Calcio: quale rapporto intercorre tra Aristofane, il mondo femminile e lo sport più famoso al mondo?
“Le donne dovrebbero essere qualcuno e non qualcosa.” ‒ Mary Cassat

Nella nostra società, ancora fortemente maschilista e spesso irrispettosa della dignità delle donne, risulta talora difficile capire e accettare che anche queste ultime possano nutrire una sana passione per il calcio. Ancora più difficile spiegarne il perché.
Non è soltanto perché magari da bambine ci siamo innamorate di un calciatore famoso, vedendone la foto riprodotta su una figurina Panini; non è soltanto perché magari abbiamo passato la nostra adolescenza a giocare a pallone (e pallavolo) con i nostri coetanei maschi più che a giocare con le bambole insieme alle fanciulle; né è soltanto perché, magari, ad un certo punto della nostra vita, abbiamo avuto un lungo tira e molla con un allenatore di calcio; e neppure soltanto perché abbiamo ascoltato e riascoltato la bellissima canzone di Francesco De Gregori La leva calcistica del 68, da un lato struggendoci di dolore nel punto in cui il brano parla dei calciatori innamorati da dieci anni di una donna che non hanno amato mai, dall’altro provando un benevolo sentimento di catarsi quando il testo afferma che un calciatore non si giudica da un calcio di rigore, ma altre qualità come il coraggio, l’altruismo, la fantasia.
Tutto questo attiene alla sfera emotiva e certamente può aver contributo a determinare nelle donne un interesse per il calcio. Ma non spiega fino in fondo il fenomeno.
Né d’altra parte la risposta può essere fornita volgendo lo sguardo al mondo dello spettacolo dove, da sempre, ci sono casi di unioni tra calciatori e showgirl e all’interno del quale sempre più donne ormai diventano conduttrici di programmi calcistici. In tal caso Ilaria D’Amico non si è fatta mancare nessuna delle due cose! Buon per lei!
Nella vita di tutti i giorni, però, altre sono le cause che possono spingere le donne a seguire il pallone.
Esse attengono, credo, a quella sfera riflessiva del gentil sesso che non coincide affatto con quella puramente emotiva mediante cui talora gli uomini (ovviamente non tutti, ci mancherebbe!) etichettano le donne solo per pregiudizio e pigrizia mentale.

E così può capitare di incontrare un amico speciale che magari non pratica il calcio, ma che ama semplicemente ascoltarlo alla radio come sottofondo della propria giornata: e, a forza di entrare nelle sue abitudini, capita che noi stesse le facciamo nostre a tal punto da non essere in grado di farne più a meno.
Perché la vera amicizia è condivisione anche del futile che può esserci nel calcio! E così, non soltanto più quando siamo in macchina con lui, ma anche quando siamo da sole ci viene voglia di spegnere la tv e di accendere la radio e di far festa solo per il fatto di ascoltare una partita di pallone.
È un piacere tutto nostro e niente ci appaga di più! Potrà sembrare un po’ strano: in realtà, invece, a forza di sentire e risentire quelle stesse voci che ci raccontano un evento sportivo e ce lo commentano, ci capita di interiorizzare nomi, numeri, casi di moviola, goal e simili molto più che se li avessimo visti!
Mi rendo perfettamente conto di parlare in modo anacronistico e so che farò sorridere tutti quelli (soprattutto uomini) che si devono ormai dividere tra due abbonamenti per assicurarsi di poter vedere (sempre) almeno la propria squadra, senza peraltro la garanzia di una decente qualità di visione: ha fatto notizia, in tal senso, il caso Dazn! Eppure il problema dei diritti sportivi, oltre ad essere diventato un business (e chiedo venia se potrò sembrare ingenua e sprovveduta!), ha condotto alla solitudine: che tristezza starsene seduti da soli davanti ad un dispositivo di qualunque genere (tv da salotto, tablet, pc o smartphone)… non c’è più neppure la voglia di andarsene al bar con gli amici a vedere le partite! Ovviamente parlo per me e non voglio assolutamente giudicare nessuno, ma solo constatare un dato di fatto.
Invece, mentre si ascolta, non si deve necessariamente fare di quel dispositivo il proprio punto focale! Mentre si ascolta si può fare una passeggiata o una corsa, si possono fare le faccende domestiche, leggere, scrivere al computer, stare stesi sul letto, chattare con le amiche. L’essere multitasking, si sa, è tipico delle donne, da sempre capaci di fare diverse cose contemporaneamente.

Certo, mi si potrebbe obiettare che seguire il racconto di un goal non sia la stessa cosa che vederlo. Eppure lo si può immaginare, proprio prestando attenzione alla sua descrizione. E mentre guardando la tv si è da soli davanti alle immagini, quando si ascolta si è insieme a tanti altri che assistono alla diffusione via etere dei messaggi sonori. Infatti, scrive Walter Ong (1912-2003), studioso americano di culture orali primitive:
“La vista isola gli elementi, l’udito li unifica. Mentre la vista pone l’osservatore al di fuori di ciò che vede, a distanza, il suono fluisce verso l’ascoltatore […] Un uomo può vedere in una sola direzione per volta, e per guardare una stanza o un paesaggio, si devono muovere gli occhi da una parte all’altra. Quando si ascolta invece, il suono giunge simultaneamente da ogni direzione: chi ascolta è al centro del proprio mondo uditivo, che lo avvolge facendolo sentire immerso nelle sensazioni e nell’esistenza stessa. Questo effetto del suono viene riprodotto in modo molto raffinato dai sistemi stereo ad alta fedeltà. Ci si può immergere nell’ascolto, nel suono, non è possibile farlo nella vista. A differenza della vista, che seziona, l’udito è dunque un senso che unifica. L’ideale visivo è la chiarezza, la nettezza dei contorni, la possibilità di scindere in componenti […], quello uditivo è, al contrario, armonia, unificazione […] In una cultura orale primaria, dove si ha parola soltanto sotto forma di suono, senza cioè alcun riferimento a testi visivamente percettibili e senza alcuna consapevolezza della loro esistenza, la fenomenologia del suono entra in profondità nel senso che l’individuo ha della vita. Per le culture orali, il cosmo è un fenomeno continuo, con al centro l’uomo che è l’umbilicus mundi, l’ombelico del mondo […] Fisicamente costituita come suono, la parola parlata deriva dall’interiorità umana, rende manifesti gli esseri umani tra loro come interiorità coscienti, persone, e li unisce in gruppi coesi. Quando un oratore si rivolge a un uditorio, i suoi membri diventano tutt’uno, che li comprende insieme all’oratore” (Walter J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, tr. it. A. Calanchi, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 104-108).
Del resto sono confortata anche da Antonio Padellaro che, circa un mesetto e mezzo fa, sul Fatto Quotidiano sosteneva che la spartizione dei diritti televisivi del calcio tra Dazn e Sky avrebbe favorito il rilancio delle vecchie radioline.
Tornando alle donne, esse, grazie al dono della maternità che hanno ricevuto dalla Natura, sono abituate a sentire, durante la gravidanza, il bambino che si muove nella pancia, fungendo mediante il loro corpo da raccordo fra il loro mondo interiore e quello esterno ad esse.
Per questo le donne hanno una maggiore ricettività e una maggiore sensibilità, che non va confusa dicevo in incipit, con l’emotività. Come ha provato a scrivere il commediografo greco Aristofane nel sec. V a.C. e come commenta bene Giuseppe Zanotto nel suo recente libro “Siamo tutti greci”, Feltrinelli, Milano 2018, le donne sono abituate a filare la lana, un’attività che può farsi metafora della gestione della vita reale (guerra e politica) che nel mondo greco è tipico affare da uomini.

Come è noto Aristofane, nella sua commedia Lisistrata, racconta di come tutte le donne greche del V secolo, stanche della lunga e sanguinosa guerra civile che i loro uomini stanno portando avanti in Grecia, decidano di prendere in mano la situazione mettendo in atto un vero e proprio sciopero del sesso che condurrà alla fine i loro mariti, in totale crisi di astinenza, alla resa: verrà stipulata la pace tra le poleis (in primis tra Sparta e Atene) e tornerà anche la pace domestica, in tutti i sensi! (E va da sé che l’episodio dimostra, semmai, che spesso sono i maschietti ad essere più emotivi e fragili rispetto alle passioni).
Ebbene Aristofane fa dire a Lisistrata, leader delle donne in rivolta, le seguenti parole, che riporto direttamente dalla traduzione fornitane da Zanotto nel suo saggio sopra citato (pp. 16-17): “Quando una matassa è ingarbugliata, noi la prendiamo in mano e la dipaniamo, distendendola per bene, un filo di qua e un filo di là; e allo stesso modo sbroglieremo anche la guerra, se ci lasciate fare, mandando ambascerie, una di qua e un di là”.
Rebus sic stantibus, volete che le donne non siano in grado di capire una partita di calcio, abituate come sono, ad affrontare le ben più difficili ed importanti partite della vita? Del resto, se un famoso quotidiano sportivo ha come sottotitolo “Tutto il rosa della vita” e come sfondo sempre il color rosa, un motivo ci sarà pure!
Buon calcio a tutte e a tutti! Ad maiora, sempre!
P.s. da appassionata di calcio quale sono, non farò mancare alle lettrici e ai lettori qualche altra puntata sul tema!
Written by Filomena Gagliardi
2 pensieri su “Calcio: quale rapporto intercorre tra Aristofane, il mondo femminile e lo sport più famoso al mondo?”