Le métier de la critique: l’ultima corrispondenza di Massimiliano Chiamenti e le fatture a senso unico

“le uniche lettere che ricevo/ sono ormai solo richieste di pagamenti/ multe bolli sanzioni minacce/ mai un messaggio con un invito a cena/ o a leggere le mie poesie/ da qualche parte/ o un editore che mi voglia pubblicare/ da me il mondo vuole solo soldi/ che non ho più neanche per mangiare/ allora ogni giorno mi alzo/ spero di riuscire a trovare cibo/ e attendo il momento del sonno/ che mi liberi dall’incubo della mia vita/ non cerco più niente/ ho perduto tutto/ e più niente mi interessa/ tiro solo avanti/ senza mai un aiuto/ e attacchi sempre più omicidi/ mi faranno morire tutti di fame/ e di crepacuore/ ma io continuo il mio cammino/ anche se questo inferno/ non si può chiamare vivere/ eppure è così/ nella vita ci vuole prudenza e senso pratico/ o si perisce/ e i guai non hanno mai rimedio/ basta un attimo a commetterli/ e poi non si rimedieranno mai/ perché non mi uccido?/ perché anche per togliersi la vita/ ci vorrebbe un bello slancio di vitalità” ‒ “fatture”

Massimiliano Chiamenti

Ho trovato la presente poesia di Massimiliano Chiamenti in un articolo in sua memoria scritto da Marco Palladini su “Le reti di Dedalus” nell’occasione della sua scomparsa avvenuta nel 2011. Credo che essa sia ancora tutt’ora inedita, non essendo stati pubblicati in termini recenti (e forse mai lo saranno!) volumi riepilogativi della produzione letteraria del Chiamenti. Questa, assieme ad altre liriche, fa parte di un ciclo definito in maniera quanto mai drammaticamente anticipatoria “Suicidal Poems”.

Sul temperamento sfrontato di Chiamenti e la sua double face (dantista rispettato prima, performer maledetto poi) molto si è scritto subito dopo la sua morte ma chi meglio ce l’ha raccontato sono stati i suoi amici fedeli, quei compagni di serate e di tormenti che, nei suoi tanti attimi di difficoltà e delirio, l’hanno sostenuto e accompagnato. Tra di loro prevale ancora oggi l’idea che Massimiliano Chiamenti, dopo tutto, fosse un timido e dal largo sorriso. Aspetti, questi, che suonano particolarmente distanti e forse falsati rispetto alla sua dissolutezza e ingovernabilità, alla discesa nel baratro, all’abuso delle droghe, alla sua malattia infettiva che lo indeboliva e lo rendeva instabile e sempre più ossessionato dalla ricerca della morte.

Questo l’uomo e altrettanto la sua poesia: alternativa, dirompente, dissacrante e incendiaria, dissoluta e accusatoria, pietosa e recriminatoria, superba e allitterativa, moderna e frantumata, virulenta, potente e provocatrice come un’invettiva incentrata sull’amore per la vita e la morte, fatta di esperienze omosessuali, orge, appuntamenti al buio e di vasti campionari di droghe.

Marco Palladini parlò di “poesia nitida, ironica, scoperta e vulnerabile […] ‘in presa diretta’, ma per nulla naif”, Marco Simonelli di “poesia maledetta e geniale”, mentre Francesca Del Moro, parlando della “ostinata giovinezza [e] la tensione verso un sogno di pienezza e libertà”, ne sottolineò la profonda carica amorosa sottesa in ogni brano poetico, anche quando “parl[ava] di droga, vomito, merda o malattia”, di un amore “che supera la rabbia, la paura, la persistente malinconia”.

Non ci sono, però, parole più esatte per descrivere i suoi testi se non la sua stessa poesia intitolata “forma”, una sorta di postmoderna e rivoluzionaria dichiarazione di poetica: “la mia forma/ poetica/ riconoscibile:/ una ventina di versi/ brevi anzichenò/ pochissimo punteggianti/ sempre/ senza maiuscole/ a metrica sillabicamente libera/ ma con un certo ritmo musicale;/ poesie e non prose/ sempre a metà/ tra gnosi/ e lirica/ a metà/ tra note di diario/ e manifestino/ eversivo/ influenzate/ da leopardi/ dai poeti dell’inglese/ e da un trilione/ di canzonacce rock”.

All’analisi della poesia “fatture” preferisco far precedere alcune note introduttive richiamando un altro suo testo poetico, precedente di alcuni anni, dal titolo “pensiero”. In esso l’autore sembra aver compiuto una sorta di riconciliazione con la vita dopo aver maturato istinti lesivi nei confronti di se stesso (“non ho più paura/ di morire”) che potrebbe esser letto come un ritorno a una fase di lucidità e razionalità in precedenza influenzata da droghe, amore doloroso, desolazione e turbamenti da forme di emarginazione.

L’io lirico non dice, però, che “non vuole più morire” (la tanatofilia è uno dei temi cardine della sua intera produzione) quanto di “non averne più paura”. Di aver meglio compreso, forse, la forma dell’esistenza, la caratteristica finitudine che grava sul tempo che passa, senza più il tormento e l’avversione dinanzi allo sconosciuto mistero. A seguire, nei versi, si percepisce un vero sentimento di desolazione in merito alla cattiva ricezione della sua opera da parte della comunità letteraria. A tal riguardo Marco Palladini in un articolo parlò della “[sua poesia] clamorosamente ignorata da pressoché tutta la critica, militante o accademica, italiota” aggiungendo che “anche questo permanente misconoscimento faceva soffrire Massi, contribuiva al senso di isolamento e di disperazione”.

Qui nella poesia Massimiliano Chiamenti paventa che i suoi posteri (forse ancor più e ancor meglio di chi lo conobbe) lo scopriranno postumo, lo leggeranno (e lo apprezzeranno) con una non celata accusa, appunto, alla grettezza degli ambienti e dei salotti borghesi, ai consessi accademici e formali dove si fa la letteratura, a chi l’ha stigmatizzato, allontanato, silenziato o non considerato in quanto letterato e, soprattutto, poeta. Difatti anticipa – illanguidendo ancor più il tono della lirica che è già di per sé tormentoso – un futuro in sua assenza (“so che qualcuno/ li leggerà/ e mi rim-piangerà/ troppo tardi/come avviene/sempre/con i morti/ quando sono morti/ e non possono tornare più”).

L’io lirico, in un profondo atto drammatico imperniato in una forma di straniamento temporale, intravede il pubblico che non ha mai avuto (e che avrebbe desiderato e meritato) in un non meglio definito futuro (prossimo o remoto?) attorno alla sua opera, alla sua figura. Non solo: l’animo ferinamente leso del Nostro, al contempo lastricato di un orgoglio timido, fa dire alla voce poetica che verrà rimpianto. È evidente, dunque, la presenza alata di un tono accusatorio reso in maniera compassata col quale, pure, il Chiamenti non manca di esprimere la sua disaffezione al tempo che passa senza riconoscimenti, senza la possibilità di comunicare come desidera. Lo stordimento non è solo dato dalle sostanze tossiche assunte bensì da quel pensiero ossessivo attorno all’inosservanza e all’indifferenza verso di lui in quanto poeta.

La lirica, che pure parla di morte, come spesso avviene nella sua opera poetica, ne dà un’immagine quasi pacificata dell’eterna compagna al punto tale che è in grado di staccarsi dalla sua corporeità e immaginare – diremmo oggi con profetica capacità – il suo post-mortem, un tempo a lui ben più favorevole e propizio. Non è un caso che molte persone – mosse dal vivo interesse e scovato un vero genio ‒ abbiano scoperto, letto e approfondito la sua opera solo dopo il suo salto abissale verso l’infinito. Nei non influenti problemi di divulgazione della sua opera dopo la morte (a causa di reticenze familiari e di messe al bando editoriali comandate dai primi) ciò è stato reso possibile unicamente dall’attività di diffusione dei suoi testi, di redazione di articoli, di organizzazione di eventi in sua memoria, tributi, reading, compleanni nell’assenza del corpo che i suoi più cari amici hanno continuato a organizzare.

Massimiliano Chiamenti

La poesia “pensieri” affronta la morte che, pur non lontana, è sempre una possibilità valida e che aleggia nella stanza, un motivo che, lancinante, pulsa nella mente come il suono continuo di un campanello che rintrona nelle tempie. Essa è, appunto, la fonte-matrice di quei “pensieri” di un al di là che non riguarderà il destino della sua anima o la corruzione del corpo bensì – si noti l’atto di generosità – l’elemento sociale, quel pubblico di ‘altri’, più o meno conosciuti, l’insieme delle genti oltre la sua stanza di casa-camera mortuaria. Sono dei pensieri, è vero, non delle dichiarazioni o delle assunzioni di responsabilità su ciò che andrà a commettere, dei ragionamenti dolorosi attorno (cito ancora Palladini) alla “propria miseria personale, la depressione, gli avvilimenti del sesso, i tradimenti delle persone quasi sempre sbagliate di cui si invaghiva, in preda ad una fame d’amore, che dopo un po’ di tempo veniva regolarmente delusa”. Sono anche degli ammiccamenti, però, delle attestazioni di stanchezza, di echi indistinti di intenzionalità poco chiare e, forse, appelli di aiuto, ben più che formulazioni di resa. Cristina Annino, invece, ha osservato: “Credo ancora o voglio credere, che Chiamenti non avesse il bisogno disperato che lo ascoltassero di più, lui ascoltava solo disperatamente se stesso […] Mi sembra banale per non dire farisaico, che ogni scomparsa volontaria o comunque precoce generi un retorico senso di colpa nei vivi”.[1]

Se si leggesse la poesia “fatture”, di cui si diceva all’inizio, però, non credo che le considerazioni della Annino possano essere ritenute ancora condivisibili, se teniamo presente che è proprio il poeta a confessarci – senza fronzoli né pietismi, com’è nel suo stile – “tiro solo avanti/ senza mai un aiuto”.

L’intero componimento, pur girando attorno al tema della difficoltà economica, ha, infatti, senz’altro un’eco maggiore a voler trasmettere un disagio che non è solo materiale bensì intimo e radicato nella psicologia del Nostro. Il poeta parla della noia di essere tartassati da scadenze tributarie e pagamenti di vario tipo, dell’insofferenza verso una corrispondenza ricevuta negli ultimi tempi che è di natura prettamente merciologica, contrattistica e priva di qualsiasi contaminazione emotiva. Si tratta del primo riconoscimento di una distanza dall’umano sentire che, forse, è stata anche ricercata e voluta in maniera ottundente (gli amici ricordano che, nelle varie fasi intercalanti di delirio dell’uomo, spesso manifestava un carattere riottoso preferendo allontanarsi e rinchiudersi nei suoi spazi).

Quelle fatture che puntualmente giungono nella sua cassetta postale sono il segno di un tempo che imperversa e segue con le sue cadenze (le mensilità dell’affitto?) e modalità rituali che appartengono al succedersi ordinario dell’esistenza umana. Sono carte sterili che hanno a che fare con cifre, riferimenti bancari, estremi di versamento, codici e soprattutto scadenze da dover compiere e garantire a meno di non voler incorrere in situazioni spiacevoli. È la vita concreta del reale che scorre e dalla quale non è possibile togliersi né smarcarsi perché, se da una parte sembra affossare il desiderio di una durevole tranquillità, dall’altra rappresenta le fondamenta di un mondo organizzato e strutturalmente complesso che è necessario in quanto ne siamo parti indissolubili.

Massimiliano in questa fase critica della sua vita, forse adombrato anche dalla possibile fine o fuga di un amante sul quale molto aveva investito e in preda a un delirio persecutorio, affronta l’invalidante realtà di ciò che chiama “l’incubo della mia vita”. Un universo che si è fatto retrattile e miope dinanzi ai momenti di convivialità, scambio, socialità e amore alla quale ha fatto seguito un’età desolante dove le giornate scorrono identiche, contrassegnate dalle sole missive che pretendono una compartecipazione, sì, ma meramente monetaria. Massimiliano sembra ineluttabilmente chiuso in una sfera di cristallo, incomunicabile con la società e si sente abbandonato, privo d’aiuto, commiserazione e sostegno: “mi faranno morire tutti di fame/ […] ma io continuo il mio cammino/ anche se questo inferno/ non si può chiamare vivere”.

Poi la chiusa, stringente e perentoria, strozzata e interrogativa attorno a un imperativo che si considera come possibilità: quello del suicidio appunto. Il poeta domanda a un ipotetico uomo, lettore, spettatore delle sue vicende. Un qualcuno che non c’è, un’alterità possibile eppure fumosa e indefinita. Quello che sembrerebbe a prima veduta un interrogativo retorico (conoscendo la sua produzione che non è infrequente a tali rimandi e l’ultima silloge dal titolo chiarificatore evvivalamorte), in realtà si mostra paurosamente incipitaria del gesto dissacrante eppure salvifico che di lì a poco si appresta a compiere. Il distico finale richiama, però, ancora la vita nella sua sprizzante foga ed energia descritta in un “bello slancio vitale” quale pre-requisito necessario e cogente per proiettarsi nello spazio senza tempo. Slancio che Massimiliano ha colto e vestito con caparbietà e forse con una pretesa di fondo: quella della denuncia della solitudine che può celarsi nell’uomo e fagocitare chi, abbandonato, malato e in crisi con se stesso, ha già deciso di inscenare l’ultimo atto performativo.

 

Massimiliano Chiamenti nacque a Firenze nel 1967. Amante della poesia, traduttore e dantista molto apprezzato, pubblicò il saggio Dante Alighieri Traduttore (Le Lettere, 1995) e curò l’edizione Comentum super poema Comedie Dantis (Arizona Center for Medieval and Renaissance American Studies, 2002). Noto per lo più come poeta performativo e cantante (due cd pubblicati, Emme e Storyboard 1999 rispettivamente nel 1998 e 1999), fece parte della vita culturale degli ambienti underground della Firenze degli anni ’80 e ‘90 per spostarsi poi a Bologna. Lì il suo dramma esistenziale, accentuato dall’uso spasmodico di droghe e fiaccato dalla sieropositività, esplose con la decisione di porre fine alla sua esistenza nel 2011.

Le Teknostorie

Artista dissoluto e maledetto eppure ascoltato e benvoluto, dalla doppia vita, un po’ come Pasolini intellettuale e rimorchiatore di ragazzini, Chiamenti fu apprezzato in maniera tiepida per la sua attività di dantista e ancor meno dall’ambiente culturale ufficiale. Ricevette, però, considerazione e stima da parte di intellettuali del calibro di Lawrence Ferlinghetti (adorava, infatti, la beat generation![2]) che collaborò con lui alla pubblicazione Maximilien pubblicata dalla City Lights nel 2000; Mariella Bettarini, sua concittadina, le cui edizioni Gazebo pubblicarono post nel 1997; dalla poetessa popolare marchigiana Novella Torregiani che l’ospitò in un poetry slam a Porto Recanati da lei indetto nell’agosto del 2010 oltre che dagli ambienti trasgressivi e rivoluzionari, contestatori e dalla nuova cultura fatta non più in biblioteche e università ma nei locali, all’aperto, finanche di notte e con commistioni musicali e performative. La sua attività era seguita e considerata favorevole in termini critici anche dalla redazione della rivista “Segreti di Pulcinella” e dal direttore Massimo Acciai che nel 2003 diedero alla stampa la versione d’esordio delle teknostorie oltre a pubblicare sulla rivista alcune sue recensioni cinematografiche. Non va neppure dimenticato il premio “Città di Corciano” vinto nel 1995 consegnato dal padre dello sperimentalismo, Edoardo Sanguineti.

Numerose le opere poetiche tra le quali Telescream (Cultura Duemila Editrice, 1993), alla quale seguirono User-friendly (David Seagull, 1995, x/7 (Dadamedia, 1996), p’t (post) (Gazebo, 1997), Schedule (City Lights Italia, 1998), Maximilien (City Lights Italia, 2000), le varie edizioni de le teknostorie (Edizioni Segreti di Pulcinella, 2003; Zona, 2005); free love (Giraldi, 2008), Adel &c (Fermenti, 2009), Paperback writer (Gattogrigio, 2009), evvivalamorte (Le Cariti, 2010), egiemme (Polìmata, 2011) e la raccolta di racconti Scherzi? (Giraldi, 2009). La sua ultima opera, Di/e con Daniele, composta da 33 canti, venne inviata in pdf a mezzo mail agli amici più stretti poco prima di morire e rimane a tutt’oggi inedita. Essa può essere, comunque, consultata presso il centro di documentazione del Cassero di Bologna. Collaboratore di numerose riviste letterarie tra cui le fiorentine “L’area di Broca” e “Segreti di Pulcinella” ed anche “Il filo rosso” e “Semicerchio”.

Presaga, forse, ancor di più di ogni altra lirica di morte, la foto di Amelia (Rosselli) nella sua camera di cui parla nella poesia “di nuovo”: “amelia perché ti sei buttata quel giorno/ dalla finestra di piazza navona/ […]/ bevo la non voglia e la non forza/ di arrampicarmi al davanzale come la tosca o come te/ e finalmente volare nel cielo felice?/ ma tu amelia non rispondi/ perché tu sei solo inchiostro sulla carta/ e io sono solo un miscuglio chimico”.

Franco Buffoni, in un messaggio pubblicato su “Nazione indiana” ricordò con piacevolezza il loro ultimo incontro avvenuto pochi mesi prima al Gay Village di Padova dicendo di sentirsi tradito dalla sua dipartita improvvisa per non poter avere più la possibilità, come d’accordi, di rincontrarlo.

A sei anni di distanza dalla sua uscita dal mondo, le fanzine “Idioteca” e “Lungi da me” hanno organizzato un evento per ricordarlo svoltosi al XM24 di Bologna. Una simile iniziativa si è tenuta presso i locali del Pentatonic di Roma il 19 novembre di quest’anno con le letture di Alessandro Brusa, Francesca Del Moro, Martina Campi, Ludovico Guenzi e interventi critici di Sonia Caporossi e Marco Palladini.

 

Written by Lorenzo Spurio

 

Note

[1]  Commento datato 13/09/2011 a firma di Cristina Annino messo al post dal titolo “Massimiliano Chiamenti” del 12/09/2011 nel blog “blanc de ta nuque – uno sguardo sulla poesia italiana contemporanea” gestito da Stefano Guglielmin: Pagina web

[2] Marco Simonelli nel suo recente articolo ricorda che il Chiamenti “tradusse Cocci di Ferlinghetti e Letto di Sfingi di Lamantia”.

 

Bibliografia

Palladini Marco, “I versi postremi: “le voci dissonanti””, Reti di Dedalus, ottobre 2011. LINK

Tripodi Rino, “Le uniche lettere che ricevo/ sono ormai solo richieste di pagamenti”, LM Extra n°28, 15 maggio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n°77, maggio 2012. LINK

“Massimiliano Chiamenti, sei anni dopo Bologna ricorda il poeta punk che fece harakiri per amore”, Il Fatto Quotidiano, 24/05/2017.

Del Moro Francesca, “Rileggendo Massimiliano Chiamenti”, Versante Ripido, 1-11-2014.

Paloscia Fulvio, “È morto Chiamenti il dantista rocker”, Corriere della Sera, 07-09-2011.

Caporossi Sonia, “L’attrazione tanatofila di Massimiliano Chiamenti come motore interno dell’opera e della vita”, Critica Impura, 10-12-2017.

Simonelli Marco, “Educazione sentimentale del poeta adolescente”, Inverses – Letteratura, Arti, Omosessualità, numero speciale Italia, a cura di Luca Baldoni, Société des Amis d’Axieros, 2017.

Guglielmin Stefano, “Massimiliano Chiamenti”, blanc de ta nuque, 12/09/2011. LINK

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

OUBLIETTE MAGAZINE
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.