Le métier de la critique: Eugenio Montale, un genovese d’eccellenza che manifesta le inquietudini del suo tempo

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio…” ‒ Dalla lirica “Ho sceso dandoti il braccio”

 

Eugenio Montale

Il 12 ottobre non è solo il giorno in cui si ricorda la scoperta dell’America a opera del navigatore Cristoforo Colombo.

Il 12 ottobre 1896 è la data in cui ha visto la luce un altro celebre genovese: Eugenio Montale. Considerato uno dei più grandi poeti del Novecento, con il suo pensiero, Montale s’inserisce a pieno titolo quale rappresentante di un secolo travagliato e frammentato, in ragione degli eventi storici e bellici che si sono consumati in quel periodo.

Secolo deleterio quindi, il Novecento, ma anche ricco di nuovi fermenti, che ha assistito a scoperte tecnologiche e di scienza di vasta portata: fondamentali per l’evoluzione umana, messaggere però di disorientamento per l’umanità tutta. Ed è in tale contesto storico-sociale che, attraverso la sua poetica, Eugenio Montale si fa tramite per manifestare le inquietudini del suo tempo.

Ma, per conoscere il poeta nel modo più esaustivo possibile e apprezzare il suo lirismo, questa speculazione impone, anche se per sommi capi, di approfondire il suo percorso di vita come quello poetico.

“Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dei nomi poco usati: bossi ligustri o acanti…” ‒ Dalla lirica “I limoni”

Poeta e critico letterario, Eugenio Montale trascorre un’infanzia e un’adolescenza non propriamente facili; in quanto periodo disseminato di complicazioni che minano il suo giovane fisico; e che inevitabilmente lo portano a confrontarsi con il dolore. L’ovvia conseguenza del suo disagio lo conduce, spinto anche da un’innata sensibilità, a rifugiarsi in una personalissima forma di introspezione.

Dopo aver conseguito il diploma da ragioniere, nel 1917 abbandona gli studi per la chiamata al fronte, obbligato a partecipare alla Prima Guerra Mondiale, evento che segna il suo percorso esistenziale, marcando la sua poetica di una connotazione ben precisa.

La sua formazione culturale, nonostante il suo precoce allontanamento da un percorso scolastico tradizionale, è ampia e di alto profilo. Le discipline approfondite sono molteplici: musica, pittura, letteratura anglo-americana e francese, fra queste. Oltre che saggista e critico, Montale svolge anche attività di traduttore.

Terminato il primo sanguinoso conflitto bellico, si accosta al mondo intellettuale ligure nella persona di Camillo Sbarbaro, più di altri; per entrare poi in contatto con gli intellettuali che gravitano intorno a Piero Gobetti.

Il 1925 è un anno importante per il poeta; oltre a pubblicare Ossi di seppia, la sua prima raccolta, che riscuote grande attenzione, tramite un articolo redatto da lui, pone l’interesse sull’opera di Italo Svevo, scrittore triestino e poco apprezzato fino ad allora: sarà l’occasione per farlo conoscere alla critica come ad un vasto pubblico di lettori.

È ancora il 1925 quando firma il Manifesto antifascista lanciato da Benedetto Croce. Circostanza che esplicita un dissenso civile e politico del poeta nei confronti della dittatura, una presa di posizione che lo porta a condurre, durante gli anni del fascismo, una vita isolata e appartata, la quale giustifica il suo allontanamento dalla militanza politica.

Eugenio Montale

Nel 1927 la sua destinazione è Firenze, dove coordina il Gabinetto letterario Viesseux, istituzione culturale fiorentina di antica data, e crocevia di numerosi intellettuali. Tuttavia, nel 1938 si vede costretto ad abbandonare l’incarico, a causa della sua negazione di iscriversi al Partito Fascista.

L’anno 1939 gli restituisce in parte ciò che il regime gli ha tolto: sarà per Montale un anno importante grazie alla pubblicazione della raccolta Le Occasioni ma, fatto di maggior rilievo, si lega a Drusilla Tanzi, la donna che sarà sua moglie e con cui condividerà l’intera esistenza.

Nel frattempo, il poeta collabora con la rivista Solaria in una cooperazione proficua e appagante, che però abbandona per raggiungere Milano dove dà inizio a una collaborazione stabile con il Corriere della sera.

Con il soggiorno milanese, si prepara per Montale una stagione ricca di gratificazioni professionali e umane. Si occupa di stendere articoli di critica letteraria come di fare dei reportage, anche se la poesia rimane il focus del suo universo culturale ed emotivo.

Quando sopraggiunge il 1956 il poeta pubblica la raccolta dal titolo La bufera e altro, per approdare poi nel 1971 a una nuova raccolta dal titolo Satura.

Dieci anni dopo, nel 1981, lascia per sempre questo mondo, dopo aver impresso al panorama culturale non solo italiano un’impronta importante; non prima però di aver ottenuto uno dei più alti riconoscimenti a cui un letterato può aspirare: il Premio Nobel per la letteratura. Era il 1975.

“Spesso il male di vivere ho incontrato, era il rivo strozzato che gorgoglia era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato…” ‒ Dalla lirica “Spesso il male di vivere ho incontrato”

Affermatosi soprattutto come poeta, anche se la completezza della sua formazione l’ha portato a essere anche un critico e un saggista di notevole qualità, le raccolte poetiche di Montale non sono di così immediata fruizione. Il suo percorso poetico è stato lungo e complesso, e strettamente connesso ad una visione pessimistica dell’esistenza che, subordinata a un’accesa sensibilità, si è rivolta al microcosmo umano.

È dunque d’obbligo soffermarsi brevemente sulla concezione pessimistica del poeta, tratto che più di altri caratterizza la sua poetica, posta in relazione alla condizione dell’uomo del suo tempo.

Definito il ‘poeta della disperazione’, perché chiuso in un freddo dolore, proietta il ‘male di vivere’ sul mondo che lo circonda, dando origine a una sofferenza che non solo è umana, ma cosmica, se non addirittura universale.

Ma, quali sono le tematiche fondamentali affrontate da Montale e che attraversano tutta la sua poetica?

Come già affermato, il poeta, attento alla sua contemporaneità, si fa tramite per cogliere e interpretare il disagio esistenziale che abita l’animo umano, e da cui scaturisce l’angoscia dell’io dell’uomo moderno; in quanto afflitto dal ‘male di vivere’, ovvero dalla consapevolezza che la sofferenza è un fattore inalienabile. La cui conseguenza certa è per l’umano l’imperscrutabilità del destino, che lo porta a una sorta d’incomunicabilità con i suoi simili; presupposto per cui il desiderio di infinito e di eterno, insito nell’uomo, resta costantemente deluso.

Per Montale la vita è una landa desolata in cui gli uomini, gli oggetti e la stessa natura sono soltanto presenze senza significato, che sono causa di un’esistenza che scivola verso il nulla.

Nonostante ciò, il poeta cerca uno spiraglio per salvarsi, per uscire da quello che potrebbe definirsi un ‘girone infernale’.

Tuttavia, in Montale, è intatta una vigile fiducia nella ragione, anche se l’indagine condotta dal poeta sottolinea i dubbi, i limiti, le assenze e le contraddizioni dell’esistenza.

Pertanto, la visione pessimistica di Montale non contempla nella sua essenza l’isolamento o il rifiuto di vivere. La sua è una concezione che si concretizza nelle cose, nei paesaggi, nel modo di sentire, in tutti quegli eventi che riguardano la vita e si declinano in ogni emozione.

Eugenio Montale

Da qui lo strumento del ‘correlativo oggettivo’ ripreso dal poeta Thomas S. Eliot, il quale consiste nell’avvicinare oggetti e figure legati tra loro da un’analogia e che, accostati l’uno all’altro, suscitano forti suggestioni.

Nel correlativo oggettivo il poeta cerca di declinare una concezione soggettiva: un aspetto concreto della realtà diventa emblema, come spesso accade per quel paesaggio ligure che attraversa alcune delle sue liriche, ed è pronto a esprimere l’angoscia esistenziale.

Tecnica poetica questa di non immediata intuizione, in quanto un medesimo termine può contenere una pluralità di significati e riferimenti, i quali si intrecciano al contesto circostante dando adito a più di un’interpretazione.

Espediente da definirsi anche simbolismo tematico; una moderna forma di allegoria medievale in cui gli elementi della natura rappresentano condizioni spirituali e morali che si possono ritrovare, per esempio, nel sommo Dante e nella sua Divina Commedia. Ed è proprio l’amore che Montale nutre per Dante a poter essere d’aiuto, al fine di comprendere appieno la genesi di quest’operazione poetica.

Ma, mentre l’allegoria dantesca trova la sua ragion d’essere nella mente divina, il simbolismo di Montale non dà risposte a un mondo che cerca consolazione ai dubbi e alle inquietudini. Il nostro poeta sostituisce alla Divina Provvidenza una sorta di indifferenza, da collegarsi piuttosto ad una concezione del pensiero leopardiano, che subisce passivamente gioie e dolori dell’esistenza.

“Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, fruscii di serpi…” ‒ Dalla lirica “Meriggiare pallido e assorto”

Montale è artefice di una poetica originale, profonda e nuova, nata da una rielaborazione intima della tradizione che fa pensare a una sorta di ‘compromesso’ tra la tradizione letteraria e istanze innovative che la letteratura del Novecento esprime con forza.

Strettamente connessa alla ‘poetica delle cose’, quella di Montale segue una linea letteraria che trova un precedente in Pascoli e Gozzano, entrambi, poeti da lui molto amati.

Montale è maestro di sintesi: un’immagine o emozione è sfrondata del superfluo e, resa essenziale nella parola che le è più appropriata, fin quasi a tradursi in essa.

I particolari diventano decisivi, e dalla cui limitatezza erompe una simbolicità molto significativa, dove l’analogia non è libera associazione tra immagini, ma si fa equazione tra cosa e parola. Ed ecco che la concezione esistenziale di Montale si declina nella poetica del non-dire, o meglio, la scelta di dire solo quel che non si è, la quale si manifesta con un esercizio di essenzialità e povertà di espressione. Da cui deriva un linguaggio spoglio, nudo, che mette in risalto l’essenziale.

Per concludere una breve carrellata delle opere di Eugenio Montale.  

La già citata raccolta Ossi di seppia, del 1925.

Fin dal titolo è compresa una chiara allusione a una tecnica espressiva scarna, asciutta ed essenziale, rappresentativa del paesaggio ligure. Paesaggio che si fa emblema della dolorosa condizione esistenziale dell’uomo. Dove il luogo, per il poeta dell’anima, è elemento dominante nella raccolta. Con il suo territorio riarso e roccioso, è raffigurato nella sua aspra nudità, senza indulgere al pittoresco o al sentimentale. Alcune poesie sono veri e propri manifesti di poetica, la cui costruzione lirica respinge i moduli della poesia aulica.

Le occasioni comprende una raccolta di liriche scritte nel periodo fiorentino. Ogni componimento è una storia a sé stante, dove le ‘occasioni’ sono emozioni visive o auditive, ricordi fugaci, colmi di potenza simbolica, intuizioni che si aprono a dimensioni più profonde, che non la quotidiana superficialità. Il paradosso dell’esistenza cerca rifugio nella memoria, dove il ricordo si fa consolazione per chi accetta l’esistenza in tutta la sua completa essenza. Versi che ridimensionano la riflessione esistenziale della precedente poetica, dove la parola punta sugli oggetti, tralasciando qualsiasi aspetto meditativo per concentrarsi sulla suggestione di immagini nette, frutto anche di un forte impatto di parole suoni e frasi.

Eugenio Montale

La bufera e altro è raccolta del 1956, in cui dominante è un sentimento d’orrore per la guerra e per le atrocità compiute dal nazifascismo; attraverso queste liriche affiora un’ansia metafisica, quasi un tentativo di approdare a una forma di esperienza trascendentale. Ma il poeta rifiuta ogni sollievo e rimane ancorato all’accettazione del male di vivere. Perché per Montale la poesia non è evasione dalla realtà, e neppure celebrazione di un qualcosa che è superiore a essa: è continua presa di coscienza del destino umano e della sua ineluttabilità.

Infine, la raccolta Satura, dove le liriche che compongono la raccolta hanno un tono a volte ironico, a volte, invece, meditativo. Di diverso tenore rispetto alla precedente produzione poetica, il loro stile è colloquiale. A compimento di questa sommaria speculazione su uno dei più grandi poeti del Novecento, è d’obbligo sottolineare l’assoluta attualità della poetica di Eugenio Montale, tutta concentrata sull’uomo e sulla condizione di quest’ultimo inserito in un contesto cosmico e universale per lui di difficile comprensione. Contesto universale, che si fa specchio di quello sociale dei nostri giorni, in cui l’uomo tenta di scacciare dalla propria esistenza il cosiddetto male di vivere. Tutt’oggi presente, così come Montale lo ha ben descritto, nella quotidianità che appartiene a ogni individuo.

L’itinerario poetico di Montale è dunque segnato da lacerazioni che esprimono la crisi dei valori del mondo contemporaneo e della condizione umana, sovrastata da un potere sconosciuto.

Con la sua poesia Montale ha dato voce all’angoscia esistenziale di una generazione che aveva conosciuto la guerra e la sua inutilità, e sgomenta assisteva alla seconda guerra mondiale.

La grandezza del poeta genovese risiede anche nel tentativo di comprendere il mondo a lui contemporaneo, oltre che i cambiamenti che l’arte e la società hanno subito in seguito allo sviluppo di una cultura massificata di carattere planetario.

 

Written by Carolina Colombi

 

 

 

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