi marittimi ma… se sapesse davvero come le cose sono andate, mi creda… il sorriso, in pianto e cordoglio muterebbe.
A.T.: Temo di non capire.
Ulisse: Capirà dunque quand’io avrò terminato la MIA Odissea. Da principio come lei ha detto, io re fui di Itaca. Dal sangue mio e della mia diletta consorte Penelope nacque nostro figlio Telemaco, ma gli orrori della guerra di Troia già all’orizzonte si presagivano. Bastò poco perché i Re miei pari giungessero nelle mie terre intimandomi, per antico giuramento, di unirmi alle loro militare schiere. Ma qual padre abbandona il primogenito maschio alle singole cure di una donna? Decisi dunque d’usar il mio intelletto e, da falsa pazzia spinto, presi ad arare come campi di grano le spiagge del mio regno.
A.T.: Lei infatti è molto famoso per i suoi atti d’intelligenza.
Ulisse: Meri atti di sotterfugio. Tale inganno infatti, sebbene ben congeniato, non ebbe successo. Mentre aravo la spiaggia di sale, come se davvero mi aspettassi che Demetra dea dell’abbondanza della terra benedisse il mio raccolto, gl’altri re ghermirono mio figlio e lo poggiarono di fronte al mio aratro. Non ebbi scelta, se volevo salvar la mia discendenza, di fermarmi e l’inganno perpetrato ai danni dei miei pari smascherare.
A.T.: E quindi lei partì per la città di Troia e dopo dieci anni riuscì a penetrarne le difese con il suo trucco più famoso: il Cavallo di Troia.
Ulisse: Ecco, è questo che non sopporto e mai ho sopportato di poeti e bardi. Loro cantano le gesta eroiche di uomini, innalzandoli al rango degli dei stessi. Ma mi creda… io non sono che un uomo e mai nella vita altro avrei voluto essere. Lei ora dieci anni di guerra, nella vittoria ad opera del mio stratagemma li riassume. Ebbene… questo non è giusto. Non per me! Ma per tutti coloro che quei dieci anni di guerra li hanno vissuti, con le lacrime, con le notti fredde davanti al falò. Le vestigia ricordo, di tutti quelli che non lasciarono mai le rive dell’Ellesponto.
A.T.: Mi scusi, non volevo assolutamente minimizzare le disgrazie che sono avvenute durante quel periodo. Però ha ragione, la sua storia fa apparire gli uomini dei grandi eroi.
Ulisse: E alcuni di loro lo erano. Grandi uomini, ma sempre d’uomini si parla. Agamennone, Ettore, Achille, Patroclo, Priamo. Re, guerrieri, soldati… tutti esaltati nei poemi, ma uomini. E mi creda anche quegli uomini hanno provato paura ed orrore. Lei sa cosa è una guerra? Lei sa cosa vuol dire trascorrere dieci anni, metà della vita di un figlio a combattere una guerra che altri hanno voluto? Passare i giorni senza sapere se, e quando il dio Thanatos chiamerà la tua anima e la condurrà tra chi hai già perduto? La guerra affina i sensi in un modo atroce e disumano. L’odore acre della pece delle navi, il vento che soffia sulla pelle caldo d’estate e gelido d’inverno, il battere di spade e i martelli dei fabbri che fondono e riparano i metalli da guerra, la sabbia che soffia sopra i resti dei caduti, i corvi che ti osservano con occhi mesti e sembrano dire “tu sarai il prossimo”. E la cosa peggiore… il sangue che tutto permea, le grida di dolore dei feriti che molto spesso si spegnevano solo perché qualcuno aveva la carità di farle smettere. La guerra… questa è stata la parte peggiore della mia odissea.
A.T.: E pur tuttavia anche il suo ritorno a casa non è stato facile, né tanto meno privo di pericoli e di perdite.
Ulisse: Ciò che lei declama è vero, e sono contento di sentire che il suo tono ora non è più quello ilare di prima. Resta comunque da dire che, l’inganno perpetrato da me ebbe il suo successo. Ma fui troppo arrogante per rendere meriti anche a chi, sebbene macchiandosi di assassinio, mi aiutò nell’impresa.
A.T.: Sta parlando di…
Ulisse: Poseidone. La divinità preposta al mare e agli oceani che mandando il suo serpente marino a soffocare le veritiere parole di Laoconte riuscì nell’unica parte del mio piano che solo le Parche potevano decidere. Far portare il cavallo di legno all’interno delle mura. I cantori poi esagerano nel descrivere questa struttura. Essa serviva solo come diversivo per un più alto scopo, non occorreva che fosse gigantesca come spesso si crede. Era grande quanto bastava perché pochi uomini potessero entragli nel ventre. Una volta conquistata la città, il mio stesso ego nato dalla vittoria fu la mia rovina. Attirai su di me le ire del mio stesso benefattore.
A.T.: Il dio del mare le ha impedito di tonare a casa per altri dieci anni.
Ulisse: Ma, non furono dieci anni. La fantasia dei poeti ha di nuovo superato i limiti dell’umano intelletto. Ma pur di esaltare gli eroi dei suoi scritti, quale autore non infioretta l’imprese compiute da soli uomini. Dopotutto… è un modo come un altro di dare speranza all’umanità, poiché se un uomo riesce a rivaleggiare col destino avverso, allora anche l’umanità può farlo. Ma mi creda, non è il mio caso. Io sono solo un uomo che ha vissuto la sua vita tra la guerra e la pace come hanno fatto molti altri.
A.T.: Quindi il suo viaggio di ritorno non è stato avventuroso?
Ulisse: Non ho detto questo. Ho detto solo che non è stato così lungo. Da Troia con la flotta arrivammo prima nelle terre dei Ciconi a far ulteriore bottino, avidi di vittorie dopo la più grande impresa dell’allora mondo conosciuto. E poi subito dopo, cominciarono le perdite. L’isola dei mangiatori di loto fu la più dolce e la meno pericolosa. Badi bene, ho detto la meno pericolosa. Dovetti legare i miei uomini disgraziati che non chiedevano altro se non di potersi fermare e dimenticare gli orrori del passato. In seguito ebbi occasione di far adirare ancora di più Poseidone giunto nelle grotte dei suoi figli e accecando il più giovane di loro.
A.T.: Il ciclope Polifemo.
Ulisse: Un bambino mi creda. Feroce certo, per noi era un gigante ma per quelli della sua razza non era che un bimbo che si divertiva con dei nuovi giocattoli. Lo facemmo divertire, bene, ubriacare di vino e poi… io lo accecai. Tutt’oggi a ben pensarci, non mi sento affatto un eroe per questo.
A.T.: Ma lei così facendo ha protetto i suoi uomini.
Ulisse: Sarà così. Tuttavia la mia strada era ancora lunga. Giunti all’isola di Eolo, li più che furbo mi dimostrai bugiardo ed ingannatore verso il dio dei venti benevolo. L’inganno stesso poi mi si ritorse contro quando i miei uomini, spinti dalla mia stessa insana curiosità, aprirono l’otre che conteneva tutti i venti sfavorevoli al nostro ritorno in patria, che ci condussero poi al massacro sull’isola dei lestrigoni, i mangiatori di uomini. Solo la mia galea sopravvisse ai loro attacchi. Povere anime dannate. Le compiango quasi quanto le loro vittime.
A.T.: Se ben ricordo, dopo questo vi fermaste sull’isola della Maga Circe, la terribile maga che trasformava gli uomini in maiali.
Ulisse: Circe. Una bellissima donna. Tra le più belle ch’io abbia mai visto. Ma nel mio cuore c’era sempre e solo una donna. La mia Penelope. Fu questo forse, dopo l’intervento di Ermes a mio protezione dai suoi incantesimi, a darmi la forza di resiste al suo fascino. Ma la prego, non la definisca terribile o malvagia. La sua era un’isola di transito, una vita fatta di solitudine. Chi non cederebbe alla disperazione per quanto potente? Io credo che, in fondo, anche gli dei siano molto soli. A confronto di un simile destino, le anime nell’Ade che io conobbi una volta discesovi, sono fortunate poiché prive d’ogni memoria della loro vita. Quando ebbi completato il mio ruolo nel mondo dei morti e placato la tristezza di Circe, prosegui il mio viaggio. Eppure nonostante le mie già trascorse disgrazie, la mia curiosità non si era spenta, la mia ingordigia di sapere non era sazia. Eravamo nelle vicinanze delle isole ove dimoravano le Sirene, le creature alate che col loro canto possono ammaliare e far impazzire gli uomini, poiché, si dice, il loro canto può rivelare le cose che all’uomo sono negate.
A.T.: Chiedo scusa. Lei ha definito le sirene creature alate. Ma le sirene non sono le donne per metà pesce?
Ulisse: Nella mia cultura quelle sono semplici ninfe d’acque salate, ma per noi greci le sirene sono donne rapaci! Donne dal volto e dal canto sublime ma dal corpo di uccelli grandi e funerei, che sbranano le carni dei superstiti che portano le loro navi alla morte sugli scogli appuntiti. Io, per amor dei miei compagni tappai le loro orecchie con la cera e per amor della conoscenza mia, mi feci legare all’albero maestro della mia nave. Ciò che io udii… ancora oggi non posso esprimere a parole, e la prego, non me lo chieda.
A.T.: Come preferisce lei. Comprendo comunque, dal modo in cui parla, che il suo viaggio non è stato solo avventuroso.
Ulisse: Il viaggio che io ho compiuto, ha poco a che condividere col semplice concetto di avventura. La vita stessa può considerarsi una grande avventura. Un contadino può vivere intensamente quanto un re, se vive attimo per attimo. No, ciò che io ho compiuto è un viaggio dell’anima, un cammino che muta l’uomo oltre ogni concezione logica. Solo chi ha compiuto un simile cammino, può davvero comprendere quanto sia importante dare importanza vitale ad ogni attimo.
A.T.: Ma prima di giungere a Itaca avete passato altri pericoli.
Ulisse: L’ultimo pericolo furono Scilla e Cariddi, le due mostruosità gemelle. Quella fu una prova assai terribile poiché le schiere dei miei compagni, già decimate da altre avversità passate, furono assottigliate ulteriormente. Se non fu Scilla a carpire le loro vite con le sue fauci irte di denti, fu Cariddi nei suoi gorghi d’acqua salata. Impossibile era sfuggire ad entrambe le creature. Fu solo allora che o compresi ciò che Poseidone violento e Athena gentile cercavano d’insegnarmi.
A.T.: Cioè?
Ulisse: L’uomo che non crede in niente, non è niente. Ebbi molto tempo per maturare questo pensiero durante il tempo trascorso con Calipso, dopo che la mia nave venne fatta affondare. Nell’Ade, l’indovino Tiresia mi avvertì che avrei fatto tappa presso l’isola di Elios e che le vacche sacre al dio non dovevano essere toccate. Ma i miei uomini, spinti alla fame, contravvennero i miei ordini e massacrarono i capi del dio sole. La sua vendetta fu pronta e io giunsi naufrago all’isola di Ogigia… completamente solo. Calipso mi accolse, mi ristorò, mi vestì e mi accudì come un bambino. Ella mi offrì persino l’immortalità ma… dopo tutti i travagli che avevo passato, nulla mi sembrava più importante della mia casa, la mia vera casa.
A.T.: E una volta che Calipso l’ha lasciata lei è giunto nel regno dei Feaci.
Ulisse: Sì. Ricordo ancora le lacrime di Calipso quando me ne andai dall’isola. Gli dei si eran stancati di giocare con la mia vita finalmente e avevano decretato che io tornassi nelle mie terre. Tutti tranne Poseidone che ancora oggi, non mi ha perdonato. I Feaci una volta scoperta la mia identità mi diedero aiuto e potei raggiungere Itaca. Credetti finito il mio viaggio ma… in realtà ne iniziai un altro ben più complicato.
A.T.: Già, c’erano i principi Proci ad assediare la sua casa.
Ulisse: Un ostacolo? Massacrare tre o quattro pretendenti dopo tutto quello ch’ebbi passato, mi creda, fu la parte più facile del mio cammino. No, fu quello che accadde dopo, ciò che Omero non scrisse fu in realtà difficile e terribile.
A.T.: Non credo di capire.
Ulisse: Lei ha figli? O una moglie? Una famiglia?
A.T.: Naturalmente!
Ulisse: Ebbene… sono gli occhi di tuoi cari. Gli occhi di un figlio che ami perché devi amarlo in quanto padre ma che non è più tuo figlio perché è un uomo ormai. Gli occhi di una moglie che ha aspettato tanto e che ora quasi stenta a riconoscerti. E i tuoi stessi occhi carichi di una conoscenza del mondo che invece vorresti dimenticare. Occhi che non riconoscono più il tuo aspetto fisico, mutato dal volere di Crono, ma in grado di scavarti così a fondo nell’anima da farti quasi paura. Oh, quello sì che è stato un tormento. La mia vita un’avventura? No, la mia vita è stata solo un susseguirsi di eventi che mi hanno cambiato e in questo mi creda, non diverso da un qualsiasi uomo.
A.T.: Ammetto che una simile visione della sua storia è piuttosto spiazzante. Non me l’aspettavo.
Ulisse: Lei si aspettava di vedere un grande eroe di guerra dei tempi antichi vero? Bè in me c’è ancora quell’uomo, cambiato e mutato dalle sue esperienze. Gli eroi non sono tali perché compiono azioni grandi, lo sono perché fanno grandi azioni anche nei gesti più piccoli, come ho fatto io. Non è stata Troia e farmi sentire un eroe, non è stata la mia odissea a farmi sentire grande. È stato il fatto che, dopo tanto tempo e tanta fatica io ho potuto riallacciare i rapporti con mio figlio e con mia moglie. Ritrovare la mia famiglia ogni giorno… questo mi ha fatto sentire un vero eroe. Anche se devo ammettere che…
A.T.: Cosa? Ulisse, cosa?
Ulisse: Che alcune cose a volte mi sono mancate, cose semplici: lo scroscio del mare ed il vento che soffia sull’oceano.
Written by Alister Tinker
Voce intervistatore: Alberto Navoni
Voce Ulisse: Alister Tinker
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