Life After Death: l’intervista alle Statue di Mont’e Prama

Ero lì, nel mio candido lettino, quando sento una voce che mi dice: Svegliati!

Io dico: Ooeeeh?

Dice: Svegliati, sono Platone!

Sala di Mont’e Prama – Museo Civico Cabras

E così, in questo modo sollecitato, ho deciso di seguire il consiglio dell’illustre filosofo, che mi suggeriva di utilizzare l’immaginazione per vedere coi miei occhi come fosse la Sardegna in età nuragica. [1]

Son partito per un tour nella Penisola del Sinis. Ormeggio il Dragut nella bella baia di Tzur, il villaggio Shardana situato presso Murru Mannu prima della fondazione di Tharros, la città costruita dai fenici che non esistono.

Il concetto di portualità è ancora molto relativo tra gli eredi degli Shardana, e l’ormeggio alla boa mi costa ben 32 perline di pasta vitrea blu al giorno – siamo in alta stagione – mi dicono, ma nonostante sa spina tzruppa[2] disseminata in tutto l’arenile, le vermiglie, copiose e saltellanti cavallette, sa tzuga ‒ ovvero i quasi invisibili e fastidiosissimi moscerini neri che attanagliano la pelle ‒ il litorale è meraviglioso.

Dopo il rituale di purificazione presso il santuario di Sha’ar ha ba’al, alla presenza del dio Toro, mi reco presso il Museo di Cabras per incontrare i miei illustri e discussi interlocutori: nientemeno che le statue dei Giganti di Mont’e Prama.

Vengo lasciato solo con le statue.

 

C.F.: Buongiorno antichi guerrieri. Forse non vi ricordate di me, ma ci siamo visti già nel 2007 presso il Centro di restauro di Li Punti a Sassari.

Pugilatore: Buongiorno a te. Mi ricordo, mi scattasti qualche foto.

Arciere: Benvenuto!

Guerriero con spada e scudo: Benvenuto!

C.F.: Signori, avrei piacere di confrontarmi con voi riguardo alla Vostra storia, e alla storia della Sardegna protostorica. Posso rivolgervi alcune domande?

[In modo unanime] Pugilatore, Arciere, Guerriero: Ma naturalmente! Nei limiti di ciò che siamo in grado di raccontare, siamo qui per questo.

C.F.: Cominciamo con la vostra scoperta: quando e chi vi ha visti per primi?

Scavo Alessandro Bedini ed operai – 1975

Pugilatore: Ma certo, tutto ebbe inizio… L’Heroon era ben noto ad alcuni tombaroli locali. Alcuni nostri frammenti furono ritrovati durante le arature, e nascosti in un muro a secco poco distante in attesa di essere portati via. Nel frattempo continuava il saccheggio di alcune sepolture. Una segnalazione alla Guardia di Finanza pose momentaneamente fine a ciò. Gli archeologi arrivarono a partire dal 1975. Fra alterne vicende, nelle diverse campagne di scavo son state rinvenute una trentina di tombe, e siamo stati parzialmente recuperati in 28. 16 pugilatori, 6 arcieri, e 6 guerrieri. Oltre ai 16 modellini di nuraghe.

C.F.: Si dice tra la gente che siete stati tenuti nascosti sino a pochi anni fa. È vero?

Arciere: Nascosti? No, si tratta di un malinteso. Come accennava il pugilatore, il sito era minacciato dai tombaroli. Si trattò soprattutto nei primi tempi di uno scavo di emergenza, non fu possibile scavarci in estensione. I saggi venivano aperti, i materiali asportati, e poi si apriva un saggio adiacente. Gli archeologi hanno dovuto fare un gran lavoro per mappare lo scavo reincollando ogni singolo saggio. I nostri frammenti venivano asportati e portati nei depositi per prevenire i tentativi di furto. Siamo stati esposti negli anni a Cagliari e anche in Italia ed in Europa. Già negli anni ’70 la stampa riportava la scoperta del sito di Mont’e Prama, e già dai primi anni ’80 si parla di noi in diversi articoli e negli atti dei convegni di settore. Non esiste alcun complotto. Semplicemente per anni i non addetti ai lavori non si sono interessati a noi.

C.F.: Quando iniziano i restauri delle statue?

Guerriero: Circa nel 2007, grazie ad un finanziamento del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e della Regione Sardegna, quando ci hai visitati per la prima volta. Eravamo conservati in cassette, ed eravamo dispersi in ben 5178 frammenti. Sotto il coordinamento della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari e Nuoro, si è avviato un processo in cui siamo stati analizzati per scoprire la provenienza della pietra con cui siamo realizzati, il nostro stato di conservazione, e siamo stati documentati fotograficamente, graficamente e in filmato. Sono state analizzate le tecniche di lavorazione e il tipo di strumenti utilizzati per realizzarci: subbie, scalpelli in bronzo, raschietti, punte per incidere, trapani e compassi. Siamo stati poi ripuliti dagli strati di terra e dalle incrostazioni carbonatiche, consolidati e parzialmente ricomposti. Il restauro si è concluso solo nel 2011, e nel 2014 siamo stati esposti ufficialmente a Cagliari e a Cabras.

C.F.: Si dice che siate gli unici esempi di statuaria sarda. È veramente così?

Pugilatore: Non del tutto. Modelli di nuraghe in pietra, protomi taurine, frammenti di statue, sono stati rinvenuti anche in altre zone dell’Isola. Siamo tuttavia l’unico caso di ritrovamento di un gruppo di statue così numeroso e completo.  

C.F.: Perché vi chiamano “i giganti”?

Scavo Carlo Tronchetti – 1977

Arciere: Ah, questa è bella! Non ne abbiamo idea. La nostra altezza è di poco sopra la grandezza naturale. Variamo dai 175 ai 2 metri di altezza. Ma pare che da quando siamo diventati famosi, nel Sinis ogni cosa sia diventata “gigante”, dalla bottarga, ai meloni, alla laguna.

C.F.: Alcuni di voi portano treccine orientalizzanti, e il vostro aspetto di guerrieri ha fatto supporre che possiate rappresentare gli antichi guerrieri Shardana.

Guerriero: Sì!!! Gli Shardana siamo noi, il popolo che costruì i nuraghi!!! Eravamo un popolo guerriero specializzato nel combattimento ed esperto di navigazione. Siamo stati i principali combattenti della grande alleanza dei Popoli del mare, abbiamo fatto tremare i Faraoni e tutte le civiltà del Mediterraneo “il popolo che nessuno è riuscito a sconfiggere” le tavolette di Tel El Amarna ad esempio, il documento di Medinet Habu, l’iscrizione sulla battaglia di Kanesh parlano del nostro valoroso popolo.

C.F.: Una dichiarazione sensazionale!

Arciere: Non gli badare! Il guerriero ha una fervida fantasia e seri disagi. Ha letto dei libri di fantarcheologia e si sta vaneggiando un passato la cui gloria sarebbe anche eticamente opinabile, visto che si vuole spacciare il nostro popolo per un gruppo di predoni incattiviti. Noi siamo stati creati quando ormai i nuraghi non venivano nemmeno più costruiti. Non abbiamo ricordi così antichi, come dimostrano anche i reperti trovati attorno a noi. Come vedi, anche io porto l’arco disarmato sulla spalla, e alzo la mano destra in segno di pace e saluto. Siamo guerrieri, ma non siamo in assetto o in posa da combattimento. In tanti credono che gli Shardana siano i sardi dell’età nuragica. Il nome ricorda quello della Sardegna, e i bassorilievi che li raffigurano con l’elmo, lo scudo e il gonnellino simili a quelli dei bronzetti e di noi statue, hanno fomentato queste convinzioni tra i fantarcheologi.

C.F.: Esistono studi condotti da archeologi professionisti in merito al problema Sardi = Shardana?

Arciere: Il prof. Giacomo Cavillier, archeologo pugliese specializzato in Archeologia Orientale, è specialista di testi ieratici della XX e XXI dinastia, si è specializzato in architettura militare, rapporti tra Egitto e Popoli del Mare, con particolare riferimento agli Shardana. Ha svolto studi nel campo della navigazione antica e delle strutture portuali, e dal 2014 è a capo della missione archeologica italiana (Progetto Shardana) in Corsica meridionale e in Sardegna settentrionale. Sino ad ora, nessun dato archeologico o storico ha confermato questa tesi.

C.F.: E riguardo alla scrittura nuragica? Poco distante abbiamo il santuario di Sha’ar ha ba’al, dove secondo alcuni sono incise importanti iscrizioni in lingua nuragica.

Guerriero – Statua Mont’e Prama

Guerriero: “Ricercatori indipendenti” hanno realizzato dallo studio delle tavolette di Zricotu una imponente grammatica della lingua Shardana.

C.F.: Sorprendente! Quando iniziano a scrivere gli Shardana, e perché?

Guerriero: Secondo uno “studioso”, i sardi cominciarono a scrivere fin dal IX – VII secolo a.C., secondo un sistema alfabetico completo, imparentato col modello di scrittura greco “rosso occidentale“, con segni disposti da sinistra verso destra. Eravamo una popolazione assai evoluta e raffinata, con una struttura sociale complessa, immagazzinavamo risorse e le commerciavamo con le nostre navi. Avevamo per tanto bisogno di rendicontare le produzioni e le vendite. Che fossero per il Re, il Faraone, il capo clan o un semplice commerciante era impossibile non prendere nota di quantità, pesi e misure di ciò che si immagazzinava o si vendeva. Specie considerando che noi Shardana commerciavamo con luoghi ove la scrittura era praticata da tempo come Grecia, Egitto e Fenicia. Mica potevamo essere da meno!

C.F.: Quindi le iscrizioni di Sha’ar ha ba’al sono attendibili?

Guerriero: Assolutamente sì.

Arciere: Ma che dici??? Quel posto è una vecchia cava romana! Ci facevano i rave party sino al 1995! State cadendo tutti nella paraeidolia?

C.F.: Avete parlato di fenici: alcuni “ricercatori indipendenti” sostengono che questa popolazione non sia mai esistita. È corretto affermarlo?

Guerriero: I fenici non sono mai esistiti. Nel IX – VIII sec. a.C. arrivavano nel Sud della Sardegna «sconosciuti, sporadici, impauriti, inadeguati, impreparati gruppi di “vu cumprà” raminghi pel Mediterraneo»[3]. Eravamo noi Shardana a detenere realmente i commerci e gli Emporion, come dimostrano le tombe di Monte Sirai, in cui gli inumati sarebbero sardi e non orientali.

C.F.: Una domanda mi sorge spontanea a questo punto: da queste alture si vede il Golfo di Oristano. Avete mai visto salpare navi “nuragiche”?

Guerriero: Migliaia di navi salpavano dalla Sardegna verso l’Egitto e il Vicino Oriente, dove esportavamo l’argento, la cultura e la lingua sarda. Avevamo…

Arciere: Ma che dici? Guerriero, non inventare cose che non puoi confermare. Claudio, devi scusarci, purtroppo non sappiamo rispondere a questa domanda. Davamo le spalle al Golfo e alle lagune, e la collina di Mont’e Prama ci nascondeva la vista del mare aperto. Non abbiamo mai visto navi o cantieri navali. Qualche carro che passava sul selciato, quello sì. Per le navi dovresti domandare alle navicelle nuragiche, vai al Museo di Cagliari, forse loro sapranno darti delle risposte.

Pugilatore – Statua Mont’e Prama

Pugilatore: A parte qualche fassone, non ricordiamo altro. Sappiamo però che arrivavano di tanto in tanto delle imbarcazioni dall’oriente, che trasportavano bronzo, rame, vetro, ceramica filistea e micenea. Dall’isola partivano vino e piccola statuaria in bronzo.

C.F.: La Sardegna e il mito di Atlantide: fu uno tsunami a distruggere la cultura nuragica?

Guerriero: Ma certo! Ricordo bene quando una gigantesca ondata di acqua e fango distrusse S’Uraki! Noi rappresentiamo il ricordo di quella gloriosa civiltà spazzata via dal cataclisma.

C.F.: Quindi voi vi definireste Shardana Atlantidei?

Arciere: Ma per favore! Non cadiamo nuovamente nella storiella di Atlantide. Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti, questo è certo. E, si sa, l’essere umano ha bisogno del mito per appagare quel senso di inadeguatezza e il gran complesso di inferiorità tipico dei sardi. Atlantide rispondeva bene al requisito di una super civiltà evoluta. Chiunque nel mondo ne ha sentito parlare come di un continente misterioso scomparso e mai più ritrovato. Quella di Atlantide fu un’abile trovata commerciale del 2002, volta a vendere turisticamente la Sardegna, con scaltre mosse disinformative. Il terreno era più che fertile, preparato da decenni di frustrazione e di rivendicazione dell’identità e di una presunta grandiosa cultura sarda. Per il mondo mitico vi è solo un tempo, “quel tempo”, appunto, quello in cui accadde il mito. Questo è il primo carattere del tempo mitico: esso è eternamente presente, e le persone si sentono giustificate a considerare ancora attuale la grandezza del loro mito. Atlantide, gli Shardana, noi stessi “giganti”, siamo stati strumentalizzati per “vendere” quella sarda come “la più grande” di tutte le civiltà, in un passato appunto mitologico.  I sardi, purtroppo, ci si sono aggrappati come ad un salvagente.

C.F.: Secondo una teoria, gli edifici nuragici sarebbero tutti orientati verso particolari logiche astronomiche. Anche voi seguite questo orientamento?

Arciere: Io sono orientato con Orione! L’arciere degli egizi!

Guerriero: Io verso Nibiru!

Pugilatore: Io guardo verso la Stella Polare!

Scoppiano in una risata.

Arciere: È vero, alcuni edifici nuragici come i pozzi sacri e alcuni nuraghi, sono orientati secondo gli equinozi e i solstizi, ma non trovi che se ogni singolo oggetto o costruzione fosse stato orientato secondo questi principi, il nostro popolo non avrebbe dovuto far altro in vita sua se non adorare gli astri, tralasciando ogni singola attività di sussistenza come la caccia, l’allevamento, l’agricoltura, la fabbricazione di utensili, e i commerci? E in tutto ciò avremmo anche dovuto trovare il tempo per fare la guerra e andarcene a zonzo per il Mediterraneo! L’orientamento del filare di tombe a pseudocista su cui eravamo collocati corre su un asse nord-sud. I basamenti di alcuni di noi, mostrano invece bene come fossimo tutti rivolti verso la strada selciata che correva lungo il filare di tombe. Va da sé – come è sensato pensare – che tutti noi guardassimo il tramontare del Sole mentre vegliavamo sui defunti.

C.F.: Prima di salutarci, cosa vorreste dire a coloro che studiano la storia e l’archeologia della Sardegna?

Arciere – Statua Mont’e Prama

Arciere: Quella Sarda è stata una grande popolazione, i sardi dovrebbero però far pace con la storia, accettare il loro passato, e proporre la nostra storia e archeologia per ciò che è. Ci auguriamo che gli archeologi continuino le ricerche in merito, che trovino nuove risposte alle tante domande, e che la nostra storia non si trasformi in una gran carnevalata.

C.F.: Salutiamoci con una citazione.

Arciere: “Il bene della Sardegna si fa rompendo il circolo vizioso della recriminazione e rivendicazione, l’eterno pendolo bipolare che oscilla tra esaltazione e delusione. Dobbiamo finirla con l’idea che siamo sempre stati, siamo e saremo i migliori del mondo, e che per questo il mondo ci calpesta. Dobbiamo diventare bravi, senza barare.”Alessandro Usai

 

Esco dal museo a tarda sera, un poco frastornato e confuso dalle risposte delle statue, di cui sento echeggiare le risate di scherno.

 

Foto tratte dal libro “Giganti di Pietra”, Alessandro Bedini, Carlo Tronchetti, Giovanni Ugas, Raimondo Zucca – Fabula editore, 2012

 

 

 

Note

[1] Libera reinterpretazione dei primi versi de La Genesi, di Francesco Guccini.

[2] Tribulus terrestris.

[3] Dal libro: “I Fenici non sono mai esistiti” – Mikkelj Tzoroddu.

 

3 pensieri su “Life After Death: l’intervista alle Statue di Mont’e Prama

  1. Il guerriero dovrebbe essere il fantarcheologo anlfabeta imbevuto di retorica campanilista, mentre l’arciere ed il pugilatore dovrebbero essere la voce della verità, degli archeologi veri, questo è quello che l’autore dell’articolo ha voluto evidentemente trasmettere.
    Il guerriero che parla di Atlantide, di flotte di migliaia di navi, etc è giustamente da bollare come fantarcheologo, fin qui sono pienamente d’accordo. Non sono tanto d’accordo però neanche con l’arciere ed il pugilatore: Non penso che l’unica alternative alle flotte di migliaia di navi di cui parla il guerriero siano is fassonis del pugilatore. Mi sembra una visione manichea della realtà, l’evidenze archeologiche ci parlano non solo dei viaggi dei loro bronzi, delle anfore vinarie e brocchette Nuragiche, ma anche delle loro ceramiche d’uso comune, in diversi casi anche fabbricate fuori dall’isola, chiara prova dei viaggi compiuti dai Nuragici stessi. Non credo che dal XIV-XIII secolo a.c al VII sec a.c i Nuragici abbiano sempre e solo viaggiato su navi altrui, che non abbiano mai provato ad interagire più attivamente con gli altri popoli, certo viaggiare nel mare con le proprie navi può essere pericoloso, ma non dev’essere meno pericoloso di viaggiare a bordo di navi di popoli stranieri provenienti da migliaia di chilometri di distanza.
    I Nuragici certamente hanno di mostrato una grande capacità organizzativa nel realizzare grandi e pregevoli architetture come i Nuraghi complessi od i templi a pozzo, o nelle infrastrutture come i grandi pozzi e le canalizzazioni, e disponevano sicuramente di un’adeguata tecnologia per poter lavorare il legno, che utilizzavano spesso all’interno degli stessi nuraghi o talvolta come rampe per costruirli, grazie anche al fatto che producevano in grandi quantità utensili in bronzo come le loro numerose asce di diversa foggia, seghette, chiodi, etc e che verso la fine del II millennio a.c svilupparano anche la metallurgia del ferro. Costruire una nave non doveva essere esattamente facile, ma penso che in confronto al costruire il Santu Antine, il Su Nuraxi di Barumini, l’Arrubiu di Orroli etc. non dovesse sembrare un’impresa poi così ardua, soprattutto se si riflette sul fatto che le navi dell’epoca non erano certo come i galeoni del ‘600, e neanche come la navi onerarie romane, in effetti la più grande e più ricca nave del II millennio a.c conosciuta, quella che è affondata ad Ugarit, non doveva superare i 15 metri di lunghezza.
    E non solo i Nuragici avevano sicuramente le capacità organizzative e tecnologiche per poter costruire una nave, ma soprattutto avevano tutte le motivazioni per farlo.
    Lo stagno, il rame, i materiali pregiati etc non interessavano certo solo alle genti urbanizzate del Mediterraneo orientale. A giudicare dal numero di lingotti oxhide di rame Cipriota in Sardegna, dalle ambre, dagli oggetti di lusso come le perline o la testina d’avorio Micenea da Decimoputzu, che probabilmente decorava un prezioso scrigno, o dai bronzi Ciprioti e poi Iberici etc i Sardi Nuragici erano interessati ai prodotti extrainsulari almeno quanto i Ciprioti o i Levantini erano interessati all’argento o al piombo Sardo, o in seguito i Villanoviani ai bronzi , o gli Iberici ed i Fenici al vino.
    Le navicelle Nuragiche rappresentano imbarcazioni, non saranno esattamente dei modelli in scala come quelli fatti dai modellisti odierni, ma nemmeno lo sono le barchette in terracotta da Tarquinia, quelle da Cipro o quella Ittita da Kultepe e via dicendo.
    Non mi sembra che sia sostenibile l’ipotesi avanzata da qualcuno che le navicelle Nuragiche rappresentino quelle Fenicie, Micenee etc, visto che sono completamente dissimili, ed a prua hanno le protomi degli animali che vengono normalmente rappresenati nei bronzi Nuragici incluse le spade votive come ad esempio i cervi, o come i tori e gli arieti, che oltre ad essere rappresenati nei bronzi decoravano persino le strutture Nuragiche in pietra come i templi e le rotonde con bacile.
    Non è raro trovare nelle navicelle altri simboli che riportino direttamente al mondo Nuragico come il nuraghe stesso, rappresentato miniaturizzato a bordo.
    Quindi non mi si dica che la navicelle erano navi Levantine fraintese, perché come ho accennato sopra, i rinvenimenti archeologici ci parlano di contatti abbastanza frequenti tra Nuragici ed Orientali, e soprattutto ci parlano in diversi casi di viaggi compiuti dai Nuragici stessi. Chiarito questo, è davvero sostenibile che i Nuragici, vedendo quelle navi non di rado, e viaggiandoci, poi non sapessero riprodurle e riproducessero tutt’altro?

    E Soprattutto, quanto è verosimile che un popolo che rappresentava continuamente navi, e che le rappresentava con simboli che rimandavano direttamente alla propria sfera cultuale, non abbia mai provato a costruire qualcosa di più complesso di una zattera di canne palustri? Perché i bronzi che rappresentano i guerrieri, i Nuraghi, i carri, le ceste, etc dovrebbero rappresentare il mondo Nuragico ma le navicelle no?

    Davvero mi sembra assurdo che questo pensiero, espresso da Claudio Fadda attraverso la voce del pugilatore, lo si voglia far passare come quello dell’archeologia ufficiale, quando la maggior parte degli archeologi non ha naturalmente nessun problema a parlare di navigazione Nuragica.

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