“Friendless” album degli Zeffjack: sound libero, indipendente ed istinto dettato dall’improvvisazione
Si dice che il tre sia il numero perfetto e deve essere stato proprio così per questi ragazzi: Francesco Luche, Michele Reverberi, Andrea Grazioli, rispettivamente chitarrista, bassista e batterista.

Li accomuna un profondo legame di amicizia e successivamente una voglia di fare musica che supera le barriere dell’immobilità e dell’ovvio, tanto da voler incidere l’album presso la Rocketman Records con brani basati sul caso.
Friendless è stato registrato e masterizzato nello storico Real Sound Studio di Milano, gestito da Roberto Gramegna ed Ettore “Ette” Gilardoni, già chitarrista dei The Crooks, che ne ha materialmente curato tutte le fasi di registrazione, produzione e arrangiamento.
Gli Zeffjack sono sicuramente anticonvenzionali, poiché il loro è un album di tipo strumentale. Non ci sono parole ed è questa la chiave di Friendless (senza amici): loro che sono proprio accomunati da questo senso di amicizia, loro che vogliono uscire dall’etichetta imposta dalla musica standard, formata da parole e note, loro che vogliono farci riflettere sul loro sound, libero, indipendente, sul loro istinto dettato dall’improvvisazione.
Il nome Zeffjack nasce anni fa quando vigeva un altro tipo di gruppo: composto dal nome della marca della stufa a legna (anni ’60) che li ha scaldati nei primi momenti di prove e da un omaggio ai Jack on fire, mitico gruppo dove ha mosso i primi passi Cristiano Godano.
Adorano un pezzo dei Marta sui Tubi che nei versi iniziali racconta, nel modo migliore, alcune situazioni e persone che hanno incontrato. Si chiama Pensieri a sonagli con una frase ben precisa: “Si ama soltanto qualcuno che fa la nostra stessa strada e si odia chi l’ha fatta già e l’ha dimenticata”.
Eh sì, perché questi ragazzi all’inizio del sodalizio musicale hanno trovato gente che ha giocato sulla loro inesperienza riuscendo però a farli ricredere e quasi a doverli ringraziare per aver ridefinito le priorità di ciò che non vogliono.
I loro titoli non hanno nessun legame col discorso improvvisazione, non hanno mai provato a creare atmosfere che richiamassero un titolo già prefissato per non perdere la spontaneità. I nomi dei brani sono arrivati quasi sempre alla fine della stesura e la scelta è stata fatta a seconda delle atmosfere che si sono sviluppate. Arnold Press però risuona prepotentemente, tanto da delinearlo il pezzo più “muscolare” dell’album.

Il primo video è quello di Poretti Party e raffigura un pazzo che necessita di trasmettere un sentimento di ribellione fuori dai luoghi che solitamente lo accolgono, portando in primo piano la periferia, ben abituata invece ad fungere da luogo di stallo, su cui tutto si adagia.
Il pezzo nasce da un’improvvisazione in sala prove consumata fra risate e forse qualche birra di troppo, il sound immediato pare ricordare nebulosamente i Block Party o qualcosa degli Electric Six.
La scelta di non far vedere i volti è dettata dalla volontà di dare maggior spazio possibile alla musica; le facce, i nomi sono semplicemente superflui e poco interessanti, per questo relegati ad un più consono “secondo piano”.
Il brano St. Antony’s Fire offre uno sguardo nuovo da cui emerge la profondità espressiva della partitura. La traccia, spezzata da brevi scorci smarriti, riesce nel suo complesso ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore verso un romanzo con un finale a piacimento e con sfumature sempre differenti.
Una vera e propria tela bianca su cui gli Zeffjack vogliono farci scrivere i nostri ricordi e soprattutto la nostra disobbedienza.
Voto: 7
Written by Amara
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