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“Donne di Beirut” di Iman Humaydan Younes: la ricostruzione del tessuto sociale nel vissuto femminile

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Sono successe molte cose. Piccole cose che hanno tessuto i loro ricami nelle nostre vite. Possiamo ricordarle tutte, oppure solo alcune, ma non riusciremo mai a comprenderne il percorso. Arriva un momento in cui dobbiamo accettarle come sono, porci domande è diventato ormai un lusso. La nostra vita alimenta una continua delusione rispetto ai nostri sogni infantili, e il dolore si fa più profondo ogni mattina. Soffriamo quando nasciamo, quando amiamo, quando partiamo, quando qualcuno se ne va via da noi, quando non ci resta che ridere del nostro dolore”.

Donne di Beirut

Sono le tormentate parole di Liliane, una delle quattro protagoniste del romanzo “Donne di Beirut” della scrittrice libanese Iman Humaydan Younes e pubblicato in Italia dalle Edizioni La Linea.

Un romanzo corale, diviso in quattro capitoli, uno per ciascuna protagonista: quattro donne che raccontano la loro personale esperienza con la guerra civile che, tra il 1975 e il 1991, ha sconvolto il Libano e la città di Beirut.

Ognuna di loro racconta le proprie emozioni, gli intrecci di vicende personali e pubbliche che hanno accompagnato quegli anni difficili, dove essere donna diveniva un elemento di ulteriore fragilità, quando troppo spesso il marito o compagno finiva ammazzato nei combattimenti.

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Liliane è stanca di vivere una vita frammentata da esplosioni, bombardamenti, violenze e morte tutto intorno. Vuole trasferirsi in Australia ma suo marito cerca di ostacolarla in tutti i modi.

Mentre prova a mettere insieme i puzzle della fuga si rifugia nella lettura “Mentre aspetto mi allontano dalle voci che mi ronzano intorno immergendomi nella lettura dei romanzi che mi ha lasciato Josefa. Romanzi che parlano di persone le cui vite non somigliano per niente alla nostraè l’amara constatazione di Liliane.

Ma nella lettura e nell’amore verso i suoi figli troverà la forza di opporsi al marito, di lasciarlo e finalmente ottenere quel visto per lasciare il paese in guerra e trasferirsi in un altro continente, in un altro mondo, in un’altra vita.

La mia mente riesce a provare solo due sensazioni. Una paura tale che mi sembra di morire, paura di tutto, una paura che mi paralizza e mi costringe a rimanere a letto per giorni interi, che mi provoca un dolore atroce allo stomaco. E, dall’altra parte, un piacere infinito che suscita nel mio corpo una sete che non somiglia a nulla se non alla sete di vita, esattamente il piacere che provavo quando ero incinta di Sara. Tra questi due estremi la mia mente è vuota. Tutto il resto mi scivola addosso e nulla sembra toccarmi”.

Warda, la seconda protagonista che incontriamo, è lacerata dal distacco dalla figlia Sara, che il marito ha portato di nascosto negli Stati Uniti. Warda scoprirà solo molto tardi questa amara verità, sempre nascosta da un marito che non ha esitato a tradirla e a ignorarla per anni, sottraendole anche l’unica ragione di vita, ovvero sua figlia.

Warda, una donna che dovrà quindi far fronte non solo alle brutalità e alle violenze della guerra, alle fughe nei rifugi antiaerei, al sangue, ai feriti, alla morte tutto intorno, ma ad una sua personale profonda e mai rimarginabile ferita: aver perso sua figlia e non aver potuto in alcun modo dimostrarle il proprio amore materno.

Camilia invece ha la ribellione nel sangue, non si piega alle tradizioni, non soccombe agli schemi e alle convenzioni sociali, non si cura degli insulti che la famiglia le rivolge per la sua condotta libera e indipendente, “Forse perché ero nata in una casa senza uomini e nessuno ha mai deciso al mio posto. L’unico uomo che varcava la soglia di casa nostra era lo zio materno. Poi, da quando aveva sposato una donna musulmana originaria della Giordania e si era trasferito lì, le sue visite erano diventate sempre più rare. Ero ancora una bambina quando ho giurato a me stessa che non sarei mai diventata come zia Shams. Non avrei mai seppellito la mia vita in una cucina senza finestre. Mi arrabbiavo quando mi chiamava svergognata, oppure quando mi accusava di essere una sfacciata, senza nessun riguardo nei suoi confronti o di mia nonna”.

Iman Humaydan Younes

Questo suo profondo senso di libertà e indipendenza l’accompagnerà anche nei momenti più bui e difficili della fine della guerra, quando si libererà del suo aguzzino e sceglierà di far nascere il suo bambino in una terra libera, dove il ricordo di un padre violento potrà affievolirsi fino a scomparire.

Infine Maha, una donna apparentemente docile che invece nascondo un suo personale fuoco interiore che la porterà a vivere liberamente la sua esistenzaMi lancio verso il mondo. Verso l’ignoto. Lascio che la mia anima si impregni dei suoi momenti e dei suoi recessi più segreti. Lascio che il mondo diventi parte di me e io parte del mondo. Poi la noia mi prende di nuovo e mi sento esplodere. Rientro ed esco di nuovo. Torno all’alba. Vengo accolta dagli improperi che mia nonna pronuncia in maniera quasi incomprensibile”.

Una donna che con fierezza difenderà la decisione di aver abbandonato il villaggio per trasferirsi a Beirut, la città della perdizione come la definisce suo padre che però in punto di morte riconoscerà il valore della dignità di sua figlia.

Le storie di queste quattro donne, che fatalmente si ritrovano a vivere nello stesso edificio a Beirut, ci raccontano il difficile rapporto con un violento conflitto e con il modo in cui la guerra ha stravolto i rapporti che precedentemente caratterizzavano la popolazione.

Tutti contro tutti, in una spirale di violenze che non risparmia nessuno e che porta la sensibilità femminile a farsi carico della gestione psicologica del conflitto.

Il messaggio che l’autrice ci ha lasciato con questo romanzo è proprio quello della capacità propria delle donne di affrontare situazioni anche estreme, come può esserlo una guerra, senza perdere di vista i sentimenti e le emozioni, che sono quei fili necessari per ricostruire il tessuto sociale e familiare quando le bombe cesseranno di esplodere.

 

Written by Beatrice Tauro

 

 

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