“Sharon e mia suocera. Se questa è vita” di Suad Amiry: vivere sotto occupazione di un esercito straniero
“Sono salita in macchina e sono tornata a casa, facendomi strada tra rovine e cumuli di macerie. Mentre la gente si affrettava a rincasare e ancora una volta Ramallah si andava rapidamente trasformando in una città fantasma, non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine delle telefonate isteriche di Jad che chiedeva aiuto. Ho pianto”.

Suad Amiry con la sua consueta penna graffiante e allo stesso tempo avvolgente ed ironica ci cala nelle atmosfere dell’occupazione operata dall’esercito israeliano dei territori palestinesi e in particolare della città di Ramallah, dove per molti anni era insediato il quartier generale di Arafat.
In questo suo doppio libro “Sharon e mia suocera” e “Se questa è vita”, edito in Italia da Feltrinelli, la scrittrice palestinese racconta in una sorta di diario di guerra la complessità della vita nei territori occupati, dove ogni singola azione, anche quella più elementare, si complica e rischia di mettere a repentaglio l’incolumità dei palestinesi.
Il libro nasce nel 2002 ma contiene testimonianze di avvenimenti succedutisi negli anni dell’occupazione e del coprifuoco che ha rinchiuso in casa gli abitanti di Ramallah e dei villaggi limitrofi.
E allora Suad racconta come è la vita da segregati in casa, le uscite programmate all’ora in cui viene sospeso il coprifuoco, le corse per rientrare prima che scatti di nuovo, imparare a convivere con un pericolo costantemente in agguato, un pericolo che non guarda in faccia a nessuno, adulti o bambini, uomini o donne, giovani o anziani.
“Vedere quei bambini niente affatto intimiditi e liberi, benché la situazione non fosse delle più tranquillizzanti, mi dava grandi speranze per la Palestina. Di tanto in tanto, preoccupate, le madri dicevano incidentalmente ai propri figli di stare buoni: ‘smettetela, se no il soldato israeliano ci spara’”.
Nasce così, in mezzo alla paura e al pericolo costante, un barlume di speranza, il sogno di un futuro diverso, dove si possa tornare a vivere tranquillamente la propria vita sulla propria terra. Ma la quotidianità, come ce la racconta la Amiry, è ben altro che un sogno. Tutto diventa incubo.
Gli attraversamenti dei numerosi checkpoint, il mancato rilascio di documenti, le pastoie burocratiche costruite ad arte per rendere impossibile qualunque richiesta. E le paranoie, i sospetti, tutta una serie di emozioni e sentimenti che non lasciano dormire sonni tranquilli né vivere una vita che possa dirsi tale.
Il messaggio che la Amiry ha voluto lanciare al mondo con questo suo lavoro è proprio quello di far conoscere la vita nei territori occupati, cosa significa vivere sotto occupazione di un esercito straniero, quali limitazioni ad una vita normale si devono subire.

Emblematico e capace di suscitare tenerezza e rabbia insieme è il passaggio in cui l’autrice parla della suocera, una donna di 94 anni che ha avuto la sfortuna di abitare proprio di fronte al quartier generale di Arafat a Ramallah e quindi sotto costante tiro dell’esercito israeliano.
L’anziana donna non capisce perché la sua routine debba essere sconvolta, perché non può consumare i suoi pasti agli orari cui era solita farlo, perché in sintesi la sua vita non può più seguire quella normalità a cui era abituata prima del 1948.
Attraverso questa e altre testimonianze, che raccontano episodi reali, Suad Amiry ha voluto ancora una volta portare all’attenzione internazionale la situazione dei palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana e ne subiscono le conseguenze nella vita di tutti i giorni.
Andare a scuola, andare a lavoro, richiedere la carta di identità, diventano tutte attività impossibili da svolgere, in altre parole la vita non può essere vissuta e quindi è come essere morti prima ancora di morire.
Un messaggio forte che la Amiry consegna a un Occidente incapace di prendere una posizione decisa in merito ad un conflitto che continua a mietere vittime e a tenere vivo l’odio fra due popoli.
Written by Beatrice Tauro