“Io non mi chiamo Miriam” di Majgull Axelsson: il coraggio di non nascondere la propria identità
“Dopotutto lei è Miriam. E oggi compie ottantacinque anni. Il giorno della vigilia di mezz’estate”
I ricordi di Miriam riaffiorano dopo anni, nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno.
Miriam, non è il suo vero nome, ma in famiglia la sua storia è e deve rimanere un segreto. Non per il desiderio di essere qualcun altro, non per vergogna delle proprie origini, ma per la paura di non essere accettati nella società svedese che anche dopo la seconda guerra mondiale rigetta l’etnia rom e la elimina dalla vita sociale della nazione.
Miriam o meglio Malika, viveva in Germania in una bella casa con la sua famiglia, ma aveva la colpa di essere rom e a causa della guerra e dell’odio razziale nazista, venne deportata prima ad Auschwitz e poi a Ravensbruck.
I ricordi erano sepolti da tempo nella sua mente, quasi a volerli lasciare da parte per poter interpretare meglio il suo ruolo di buona moglie svedese: il dottor Mengele, il viaggio in treno, le docce fredde e le persone viste morire, la dignità negata e quella che gli zingari hanno saputo dimostrare anche nel campo con una rivolta raccontata nel libro e realmente accaduta, la perdita di tutta la sua famiglia, i sorrisi e i pianti di Didi e di Annika, sue cugine mai più riviste.
Miriam vive due vite: la prima nei campi di concentramento, la seconda in una nuova famiglia in Svezia, ma in entrambi i casi è una prigioniera del suo passato. Non può cancellare la sua provenienza e anche se per puro caso viene scambiata per ebrea, Miriam Goldberg appunto, per uno scambio d’abiti, lei è e rimarrà sempre Malika.
Se avesse detto la verità, se avesse detto di essere rom, non sarebbe stata accettata nella sua baracca al campo e nemmeno nella vita civile svedese.
In Svezia anche dopo la guerra i rom vengono perseguiti ed espulsi anche se provenienti da campi di concentramento, vengono oltraggiati in ogni modo e addirittura nel libro viene descritto un attacco incendiario ad una loro abitazione.
Di libri sull’Olocausto ce ne sono moltissimi, ma in questo libro l’autrice ha saputo descrivere le sofferenze fisiche e soprattutto psicologiche in modo molto diretto.
Ho trovato una profonda ricerca di libertà da parte della protagonista, una libertà oppressa non solo dalla guerra, ma dai mille pregiudizi di ogni giorno del dopoguerra che ci accompagnano ancora oggi, siano essi etnici, sessuali o altro che è costretta ad affrontare rinnegando se stessa.
Trincerandosi dietro una maschera, Malika non c’è più e allora in quelle parole c’è il senso di una vita che va al di là di un nome, di una classe sociale, dei capelli neri, della provenienza linguistica: “Io non mi chiamo Miriam” di Majgull Axelsson (Iperborea), racchiude la sua esistenza e la sua profonda libertà di essere.
La vita di Miriam va ben oltre la sua categoria di appartenenza e prima di tutto lei è quello che vede guardandosi allo specchio: una anziana signora che si porta dentro un dolore senza fine, la libertà è essere sinceri prima di tutto con se stessi e nel raccontarsi davvero agli altri e lei ci riesce quasi a novantanni.
L’importante è non dimenticare.
Written by Gloria Rubino