“Placido Cherchi. La cultura dell’ologramma” di Silvano Tagliagambe: continuità, rotture e prospettive del pensiero occidentale

Silvano Tagliagambe, con una lunga carriera universitaria alle spalle, tra Cagliari, Pisa, Roma e Sassari, professore emerito di Filosofia della Scienza, ha prodotto una bibliografia vastissima, di circa 300 pubblicazioni, alcune delle quali anche in edizioni estere, come Lo spazio intermedio, Università Bocconi editore 2008, edizione spagnola El espacio intermedio, Editorial Fragua 2009; People and Space. New forms of interaction in City Project (con G. Maciocco) per Springer-Verlag 2009. Tra i testi più recenti ricordiamo Lo sguardo e l’ombra, Castelvecchi 2017, e Il paesaggio che siamo e che viviamo, Castelvecchi 2018.

Placido Cherchi. La cultura dell’ologramma

Placido Cherchi (1919-2013) è stato un antropologo, filosofo e saggista. Allievo di Ernesto De Martino e Corrado Maltese, ha espresso gli esiti dei suoi studi e della sua ricerca precipuamente in ambito storicoartistico ed etnoantropologico, operando nell’ambito della scuola di antropologia dell’Università di Cagliari, sorta attorno a De Martino e Cirese, Clara Gallini, Giulio Angioni. Nel 1978 pubblica Paul Klee teorico, nel 1982 Sciola, percorsi materici, nel 1990 Pittura e mito in Giovanni Nonnis, nel 1990 Nivola, tra 1987 e 1999 quattro opere critiche dedicate a Ernesto De Martino, poi nel 2000 Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo e della Confederazione politica dei circoli, organizzazione non-partitica dei sardi, nel 2001 Il recupero del significato: dall’utopia all’identità nella cultura figurativa sarda, nel 2005 Crais: su alcune pieghe profonde dell’identità, nel 2013 La riscrittura oltrepassante.

Con la prefazione di Paolo Cherchi, membro del comitato scientifico della collana Saggistica delle Edizioni Il Maestrale, si apre il prezioso volume Placido Cherchi. La cultura dell’ologramma, novità editoriale 2018. Nell’introdurre il testo il prof. Tagliagambe delinea chiaramente le finalità dello stesso, ovvero delineare la concezione che della cultura e delle sue finalità aveva Placido Cherchi. Silvano Tagliagambe, come ben sottolinea Paolo Cherchi, fratello di Placido, dialoga con Placido e ricava dalle sue pagine un pensiero modernissimo e coerente toccando temi di estetica, di fisica quantistica, di antropologia e di teologia, oltre che di psicologia e di avanguardie varie.

Un discorso di ampio respiro culturale, ampio nel tempo e nello spazio, che rende il saggio di Tagliagambe ricco di digressioni che, lungi dallo sviare il discorso dalla centralità del tema, a essa riportano, per svariate vie, nel complesso e riuscito compito di restituire un’interpretazione della figura intellettuale di Placido Cherchi approfondita e completa, nella sua complessità di articolazioni, dovuta al multiforme ingegno e alle sue numerose direzioni di studio e ricerca. Immagine tuttavia riscoperta come coerente, internazionale, moderna, sempre attuale.

Operazione complessa quella intrapresa da Tagliagambe, ma capace, utilizzando lo stesso schema di apparente frammentarietà e seguendo le tematiche dei principali testi del Cherchi presi in esame, di identificare un nodo di problemi nel libro su Paul Klee – un nodo fondamentale – e di vedere con quale coerenza gli stessi problemi riemergono e si connettono in tutti i campi di cui Placido si è interessato. (…) è proprio questa unitarietà nel diverso che suggerisce l’immagine dell’ologramma.

Si parte da “La trascendentalizzazione del realismo come motivo conduttore” e “Dalla gnoseologia all’epistemologia” per approfondire maggiormente gli studi di Placido Cherchi su Paul Klee, con “Klee, epistemologo della pittura moderna” e con “Il recupero della semantica. L’immersione nelle semantiche moderne; La soluzione di Klee”. Cruciale, poi, il nodo degli studi etnoantropologici di Cherchi, coi numerosi testi dedicati alla figura e all’opera di Ernesto De Martino, padre dell’etnocentrismo critico. Questi aspetti vengono affrontati da Silvano Tagliagambe nel capitolo intitolato “Il limite del Signore e il peso dell’ombra” con un’inversione funzionale di termini rispetto al demartiniano Signore del limite. Chiudono il saggio i capitoli “Il sardo, lingua del condizionale e del possibile” e “ La concezione dell’identità e del Sé. I riferimenti e gli strumenti teorici necessari per costruire un’identità critica”.

Placido Cherchi

Un percorso affascinante quello di Cherchi, non privo di insidie, quello che parte dall’incardinare la propria ricerca nelle solide fondamenta del razionalismo Kantiano, passando per il rapporto tra esperienza, arte e realismo, trascendentalizzandone il problema ed esaurendolo nell’ambito della razionalità del linguaggio. Così Klee diviene per Cherchi epistemologo della pittura moderna, che rifiuta di considerare il mondo una realtà trascendentale che parla in un idioma misterioso e ci mette di fronte a oggetti incomprensibili. L’artista possiede un linguaggio che è in grado di gestire in modo efficace, regolato da definizioni e leggi (…). All’interno di un linguaggio di questo tipo, pertanto, non può esistere qualcosa di irrimediabilmente opaco. L’oggetto ‘umanizzato’ da Klee indica che fuori del linguaggio non vi è dunque nessuna esistenza possibile, esso è razionalità e creazione.

L’astrazione di Klee, astrazione non astratta, non rifiuta categoricamente l’oggetto stesso, ma l’indagine attorno alla sua essenza. Se J. P. Sartre dice che pregio e difetto dell’arte di Klee è il suo fare una pittura che sia, a un tempo, soggetto e oggetto, Placido Cherchi approfondisce la portata di quest’analisi orientandola sul senso critico-trascendentale della rappresentazione e sulle sue condizioni semantiche, individuando una coinonia tra coscienza che designa e oggetto della designazione, annullamento di distanza gnoseologica tra rappresentazione e suoi contenuti. Per realizzare questo Klee tiene vivi tuttavia i valori di una cultura umanistica cui, pur nella coscienza della catastrofica crisi, le riconosce significati non obsoleti. Klee è per Cherchi un Cristo magico, Signore del limite, eroe della presenza. Termini utilizzati dal Cherchi in riferimento all’opera demartiniana, in contesto antropologica, dunque. Nel Mondo magico di De Martino il signore del limite è lo sciamano che, andando oltre la propria coscienza, oltre il sé, oltre il proprio orizzonte culturale, per ricondurre a normalità le dissolutive tendenze caotiche del nulla. Si tratta di una discesa catartica rischiosa verso il nulla per recuperare, signoreggiandola, la presenza, la possibilità di esserci-come-presenza-al-mondo contro il rischio del perdersi. Il limite è necessario per signoreggiarlo, è una costante. È limite, confine, linea di contatto, che separa, definendo, ma inevitabilmente unisce, è l’orizzonte entro il quale il mondo assume forma e si conserva come realtà domestica (…) Essere Signore del limite significa conoscerne a fondo le condizioni e saperlo proteggere dalla minaccia delle forze dissolutrici (…) saperne rintracciare la possibilità nelle situazioni più estreme e riuscire a farlo emergere come regola dallo stesso caos in tumulto.

Solo se questo confine viene costantemente spostato avanti si realizza la possibilità di crescita della conoscenza, recuperando tutto il valore delle semantiche moderne e del significato, inteso come esperienza e suoi contenuti, Pertanto semantica e significato non dovranno essere persi o rimossi, altrimenti l’arte diverrebbe scienza di una forma fine a se stessa e si rischierebbe di ipersemantizzare l’inessenza. Placido Cherchi ha, dunque, come bene mostra Tagliagambe, sempre affrontato il problema del reale e della sua trascendentalità, individuando nella figura di Klee l’oltrepassatore del limite del realismo, non nell’oltrepassare incondizionato della realtà, bensì mediante un’esperienza ‘allargata’ capace di cogliere anche l’invisibile e il potenziale, favorendo un ritorno del rimosso. La centralità del tema dell’autoscoscienza di Sé nell’autocoscienza dell’altro, grazie ai concetti di limite, confine, signoria, spalanca le porte all’approfondimento della posizione demartiniana dell’antropocentrismo critico da parte di Placido Cherchi, nella progressiva e sempre rinsaldata fortificazione filosofica, con la consapevolezza di muoversi entro l’incertezza della frontiera mobile della conoscenza.

Silvano Tagliagambe

L’insicurezza del reale, la storia come luogo dell’incertezza trovano riflesso nella lingua sarda che secondo Cherchi è refrattaria a muoversi sul terreno di un’ontologia stabile, è lingua di una coscienza scissa … che si contrappone al mondo e che si configura come controspinta reattiva alle forme di un accadere storico di tipo sfuggente e poco controllabile. Un meccanismo di difesa, quindi, quello messo in atto dai sardoparlanti di operare come signori del limite, con una lingua del condizionale e del possibile, sull’onda dell’astrazione.

Dal tema della lingua il rapido ritorno al senso dell’identità, della percezione di Sé e dell’altro, è un passo. Ripercorrendo il nesso tra sfera del sacro e forza della parole, della sua importanza nelle relazioni comunitarie e nella formazione di un Sé individuale e di un Sé collettivo, affrontando il tema della centralità di un simbolo e suo necessario radicamento nella concretezza del tessuto culturale, Placido Cherchi recupera in chiave locale i meccanismi soggiacenti a quella crisi e tramonto dell’Occidente e all’affievolirsi degli orizzonti sicuri di senso e di tradizione che hanno messo variamente in crisi la presenza, la possibilità di esserci nel mondo, del singolo e delle comunità. Processi di folklorizzazione, vergogna di sé, forme degradate e degradanti di identità, espropriazione dell’anima, deculturazione.

Placido Cherchi individua una missione culturale per evitare l’apocalisse demartiniana della nostra identità: riattraversare in modo consapevolmente critico l’entroterra storico entro cui si è venuta plasmando la nostra fisionomia di occidentali, al fine di sviluppare una forma di autocoscienza culturale che sappia essere contemporaneamente una giusta autocoscienza dei “nostri” limiti e una autocoscienza dei “nostri” valori non “vergognosa di sé”.

 

Written by Katia Debora Melis 

 

 

 

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