“Edera Film Festival 2018”: a Treviso si punta sui giovani talenti del panorama contemporaneo

Da giovedì 2 agosto la città di Treviso conoscerà un nuovo evento cinematografico, ospitato a meno di un chilometro fuori delle secolari cinta murarie, che andrà a precedere di circa un mese quello già noto e affermato che porta il nome di Sole Luna Doc Film Festival, con sede in pieno centro storico, assieme a cui Oubliette Magazine da ormai due anni collabora in qualità di web media partner.

Edera Film Festival 2018

L’identità dell’Edera Film Festival è debitrice anzitutto al celebre multisala dove avrà i natali, il Cinema Edera, inaugurato nel 1960 quand’ancora constava di un’unica sala e da allora divenuto col passare dei decenni vera punta di diamante dei circoli d’essai, dimostrando nelle recenti stagioni di aver avuto il coraggio (non è affatto impropria una simile espressione) di includere nel palinsesto, a titolo esemplificativo, film ricercati come “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” (Roy Andersson, Svezia, 2014), “The Tribe” (Myroslav Slaboshpytskyi, Ucraina, id.), “Un mondo fragile” (César Augusto Acevedo, Colombia, 2015), “El abrazo de la serpiente” (Ciro Guerra, id., id.), “Rams – Storia di due fratelli e otto pecore” (Grímur Hákonarson, Islanda, 2015), “Il prigioniero coreano” (Kim Ki-duk, Corea del Sud, 2016) e “1945” (Ferenc Török, Ungheria, 2017).

Il carattere distintivo della kermesse risiede nella selezione, per le tre categorie competitive, di opere di registi che non abbiano compiuto i 35 anni d’età; l’impronta ecumenica della programmazione si rispecchia nella provenienza variegata dei titoli che, varcando i confini italiani, sono stati prodotti in Armenia, Cile e Grecia, piuttosto che India, Mauritius o Singapore.

Delle oltre 1300 candidature pervenute tra febbraio e aprile scorsi (un numero davvero importante per un festival neonato e per di più riservato a una porzione così chiaramente delimitata del panorama audiovisivo), sono stati scelti 6 lungometraggi, 12 documentari e 24 cortometraggi.

Ognuno di questi concorda pienamente con il target che la direzione artistica, composta dallo storico del cinema Giuseppe Borrone, dalla regista Gloria Aura Bortolini e dall’esercente del Cinema Edera Sandro Fantoni, ha voluto proporsi, ossia l’avvicinamento del pubblico ad autori perlopiù sconosciuti, a opere che appartengono agli stadi più giovanili delle parabole artistiche rappresentate e che per questa ragione intrinseca difficilmente arrivano a sfiorare la sensibilità e il gusto degli spettatori.

Estiu 1993

Se infatti i cinefili più scafati conosceranno almeno per sentito dire titoli di risonanza internazionale come “Estiu 1993” (Carla Simón, 2017), proposto agli Oscar 2018 in rappresentanza della Spagna, o il più fresco “La terra della dell’abbastanza” (Damiano e Fabio D’Innocenzo, 2018), Nastri d’argento ai migliori registi esordienti, è senz’altro improbabile che abbiamo avuto modo di approcciarsi a un “Lot Kote Lagar” (O’Bryan Vinglassalon, Mauritius, 2017), un “Adaptation” (Manne, Armenia, id.) o un “Blue Queen” (Alexandros Sipsidis, Grecia, id.), rispettivamente un corto ambientato in una stazione d’autobus occupata da bizzarri festanti, un documentario che ritrae la città di Erevan in maniera non così dissimile da quanto fecero Walter Ruttmann in “Berlino – Sinfonia di una grande città” (1927) e Jean Vigo in “A proposito di Nizza” (1930), e un thriller dalla raffinata struttura a spirale che progredisce nella vicenda riproponendo i medesimi accadimenti da molteplici punti di osservazione.

Stili, poetiche, toni e colori assai divergenti vanno a comporre un quadro ricco ed eterogeneo, in cui anzitutto trovano ampio spazio tematiche di interesse sociale, come nei documentari “The Lives of Mecca” (ambientato in un campo di handball a Coney Island, New York) e “Shulūq – Vento di mezzogiorno” (che segue le peregrinazioni di cinque migranti africani), o nei corti “Bismillah” (premiato quest’anno col David di Donatello), “Mattia sa volare” (in cui protagonista è un gruppo di adolescenti disabili), “Madres de Luna” (toccante viaggio attraverso i continenti narrato da una bambina non ancora nata) e “Uomo in mare” (che testimonia la quotidianità dolorosa e angosciante di un testimone di giustizia).

Non si soprassiede ai dilemmi costituiti dalle minoranze, valorizzati dai documentari “Ciano: A Fisherman’s Tale” (sull’attività di un anziano pescatore di Burano) e “Mingong” (sull’intensa attività migratoria dalla Cina rurale verso quella urbanizzata) e dall’ibrido lungometraggio “Wai Guo Ren” (come “Funeralopolis – A Suburban Portrait” più vicino, secondo Sandro Fantoni, alle maniere tipiche del cinéma vérité che alle convenzioni della documentaristica classica), né si glissa sulle torbide implicazioni dovute alla criminalità, narrate pur in chiave finzionale da “La Educación del Rey” (appassionante romanzo di formazione acclamato come “il film argentino dell’anno”) e dal corto “Nightshade” (che ricostruisce un tragico episodio imperniato sull’immigrazione clandestina nei Paesi Bassi).

Piccole italiane

Anche la ricostruzione storica gode di un suo cantuccio, occupato dai corti “Il fuoco degli uomini” (che riporta all’isolamento delle realtà agricole persistente negli anni ‘60 del “boom economico”) e “Piccole italiane” (ambientato nell’Italia via via sempre più disillusa del 25 luglio 1943).

Vengono approfonditi tanto i dibattiti sulla gioventù, specialmente nel documentario “Hanaa” (vicino alle ragazzine vittime di abusi sessuali) e nei corti “Candie Boy” (abile nel sollevare le questioni di genere e di identità) e “Danse, poussin.” (focalizzato sul sentimento della gelosia in tenera età), quanto il registro elegiaco adatto alle icone tenere e rassicuranti dei nonni (al centro dei corti “Giorni di Pasqua” e “Maria vola via”).

Sul piano formale si oscilla facilmente fra poli opposti, muovendo dalla spettacolarità dei corti “Il dottore dei pesci” (il bizzarro e taciturno Luigi viene buffamente trascinato negli States per divenire guest star di uno show televisivo) e “Du Blanc à l’Âme” (sorprendente musical che indaga l’utilità dei colori nella vita di tutti i giorni), per finire nel mutismo infrangibile di “Gibberish” (una madre e una figlia vivono un rapporto conflittuale insanabile) e “Tower Crane” (dall’alto della sua postazione, un gruista posa lo sguardo su quanto accade sui tetti del quartiere confinante).

Stupiranno la politezza fotografica di “Milk”, “Stakhanov” e “What If”, tre favole moderne e a loro modo malate che conducono rispettivamente nell’appartamento di una famiglia russa borghese improvvisamente visitata da una vacca da latte, in una stanza dall’aspetto insalubre dove, sorvegliati a vista, uomini e donne realizzano notte e giorno aeroplani di carta, e nella Germania del 2184, quando la tecnologia dei big data si è così evoluta che persino la scelta del partner è ormai comunemente affidata alle analisi cibernetiche.

Con “Birthday” e “A Father’s Day” non mancheranno le incursioni nell’horror psicologico e post-apocalittico, né il già citato “Funeralopolis” e il documentario “Memorándum” risparmieranno lo squallore di cui si fanno portavoce (il brancolio di una compagnia di tossicodipendenti della città metropolitana di Milano e i casi di appropriazione illecita di neonati in un vecchio e fatiscente ospedale cileno).

Iku Manieva

Sono infine contemplati sconfinamenti nei micro-universi surreali e stranianti della messicana Sierra Sinaloa (“Iku Manieva”), di un Sud-Italia in bilico fra tradizionalismo e tecnologie all’ultimo grido (“Il mondo o niente”), di un villaggetto popolato da sensazionalisti e creduloni (“El Escarabajo al Final de la Calle”) e di una sontuosa abitazione i cui inquilini sono soliti burlare i disgraziati pony express (“Sette pizze”), e nella narrazione grottesca, autobiografica nel caso di “Allafinfinfirifinfinfine” (una delle ultime interviste concesse da Paolo Villaggio), di fantasia quando ci si riferisce a “Insetti” (probabilmente il corto più esilarante dell’intera rassegna), “Ratzinger vuole tornare” (esemplare d’impertinente e oltraggiosa satira anticlericale) e “Superprize” (imprevedibile road movie che s’impantana nelle tetre foreste russe).

Vanno a costituire la sezione Fuori concorso altri quattro titoli, introdotti in ragione del loro ruolo di valorizzazione delle imprese nel territorio veneto (“Aida”, “Parole In-Superabili” e “Una storia di vetro”) o per questioni schiettamente inerenti la pregevole fattura (entro questi termini si colloca “Most Beautiful Island”, diretto dalla debuttante Ana Asensio).

“Haiku on a Plum Tree”, ultimo titolo in cartellone piazzato quale evento speciale, è un’altra opera esordiale di straordinario tatto, equilibrio e raffinatezza, dedicato dalla regista Mujah Maraini-Melehi alla storia travagliata e avvincente della sua famiglia, particolarmente unita negli anni dell’emigrazione in Giappone, tentativo di fuga dal regime fascista.

Restano da segnalare due ulteriori appuntamenti: gli workshop “Un film è sempre l’inizio di un viaggio” (a cura di Offi-Cine Veneto), dedicato al cinema come strumento di valore in un piano di marketing territoriale, e “Il racconto di viaggio” (a cura del progetto FuoriRotta, del regista Domenico Gambardella e del Gruppo Alcuni).

Milk

È doveroso in chiusura precisare che sul red carpet dell’Edera Film Festival 2018, organizzato dall’Associazione Culturale Orizzonti con il patrocinio della Regione del Veneto, del Comune di Treviso e di Fondazione Benetton Studi Ricerche, sono attesi un numero ragguardevole di ospiti nazionali ed internazionali, fra cui i registi Alicia Albares (“Madres de Luna”), Nathalie Biancheri (“Gibberish”), Chiara Caterina (“Il mondo o niente”), Martina De Polo (“Shulūq – Vento di mezzogiorno”), Arianna Del Grosso (“Candie Boy”), Clémence Dirmeikis (“Danse, poussin.”), Stefano Etter (“The Lives of Mecca”), Linda Gasser (“What If”), Manne (“Adaptation”), Mujah Maraini-Melehi (“Haiku on a Plum Tree”), Gaetano Maria Mastrocinque (“Il fuoco degli uomini”), Alessandro Redaelli (“Funeralopolis – A Suburban Portrait”), Luca Renucci (“Giorni di Pasqua”), Maaria Sayed (“Wai Guo Ren”), Alex Scarpa (“Stakhanov”) e Aude Thuries (“Du Blanc à l’Âme”), i produttori Alessandro Alpini (“Wai Guo Ren”), Paul Becht (“What If”), Paco Cavero (“Madres de Luna”), Bastien Daret (“Du Blanc à l’Âme”), Vincenzo Grosso (“Ciano: A Fisherman’s Tale”) e Amélie Quéret (“Danse, poussin.”), l’assistente alla regia Silvia Zacchi (“Bismillah”), l’attrice Julia Monte (“What If”) e la direttrice della fotografia Lusine Azatyan (“Adaptation”).

Per qualsiasi altra informazione e curiosità, costituiscono i principali riferimenti online il sito web e la pagina Facebook ufficiali del festival.

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

Info

Sito Edera Film Festival

Facebook Edera Film Festival

 

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