Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Alberto Mossa

“Da sardo fermamente innamorato di questa terra mi rendo conto che molti dei miei conterranei cercano in tutto questo un motivo di rivincita, derivata da una frustrazione frutto di sbagliate scelte politiche e culturali; ci troviamo davanti ad un problema ormai sedimentato da più generazioni. Da indipendentista convinto e da archeologo pensante posso solamente suggerire che è necessario distinguere scienza da ideologia politica, la storia ci insegna che altri in passato hanno commesso l’errore di accorpare le due cose e infatti i risultati sono stati disastrosi ed al dir poco inquietanti.” ‒  Alberto Mossa

Alberto Mossa

Venticinquesima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia.

Da agosto 2017 si è scelto di dar voce agli archeologi per catalogarne le dichiarazioni su tematiche cosiddette “fantarcheologiche” che, a dir loro, intralciano la divulgazione “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo.

Di contro gli appassionati sostengono a lor difesa che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future. In molti casi, però, ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà, come ad esempio il riconoscimento della Sardegna come la mitica isola metafisica di Atlantide, utilizzata da Platone per indurre in astrazione.

Ad un anno dall’inizio dell’inchiesta mi rendo conto che il fenomeno della “fantarcheologia” è presente in entrambe le fazioni. Sono entrata in contatto con questi due mondi sardi che guerreggiano tra loro e ho notato armistizi, sodalizi, improperi, tradimenti, atti di spionaggio. Ciò che non ho visto, o soltanto in minima parte, è stata la presenza della cultura e della passione della ricerca e dello studio.

Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, che con ali di cera tentò di avvicinarsi al Sole. “Neon Ghènesis Sandàlion” è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.

Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”

Il 7 aprile abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologa Gianfranca Salis, ha preceduto l’archeologo Luca Lai, l’archeologa Maria Grazia Melis, l’archeologa Stefania Bagella, l’archeologa Valentina Leonelli, ha preceduto l’archeologa Giovanna Fundoni, l’archeologo Francesco di Gennaro, l’archeologo Giandaniele Castangia, l’archeologa Luisanna Usai, l’archeologo Paolo Gull, l’archeologo Piero Bartoloni, l’archeologa Viviana Pinna, l’archeologo Giuseppe Maisola, l’archeologo Nicola Sanna, l’archeologo Matteo Tatti, l’archeologa Anna Depalmas, l’archeologo Mauro Perra, l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.

Alberto Mossa si è laureato nel 2013 in Archeologia e Storia dell’Arte, due anni dopo consegue il Diploma di Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici-Archeologia Preistorica e Protostorica. Dal 2006 al 2016 ha partecipato a campagne di scavo presso vari siti della Sardegna e Corsica (per citarne qualcuno: Nora, nuraghe Su Mulinu-Villanovafranca, Santadi, San Sperate, nuraghe Asusa di Isili, sito Protostorico di Campo Stefano, Sartène, Corsica del Sud) e pubblicato su riviste del settore studi corredati da documentazione fotografica e grafica.

Attualmente si occupa di sorveglianza archeologica presso il Comune di Narcao e Perdaxius e svolge attività di catalogazione presso il Comune di Villanovafranca nel Civico Museo Archeologico Su Mulinu.

 


A.M.:
Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?

Alberto Mossa: La storia dovrebbe raccontare oggettivamente i fatti accaduti ed essa si distingue dal mito perché ne esclude gli elementi più fantasiosi, un po’ come la filosofia ha fatto con la religione; nelle leggende possiamo trovare un fondo di verità che viene mutato di volta in volta o accresciuto in base alla trasmissione del racconto. In Archeologia, almeno per quanto riguarda la preistoria e la protostoria, si tenta di ricostruire il passato facendo parlare i manufatti, le stratigrafie e le strutture, la penuria di elementi provanti non deve dare adito a mere fantasie.

 

A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?

Alberto Mossa

Alberto Mossa: Più che sconosciuti direi abbastanza noti, in Sardegna sono presenti oltre 7.000 strutture che caratterizzano da millenni il nostro paesaggio, questi edifici hanno subito nel corso dei secoli un’evoluzione strutturale e un cambio di destinazione d’uso dettato da mutamenti in campo politico e sociale o da semplici esigenze pratiche. Esempi lampanti sono i nuraghi complessi di Su Nuraxi-Barumini e Genna Maria-Villanovafranca, due imponenti strutture complesse che hanno subito vistosi cambiamenti e una destrutturazione in favore della nascita di ampi villaggi; proprio per questo motivo è doveroso inquadrare il monumento in ogni sua precisa fase cronologica. In altri luoghi del bacino mediterraneo conosciamo strutture che a grandi linee ricordano i nostri nuraghi ma che sono stati innalzati con tecniche costruttive differenti ed aventi una destinazione d’uso totalmente diversa, tra gli esempi più celebri si possono citare i castelli della Corsica, i talayots balearici o i sesi di Pantelleria.

 

A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?

Alberto Mossa: Penso che all’interno del Mediterraneo le idee e le tecniche costruttive viaggiassero senza problemi. Certo è difficile dire chi ha influenzato chi ma penso che più popolazioni possano convergere ad una stessa soluzione pur non incontrandosi mai e per pura analogia.

 

A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?

Alberto Mossa: Propenderei per l’etimo “nur” d’estrazione prettamente mediterranea che indica cumulo di pietre o cavità, ovviamente la definizione riassume ai minimi termini l’aspetto esteriore di queste grandiose strutture turrite ma sono fermamente convinto che sia l’interpretazione più plausibile e sensata.

 

A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?

Alberto Mossa: Un tasto molto dolente è la mancanza di finanziamenti sufficienti per continuare la ricerca o utili ad approfondire alcuni aspetti che necessitano, giocoforza, l’utilizzo di tecniche d’analisi costosissime. È giusto indagare nuovi contesti ma sarebbe anche il caso di fermarsi a riflettere ed iniziare a studiare nei depositi dove sono custoditi grandi quantità di reperti, ci sono tanti vecchi scavi inediti che meriterebbero adeguate pubblicazioni e non sempre è semplice poter accedere a questi dati.  Purtroppo devo dire che alcuni archeologi della vecchia guardia (non tutti per fortuna) hanno confuso e confondono ancora il significato di patrimonio collettivo con quello di patrimonio privato. Un’altra problematica della Sardegna è quella di condurre una ricerca remunerati, accedere ad un dottorato è sempre più difficile e i posti sono insufficienti. Tutta questa situazione porta ad una “fuga di cervelli” dall’Isola.

 

A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?

Alberto Mossa

Alberto Mossa: La stele di Nora è uno dei documenti più antichi in lingua “fenicia” giunto sino a noi in maniera fortuita, non mi occupo di epigrafia e non voglio addentrarmi in campi a me sconosciuti ma la questione interpretativa pare non sia affatto chiusa. Nella lettura è stato individuato il termine Shrdn ma il problema sta nel significato della parola: si tratta di una regione dell’Isola? Di una parte della popolazione o di tutto il popolo paleosardo? Non sappiamo se l’antico popolo nuragico dell’Età del Ferro si identificasse in questo termine, così come gli stessi fenici non si identificavano come tali in quanto facenti parte di una compagine etnica piuttosto variegata e proveniente da diverse città-stato. Dalla letteratura archeologica è ormai accertato che in Sardegna esistettero numerose comunità con nomi differenti; da questo punto di vista ci vengono in contro sia le fonti scritte dei geografi (tra tutti Pausania e Solino) che alcuni ritrovamenti epigrafici romana in cui sono menzionate.

 

A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?

Alberto Mossa: La scrittura è una prerogativa di quelle entità comunitarie chiamate early states, il che presuppone uno stato centralizzato, altamente organizzato, in grado di gestire grandi estensioni territoriali e di redistribuire le risorse da esso derivate in maniera capillare, ne sono esempi lampanti popoli quali Sumeri, Egizi, Cretesi, Micenei e “Fenici”. I sardi dell’Età del Bronzo pur utilizzando un sistema di redistribuzione delle risorse erano organizzati secondo un sistema di comunità micro frammentate e volte a sfruttare capillarmente ogni singola fetta di territorio. Tra il Bronzo finale e la Prima Età del Ferro assistiamo a radicali cambiamenti sia a livello socio/politico che nell’organizzazione dello spazio comunitario. In alcune aree come la Marmilla e il Campidano inizio a delinearsi a partire dal VIII e il VII sec. a.C. la creazione di entità protourbane analogamente a quanto osservato nell’Etruria meridionale, e assieme a questi mutamenti iniziano ad essere adoperati dei segni grafici apparentemente mutuati dal mondo greco e cipriota e aventi probabilmente sia una valenza ponderale che fonetica.

 

A.M.: Chi sono gli Shardana?

Alberto Mossa: Francamente non posso dire con certezza se i Sardi nuragici e gli Shardana fossero la stessa popolazione; mettendo a confronto le iconografie dei templi egizi con i bronzetti (seppur essi successivi) si colgono diverse analogie nell’abbigliamento, ma sarebbe doveroso ricercare quegli elementi di cultura materiale che documentino le tracce del loro passaggio in Egitto.

 

A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?

Alberto Mossa: Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un vero e proprio far west fantarcheologico dove ognuno si è sentito autorizzato a dire la sua senza avere sufficienti mezzi o un’adeguata preparazione con cui argomentare teorie e supposizioni, più volte ho assistito a situazioni ridicole e ai limiti del puro delirio. Purtroppo l’archeologia viene considerata da molti come un hobby, una materia da cui sentirsi dire risposte di comodo o un argomento degno delle peggiori chiacchiere da bar; più volte mi sono domandato sul perché di questo fenomeno e su come esso sia dilagato in maniera così esponenziale, dietro questo fenomeno c’è anche un giro di case editrici e autori in cerca di notorietà. L’astio nei confronti dell’archeologia ufficiale è visibilmente palpabile, per contrastare il nostro lavoro si tirano in ballo le vecchie teorie di Lilliu alla stregua di “colpe” ereditate all’interno del mondo accademico (Lilliu diceva che i sardi non navigavano) o storie come: “i fenici non sono mai esistiti” e “le statue di Mont’e Prama sono state nascoste per celare e sminuire la nostra storia”, insomma un campionario di frasi fatte da analfabeta funzionale che rassomigliano in tutto e per tutto a quelle utilizzate nell’attuale politica (e il PD?, e la Boldrini? etc etc..). Mi rendo conto che gran parte delle nostre pubblicazioni devono obbligatoriamente avere un taglio scientifico (come giusto che sia) e che esse mirino ad un pubblico di fruitori quali gli specialisti del settore; è vero a molti risulteranno incomprensibili, ma trovo altrettanto giusto lavorare in parallelo nelle scuole con i bambini e sensibilizzare alla riscoperta della storia locale chi è digiuno di certi concetti ma che ha sete di conoscenza, ovviamente avvalendosi di un linguaggio semplice e comprensibile.

 

A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamati nuraghi?

Alberto Mossa

Alberto Mossa: Le logiche che hanno portato a questo fenomeno purtroppo sono partite anche dall’alto, diversi i finanziamenti pubblici stanziati e successivamente spesi che potevano essere utilizzati in modo più utile per la ricerca scientifica sono finiti in inutili mostre per pubblicizzare la Sardegna quale Atlantide. Sono del parere che non abbiamo bisogno del supporto di un mito o l’esigenza di inventarci altre teorie strampalate per poter raccontare quanto fosse importante la civiltà nuragica: è sufficiente osservare gli innumerevoli monumenti lasciatici in eredità che caratterizzano il nostro paesaggio o gli originali esempi di cultura materiale che possiamo ammirare nei diversi musei archeologici. Da sardo fermamente innamorato di questa terra mi rendo conto che molti dei miei conterranei cercano in tutto questo un motivo di rivincita, derivata da una frustrazione frutto di sbagliate scelte politiche e culturali; ci troviamo davanti ad un problema ormai sedimentato da più generazioni. Da indipendentista convinto e da archeologo pensante posso solamente suggerire che è necessario distinguere scienza da ideologia politica, la storia ci insegna che altri in passato hanno commesso l’errore di accorpare le due cose e infatti i risultati sono stati disastrosi ed al dir poco inquietanti.

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Alberto Mossa: Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri (…) Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia.” ‒ Antonio Gramsci

 

A.M.: Alberto ti ringrazio per questa coinvolgente intervista nella quale è viva la passione che ti lega alla Sardegna ed all’archeologia. Ti saluto con le parole dello scrittore e poeta austriaco Karl Kraus: “Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti.”

 

Written by Alessia Mocci

 

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