Avant-première: “Ippocrate”, film di Thomas Lilti – La lotta in corsia fra onestà e omertà

Sul secondo lungometraggio diretto dal francese Thomas Lilti di per sé c’è ben poco da dire pensando di sfruttare l’effetto sorpresa.

Ippocrate

Ippocrate” è stato presentato a Cannes come film di chiusura della Settimana della Critica nell’ormai lontano 2014, in seno a un’edizione di cui ben ci si ricordano titoli diversissimi fra loro come “Il regno d’inverno”, “Le meraviglie” (di Alice Rohrwacher, al momento in sala con lo splendido “Lazzaro Felice”), “Foxcatcher – Una storia americana”, “Maps to the Stars”, “Turner” e “Mommy”, o, per i più smaliziati, “Leviathan”, “Adieu au langage – Addio al linguaggio”, “Forza maggiore”, “Il sale della terra”, “Timbuktu” e “The Tribe”.

Ha fatto in tempo ad arrivare a Taiwan e nelle Filippine prima di interessare l’Italia dove, atteso per il 7 giugno prossimo, è stato preceduto dal successo del terzo film di Lilti, “Il medico di campagna” (2016), vicenda di più facile presa benché parimenti incentrata sulla professione sanitaria.

Ispirandosi agli studi giovanili del regista, avviato alla medicina sull’esempio del padre, la sceneggiatura a 8 mani prevede ben poche concessioni ad ambienti che esulino dalla struttura ospedaliera, né ambisce mai a distogliere lo sguardo, anche solo per poche sequenze, dal paesaggio umano di cui narra le traversie.

In primo piano si colloca Benjamin (Vincent Lacoste), tirocinante 23enne animato da grandi speranze cui viene affidato il ruolo di guardia nel reparto di medicina interna di un ospedale parigino, dove generalmente cioè la degenza si estende per un periodo abbastanza lungo da ammettere e anzi auspicare, nella visione del giovane, una relazione coi pazienti più sincera e approfondita.

L’accoglienza non è delle migliori, ma Benjamin non impiega troppo ad adattarsi alla routine e ai locali a volte desolati in cui si trova a operare o riposare, grazie anche da un lato al legame che instaura con un collega algerino (Reda Kateb), ancora iscritto all’università ma sufficientemente più anziano da fungergli da maestro, dall’altro al fatto che il direttore del reparto è nientemeno che suo padre (Jacques Gamblin).

Ippocrate

Il richiamo al celebre medico di Coo risulta contestuale dal momento in cui, senza però l’invadenza di alcuna drammatizzazione sovraccarica che impedisca agli spettatori di accostare gli accadimenti in una dimensione di fredda quotidianità, emergono le incongruenze fra la missione che connota il mestiere, ossia l’avere a cuore anzitutto la persona malata prima ancora di inseguire una guarigione quanto più completa, e la penuria di adeguate strumentazioni aggravata dall’esigenza da parte dei responsabili di mantenere un’immagine rispettabile, a fronte pure di una negligenza manifesta nella gestione del personale e degli incarichi ad esso affidati.

Non è quindi la storia di eroi che combattono contro la malasanità, nell’intenzione magari di svelare grossi scandali taciuti, quanto piuttosto il racconto pacato, privo pure di particolare poesia perché ossequia un impianto cronachistico in cui a farla da padrone sono i consueti tecnicismi, di un gruppo di comuni salariati che, schierando dottrine divergenti, si trovano nella virtuosa posizione di chi ha il potere di mutare l’ordine costituito a condizione di riconoscere quei vizi di forma esponendosi ai quali, giorno dopo giorno, è tanto facile abituarsi.

 

Voto al film

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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Rubrica Avant-première

 

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