“La quarta mano” di John Irving: vivere è soprattutto imparare a non resistere a quello che accade

Se c’è una cosa che apprezzo dei romanzi di Irving, direi che è senz’altro l’imprevedibilità. Inizi a leggere “La quarta mano” (Rizzoli) pensando che sarà sicuramente incentrato su come Patrick Wallington diventerà un uomo migliore a seguito della perdita della mano. Ma non è così. Anzi, lo è, ma non è tutto qui.

La quarta mano

Patrick è un giornalista che lavora come inviato per una rete televisiva di notizie no-stop. Quando viene fatto partire per l’India, il suo compito è quello di intervistare gli artisti di un circo.

Patrick pensa che ne uscirebbe un servizio fantastico, se solo potesse parlare di come molti artisti del circo vengono venduti al circo stesso dalle proprie famiglie perché sfuggano alla povertà. Ma no, il suo compito è realizzare un servizio mediocre in cui vi sia un qualche spunto per fare polemica, quindi intervista il proprietario del circo.

Mentre il servizio giunge alla fine, Patrick avvicina la mano alla gabbia dei leoni, in modo che il microfono possa catturare il verso degli animali, ma ecco che uno dei felini gli afferra il braccio e si infila la mano di Patrick in gola.

In meno di trenta secondi, il video del leone che mangia la mano di Patrick sciocca un’intera nazione e lo stesso giornalista. Anche Doris Clausen, moglie di Otto Clausen, è sintonizzata sul canale di notizie no-stop in quel momento.

Non appena vede il leone che mangia la mano di Patrick, Doris chiede a Otto se non sarebbe felice di donare la mano sinistra a Patrick. In fondo, sono anni che i due coniugi provare ad avere bambini. E se Doris contattasse Patrick e gli proponesse uno scambio, chiede lei. Otto è scioccato e non sembra convinto che il piano di Doris possa funzionare. Ma poco importa, perché a distanza di qualche settimana, Otto sarà morto.

A quel punto, sua moglie scrive al dottor Zajac, un chirurgo specializzato in tutto ciò che riguarda le mani, e gli offre la mano sinistra di Otto affinché possa trapiantarla a Patrick. Zajac accetta, ma Doris avanza una richiesta: vuole conoscere Patrick. È così che il giornalista si ritrova in uno studio chirurgico, seduto accanto a una sconosciuta che gli parla del suo desiderio di avere un bambino.

Credo che il vero filo conduttore di questo romanzo sia il bisogno di cambiare, e non necessariamente perché si è infelici. Vivere significa inevitabilmente attraversare una serie di cambiamenti, di fasi, di aggiustamenti più o meno significativi.

Vivere è soprattutto imparare a non resistere a quello che accade, ma ad assecondare gli eventi. Più ci si oppone al cambiamento, più questo fa male. Più si pensa di dover cambiare il destino, più ci si scontra con cose sulle quali non abbiamo potere.

John Irving

La vera soluzione è provarci, immergersi nelle situazioni, lasciare che evolvano e poi provarci di nuovo, in modo diverso e magari più efficace. Vivere non è andare nella propria direzione, fingendo di ignorare che tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro.

Vivere è sentirsi grati di ciò che si ha, pensare a ciò che si potrebbe avere e prendere la vita così come arriva, ricordandosi che comunque può tutto continuare a cambiare. Non so se questo fosse il messaggio che Irving voleva trasmettere con il suo romanzo “La quarta mano,” ma è quello che ci ho letto io, è la lezione che vorrei trarne io.

Credo che ognuno legga nei romanzi la lezione di cui ha bisogno in quel momento. È probabile che stia trasferendo in questo libro qualcosa che voglio trasmettere a me stessa.

È probabile che sia completamente fuori strada.

Ma una cosa, comunque è certa: Irving resta un mago della penna, uno di quei narratori rari che vanno letti. E magari, dopo che avrete terminato “La quarta mano,” potrete farmi sapere quale morale ne avete tratto voi.

Buona lettura.

 

Written by Giulia Mastrantoni

 

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