“Inutile quindi necessario” di Marco Caponera: e se la filosofia fosse inutile?
“Se l’utile è riuscito a sussumere il necessario, l’inutile sposa appieno la libertà. L’inutile più di ogni altro concetto è privo di necessità. Il pensiero inutile è un pensiero libero, dal calcolo, dall’interesse, dall’ovvio. Il gesto inutile è svincolato da costrizioni e legami. Il gesto inutile è azione creativa spoglia da coazione esterna”.

“Inutile quindi necessario – In equilibrio… su un pensiero irragionevole” è il testo del filosofo e saggista Marco Caponera edito nel 2017 da Ferrari Editore. Il testo, attraverso l’intreccio con numerose questioni e ambiti d’attualità, filosofici, politici e religiosi, cerca di rispondere alle domande chiave: esiste una teoria dell’inutile? Può l’utile esaurire la gamma di risposte possibili alle questioni filosofiche che l’uomo si pone?
Occorre anzitutto fare chiarezza sul significato del termine ‘inutile’: esso non va inteso come assenza di scopo o fondamento, ma veicola il concetto di “uno spazio tra il possibile e l’impossibile” (pag. 15).
La filosofia, nell’idea che l’autore ne ha, è generatrice di alternative nuove e possibili; è il regno in cui convivono l’utile e l’inutile, il possibile e la scelta. La filosofia possiede rami nodosi che non possono essere tranciati per divenire travi e sostenere il sistema di dominio dell’utile.
Sebbene il binomio ‘utile – inutile’ configuri, comunemente, il primo come termine positivo e il secondo come negativo, non si può prescindere dalla sua esistenza. Caponera ci invita a percorrere la via dell’In-utile per raggiungere il rifiuto di quell’uomo a una dimensione, di cui ci parla H. Marcuse, ma è al contempo consapevole del rapporto di diastole – sistole che sussiste fra i due termini.
Tuttavia, il perseguimento di una ragione utilitaristica rende l’umano reale perché utile e viceversa; di là da tale ragione vi è l’inutile, fondato su una razionalità altra. Il dionisiaco, gli aspetti emotivi liberi dal calcolo, spirituali e passionali incarnano l’inutile, ma non per questo sono da considerarsi irrazionali. L’umano, al pari di un Giano bifronte, accoglie in sé inscindibilmente l’ibridazione di utile apollineo e inutile dionisiaco.
La strada dell’inutile percorre innumerevoli ambiti, pervade la realtà esterna, l’ambiente mondo, così come il microcosmo dell’interiorità. L’autore narra di questi intrecci e di come sussumere la prospettiva dell’inutile può spalancare davanti a noi nuove finestre per nuovi orizzonti.
Analizziamo, ad esempio, lo scopo dell’approccio inutile alla questione ambientale. Fino a quando “l’essere umano continuerà a calcolare l’utilità economica di una data risorsa non ne potrà mai comprendere fino in fondo pregi e difetti nel suo rapporto con le mutazioni ambientali, climatiche e sociali” (pag. 29).
Una nuova, inutile prospettiva canalizzerebbe l’attenzione sulle reali ricadute e sui diversi impatti ambientali di determinati comportamenti. Il perseguimento di una logica altra, rispetto all’unica ammessa, quella del capitalismo utilitaristico per l’autore, permetterebbe la messa in atto di azioni realmente ecologiche, estranee ad ogni tornaconto economico.
A espletare forse nel migliore dei modi la logica dell’inutile è il paradigma del Dono, che Caponera mutua da Marcel Mauss (M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, trad. it. 1965, Einaudi, Torino 1950). Da quest’ultimo, pur tuttavia, l’autore si distanzia nel momento in cui afferma che il dono non implica lo scambio. Prospettiva interessante, a mio parere, questa qui adottata: il dono è un atto comunicativo, e “agisce proprio rompendo il circolo dello scambio (..), apre e stimola il ricevente a mutare il proprio atteggiamento nei confronti di ciò che riceve, e di chi dona, ciò in maniera indipendente da una comprensione esaustiva del gesto” (pag. 35). Il dono è “il gesto inutile per eccellenza” (ibidem). La conclusione del capitolo è affidata alle parole di Guido Zingari, con cui l’autore ha collaborato: “Le ragioni del dono mettono radicalmente in questione lo sfrenato desiderio di appropriazione e di possesso, la volontà di rinunciare al proprio delirio di avere, pianificando l’affermazione di un egoismo onnivoro, totale e irreparabile. (…) Il dono, al contrario, non è mai mio, non mi appartiene, non si può vendere: è invece degli infiniti altri, è la rottura della falsità, la trasgressione palese e il rifiuto nei confronti di tutto questo apparato funzionale, di questo modo di vedere, di avere e di essere solo per sé.”. (G. Zingari, Il dono e l’Occidente, Le Nubi Edizioni, Roma 2005).
“Il sapere inutile più che una forma di conoscenza è una forma di saggezza, che non accumula ma che agisce, vive, ozia. L’insieme degli atti o dei pensieri inutili non forma una teoria, una riserva, non è esclusivamente perdita di utile, è un’apertura verso l’esterno, un’apertura che conduce verso una vita impossibile da vivere, animata dal voler vivere che è in ultima istanza un volere l’inutile, volere una vita inutile”.

La seconda parte del testo, “Frammenti”, presenta una forma di trattazione che per l’autore si addice alla ragione inutile. L’inutile, infatti, non è altro dal sistema dell’utile ma ne è frammento, estraneo e costitutivo al contempo. L’inutile opera sempre in campi particolari del reale, in maniera peculiare e sempre diversa, mai sistematica.
I paragrafi di cui questa parte si compone indagano questa presenza, questo operare. Implicazioni che sottendono un’estrema complessità concettuale e di cui avrei preferito leggere una trattazione più approfondita, più completa.
Nonostante le dichiarazioni che lo stesso Caponera fa nella Conclusione, ritengo che una più dettagliata descrizione avrebbe giovato alla presentazione del pensiero dell’autore. Questa mia personale, quanto opinabile, critica, non toglie spessore al discorso che Caponera costruisce, intessendo fitte trame tra la teoria dell’inutile e quegli elementi reali (la cultura, i mass media, la religione, la scienza…), che noi tutti quotidianamente esperiamo.
Pongo invece all’attenzione del lettore il frammento “Il dubbio inutile” (pag. 88), in cui si discute dell’importanza fondamentale del dubbio e della ricerca di quel che si cela nella ‘piega’ dell’inutile, nella stoffa del reale.
Il sistema ideologico utilitaristico ci porta a dare per scontati il mondo e la ragione; a sentirci completi di tutto e manchevoli di nulla nella prassi dell’esistenza; a eliminare il dubbio e con esso la necessità di riflettere filosoficamente sul mondo.
Assumere la logica dell’in – utile ci permette, in quanto esseri umani, di fuggire a una connotazione puramente biologica, per recuperare la nozione aristotelica di essere umano. “Ciò che ha sempre distinto l’essere umano dalle bestie è la sua capacità di costruire il proprio mondo e di costruirlo in maniera creativa e appagante, non ripetitiva e istintiva” (pag. 89).
Con uno stile asciutto e adatto a una soddisfacente trattazione filosofica, Marco Caponera ci consegna un testo con cui aprire la porta dell’inutile, pur lasciando al lettore l’ardito compito di varcare la soglia e ammirare lo spettacolo che si dischiude. Nella “Conclusione inconcludente” l’autore continua a mantenere un profilo basso, fuggendo il rischio di rappresentarsi come filosofo nella torre d’avorio.
Piuttosto, egli sceglie di accostarsi al lettore, in quanto abitanti di questo mondo e fautori di scelta. Scegliamo di oltrepassare quella porta e abbracciare un pensiero inutile o restare imbrigliati nella logica utilitaristica del mercato? Una scelta da cui non si torna indietro, completamente nostra, “forse per la prima volta” (pag. 114).
Written by Maria Cristina Mennuti
Tema interessantissimo e, secondo me, di stringente attualità, pure rilevando la sua universalità. Apre a sterminati campi di analisi e va oltre la dimensione strettamente filosofica.
L’estensione delle logiche capitalistiche a tutti gli ambiti socio-economici e il potenziamento della cultura utilitaristica e tecnico-scientifica hanno emarginato in maniera netta l’in-utile, il non utile, tutto ciò a cui non si possono imputare effetti evidenti, immediati, tangibili e misurabili.
In questo nuovo paradigma culturale non c’è spazio per l’inutile, e il dubbio, fondamentale elemento per una comprensione multi-dimensionale della realtà, è elemento di disturbo per l’efficienza generale delle strutture dell’organizzazione economica.
Viviamo un positivismo pericoloso. La fiducia nella tecnica non è più motivata da un effettivo miglioramento delle possibilità sociali, economiche, culturali delle persone, quello che consideravano progresso. Anzi la logica imperante è la creazione continua della mancanza, del bisogno, dell’insoddisfazione, e l’illusione diffusa è quella di migliorare l’esistenza umana grazie alla disponibilità di tecnologia facilitatrice del quotidiano.
In questo vortice di voracità consumistica, ansia da prestazione, desiderio del possesso, stress del quotidiano, bisogno di razionalizzazione non c’è spazio per l’ozio, la riflessione, il dubbio, il pensiero critico e la libera interpretazione.
Anche la cultura intesa come “produzione culturale”, quella universale, quella speculativa quella dei temi universali è erosa da una cultura contingenziale, settoriale, funzionale e produttivistica.
Assolutamente d’accordo con te. Infatti, il tema del libro è apprezzabilissimo anche fuori dalla sfera filosofica perché si adatta a molti campi, del sapere e della realtà in generale. Un bel modo per resistere è cercare l’inutilità nelle maglie della realtà, coltivare l’amore per la cultura disinteressata e, perché no, lasciarsi andare a dei regali in-utili! :-)