Le métier de la critique: Andrea Doria, self made man del ‘500
Alto di statura, forte ed estremamente intelligente, Andrea Doria aveva la tempra del corsaro, il fascino del principe, la lucidità dell’uomo di Stato.

Figlio di tempi crudeli e caotici in un’Europa in cui divampano durissime guerre tra regni e religioni ‒ e in cui il Mediterraneo è infestato da pirati e corsari al soldo dei grandi poteri ‒ dimostra di avere le caratteristiche giuste per affrontarli da protagonista. Si tratta di un’epoca tumultuosa in cui non è chiaro dove sia la ragione né chi vince; e non resta che affidarsi alla propria coscienza.
Nato nel 1466, cadetto di un ramo minore della più illustre famiglia ligure, rimane orfano a 17 anni dopo che suo padre, signore di Oneglia, fu costretto a vendere tutti i suoi feudi.
Ad Andrea Doria, per migliorare la sua condizione non rimasero che due strade: il mestiere delle armi o la carriera ecclesiastica. Andrea scelse di diventare un soldato. Questa esperienza temprò lo spirito del Doria, rendendolo un uomo ambizioso in cerca di riconoscimento sociale e di prosperità economica.
Fu prima capitano di ventura al soldo dei Montefeltro, degli Aragonesi e di Giovanni della Rovere, signore di Senigallia, nipote di Sisto IV e fratello del futuro papa Giulio II.
Intraprende la carriera del mare molto tardi, a 40 anni e rimane a capo della flotta genovese per lungo tempo. Nel 1513 compra due galee per pattugliare il mar Ligure ed il Tirreno, contro i corsari barbareschi che costituivano una seria minaccia per la navigazione e le coste.
Già un anno dopo, nel 1514 si distingue nell’operazione militare della presa della Briglia, la fortezza dove oggi sorge la famosa Lanterna di Genova, e da cui i Francesi tenevano in scacco la città. In questa occasione il Doria si guadagna un’aureola di eroismo catturando con un piccolo manipolo di uomini una galera carica di rifornimenti destinati al forte. Fama che lo accompagnerà per tutta la vita.
Andrea Doria deve la sua vera fortuna alla guerra di corsa nel Mediterraneo e alle sue galee: è capo della flotta che opera per la Repubblica ma che appartiene a lui, come a lui appartengono le prede catturate. La guerra di corsa era un buon modo per arricchirsi in fretta, nuocere al nemico e tenere l’equipaggio in allenamento, e il Doria si dimostrò spesso spietato in queste incursioni. La vita militare aveva indurito ancora di più quel carattere già propenso all’intransigenza e la notorietà che circondava il suo nome lo spronava nella sfrenata ambizione.
Doria dimostra grande capacità manageriale: organizza le ciurme, utilizzando come vogatori anche forzati e schiavi musulmani; noleggia le galee al re di Spagna, facendosi nominare Ammiraglio della sua flotta; inventa la “fanteria di marina”, utilizzando il fante castigliano – il miglior soldato dell’epoca – negli abbordaggi, con cui si concludeva sempre lo scontro navale.
A quarantasei anni diventò ammiraglio, per la Francia, per il Papa, per Genova. Conquistò il potere assoluto a sessantun’anni quando a Genova viene riconosciuto lo status di Repubblica, e lo tenne saldo fino a novantaquattro, sopravvivendo a guerre, assalti, congiure; la più sanguinosa, quella del Fiesco, ispirò drammaturghi come Schiller e filosofi come Rousseau. lo vedeva quasi danzare di fronte ai re di nazioni potentissime, capace di tenerle in scacco oppure abilmente di sottrarsi quando la pressione diventava insostenibile.

La sua alleanza con la Spagna di Carlo V inserì la Repubblica di Genova nella politica internazionale del tempo, facendo dei ricchissimi banchieri genovesi, gli arbitri della finanza europea per quasi due secoli. Severo con se stesso e con gli altri, condusse una vita molto austera.
Nel Mediterraneo imperversa la lotta contro i corsari turchi e berberi, che culmina nel 1535 con la presa di Tunisi. Si fronteggiano all’infinito in continue scaramucce Andrea Doria e il Barbarossa, che comanda la flotta di Solimano il Magnifico. C’è un’intesa segreta tra loro? Si arriva ad una tregua che rispetta le coste della Liguria, il Doria riceve il Barbarossa che è venuto a riscattare il suo braccio destro Dragut, preso prigioniero. Anche questo spazio al compromesso e al dialogo è tipico di Doria.
Proprio a riguardo di Dragut, nella storia di Andrea Doria, più precisamente nel suo palazzo, troviamo un quadro molto rappresentativo:
È un Andrea Doria ormai anziano, mani composte e sguardo fiero rivolto al pittore. Sul tavolo, tenuti fermi da un orologio, documenti e carte nautiche ci mostrano una vita votata all’amministrazione e al comando. Di fronte a Doria, un grande gatto rosso, che come accertano i documenti, Doria chiamò Dragut.
Dragut, fu uno dei più abili, audaci e feroci corsari saraceni che egli incontrò nella sua lunga vita. La violenza inaudita delle incursioni di Dragut sulle città del Mediterraneo impose all’imperatore Carlo V, di mettere sulle sue tracce Andrea Doria in persona e la sua flotta affinché il corsaro fosse catturato e ucciso. Doria conosceva già Dragut avendolo affrontato in battaglia più volte.
Fu una grande sfida tra ammiragli e fra uomini che costruirono da soli la loro leggendarietà. Una sfida che si svolse nel Mediterraneo. Alla fine, fu Giannettino Doria, il nipote erede a catturare Dragut e a portarlo a Genova.
Dragut era una figura agli antipodi di Doria. Cresciuto in mare e dotato di un’intelligenza istintiva, priva di inibizioni e calcoli. Anche lui, come Doria, capace di imprese straordinarie.
Prigioniero a Genova, Dragut supera sé stesso. Considerato ospite di riguardo, essendo ammiraglio del Sultano, Dragut vive la sua esperienza da prigioniero in modo molto disinvolto, e grazie all’intervento del Gran Maestro di Malta Jean Parisot de La Valette. Dragut viene ospitato a Palazzo. La leggenda narra che fosse un focoso amatore e che le sue lusinghe non trovarono indifferente la moglie di Giannettino, lo stesso che lo aveva catturato.
L’“abbordaggio” di Dragut avviene secondo il suo stile, senza tanti fronzoli e l’oltraggio si perpetuò perché nessuno si aspettava una simile rappresaglia e un campo di battaglia così insolito.
Chi si accorge del misfatto? Non Giannettino, ma Andrea Doria in persona, che a quel punto prende il saraceno e lo riporta a bordo della sua galea. Dragut non si scompone, arriverà il riscatto e la notte del 15 febbraio 1544 la sua fuga verrà “facilitata” dopo il pagamento di un lauto riscatto.

Cosa rappresenta, quindi, quel quadro? Forse Doria, lucido e intelligente com’era, colse nell’esuberanza di Dragut qualcosa di familiare, un aspetto che lo riportava ai suoi primi anni da soldato di ventura, ai suoi antichi compagni e nel contempo al beffardo avversario, indomito sino alla fine, capace di portare l’offesa sino all’ultimo?
Possiamo pensare che Andrea Doria, impassibile uomo di stato, sia scoppiato in una grassa risata alla notizia delle disavventure coniugali del nipote e che, in cuor suo, abbia visto in Dragut l’archetipo del ribelle che nella giovinezza fu anche lui.
Andrea Doria si rivela invece implacabile nella repressione della congiura dei Fieschi, nel 1547. La congiura dei Fieschi fallì per la freddezza della popolazione nei confronti dei rivoltosi che avevano in un primo momento ucciso il nipote ed erede di Doria, Giannettino, e controllavano già le porte della città.
La reazione del vecchio principe fu furente e brutale: il corpo di Gian Luigi Fieschi, annegato a causa del peso dell’armatura cadendo in mare, fu esposto sul molo e lasciato a decomporsi per mesi, i suoi complici uccisi senza pietà e i Fieschi privati di ogni bene materiale e finanziario.
Andrea Doria si spegne nel palazzo di Fassolo nel novembre del 1560, lucido e politicamente attivo fino alla fine. Viene sepolto nella chiesa di San Matteo, affacciata sulla piccola piazza del quartiere dei Doria, dove si trova anche la casa che il Senato gli ha donato.
Mai gli venne meno il coraggio della ragione, un perfetto Principe Machiavellico.
Written by Claudio Fadda
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Le métier de la critique: Dragut Rais
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