“Sei donne che hanno cambiato il mondo” di Gabriella Greison: le grandi scienziate della fisica del XX secolo
“Le donne che hanno studiato la fisica del XX secolo sono diverse dalle altre donne. Per loro l’indipendenza era una cosa seria. Sono donne tremendamente emancipate per i tempi in cui vivevano…”

Marie Curie, Lise Meitner, Emmy Noether, Rosalind Franklin, Hedy Lamarr, Mileva Maric.
Sei donne dalle menti straordinarie e sei storie tutte da raccontare.
Ed è Gabriella Greison a farlo, con dovizia di dettagli, nel testo biografico dal titolo Sei donne che hanno cambiato il mondo, edito nel 2017 da Bollati Boringhieri.
Nel tomo, di oltre duecento pagine, l’autrice spalanca un’ampia finestra sul mondo della fisica, illustrato dal punto di vista di una donna. Ciò che viene messo in luce, più di altro, è il difficile percorso intrapreso dalle sei protagoniste, di cui occorre far memoria perché testimoni di un’invenzione, o detentrici di un’idea, che ha aperto la strada a eventi imprevisti. Eventi, che grazie ad un minuzioso e paziente lavoro di ricerca, si sono poi concretizzati in scoperte scientifiche determinanti per l’umanità.
È inevitabile che le storie di vita e di studio delle scienziate si siano intrecciate a quelle dei loro colleghi maschi e, come sottolineato dall’autrice, ciò che emere da tali incontri è, per lo più, l’ostilità dimostrata da parecchi di loro nei confronti del genere femminile.
Considerate, immeritatamente, inferiori agli uomini per intelligenza e abilità professionale, per affermarsi nella carriera hanno dovuto affrontare notevoli avversità. A testimoniare, che il cammino per vedere riconosciute le loro intuizioni è stato lungo e irto di ostacoli, le donne che si dedicavano allo studio hanno dovuto subire avversioni d’ogni sorta.
Emarginazione. Parola che fa rabbrividire soltanto a citarla.
Era questo, purtroppo, l’atteggiamento che un tempo caratterizzava il mondo della cultura verso le donne, e in misura maggiore quello accademico.
Erano poche, in passato, coloro che potevano avvalersi di un’istruzione, nel particolare di quella scientifica.
Eccezion fatta per le donne che, nell’ambito familiare, avevano un’importante figura di riferimento che andasse a pungolare le loro menti già eccelse.
Ipazia d’Alessandria, per esempio, matematica e filosofa ellenista; ancora oggi icona della libertà di pensiero. E fu proprio in nome della libertà di pensiero che, intorno al 400 d.C., venne brutalizzata e uccisa.
“Ipazia aveva tutte le caratteristiche per essere odiata dai cristiani: donna, pagana, scienziata di grande fama. Visse dal 370 al 415, al tempo dell’imperatore d’Oriente Arcadio e di suo figlio Teodosio II…”
Sebbene, nel corso dei secoli, non tutte le donne di scienza siano state brutalizzate e uccise, da sempre si è cercato di metterle all’angolo, così come ricorda la Greison nel suo testo.
È sul finire dell’Ottocento che il positivismo celebra il trionfo della scienza. Nonostante ciò, anche in quegli anni più emancipati rispetto al passato, l’abilità intellettiva posseduta dalle donne non era riconosciuta: spesso le scienziate erano sì impiegate presso i laboratori scientifici, ma in veste di assistenti volontarie e non retribuite.
Oltre che eccellenti scienziate, le donne di cui si parla nel libro hanno dimostrato un grande coraggio: quello di aver lottato con tenacia contro i pregiudizi che le volevano investite soprattutto dal ruolo di mogli e madri.
Imperterrite, hanno continuato a studiare, consapevoli che studiare significava, allora come adesso, impossessarsi di un bene supremo: quello rappresentato dalla libertà di pensiero.
L’autrice presenta queste menti illustri nella loro ordinarietà, ne propone il lato umano, le peculiarità che l’hanno rese grandi, come i limiti a cui sono dovute sottostare per forza di cose.

Marie Curie è la prima donna di cui si racconta nel libro.
“All’età di quindici anni concluse gli studi al ginnasio con i voti migliori dell’istituto. In quegli anni era usanza premiare gli studenti più bravi con una medaglia d’oro, e così Maria ricevette la premiazione a fine anno…”
Ragazzina dalla personalità ben delineata, fin dai primi approcci scolastici Marie denotò una mente eccelsa.
Nata in Polonia nel 1867, si trasferì poi a Parigi, città in cui si compirà un incontro fondamentale per la sua vita e la sua carriera: quello con Pierre Curie, di cui diventerà sposa e compagna di studi, finché la morte di lui, nel 1906, non li separerà. Uomo che andò oltre il suo tempo, a Pierre Curie non garbò affatto che la moglie non venisse menzionata alla consegna del premio Nobel, che venne affidato a lui e ad un suo collega. Questo, per dare la misura umana e intellettuale dell’uomo Pierre Curie.
L’affannosa ricerca di un nuovo elemento, da aggiungere alla tavola di quelli già conosciuti, sarà ardua e faticosa, fino a quando i due annunceranno la scoperta del polonio e in seguito del radio, elemento che verrà poi associato alla cura del cancro.
L’esistenza di Marie si concluse nel 1934, perché affetta da una malattia contratta a causa degli studi sul radio e sull’esposizione alle radiazioni a cui fu sottoposta. E dei quali, all’epoca, si ignorava la pericolosità.
“È la nostra Marie Curie”.
Dirà Albert Einstein parlando di Lise Meitner, altra figura mitica di cui la Greison riferisce nel suo testo.
“Iniziò a frequentare i corsi con entusiasmo, si dedicò allo studio dell’elettricità, del magnetismo, della termodinamica, dell’idrodinamica e della meccanica. Cercò di trattenere quante più nozioni la sua testa poteva contenere…”
Nata a Vienna nel 1878 da una famiglia dell’alta borghesia, fu proprio l’ambiente familiare a darle la giusta spinta che ne favorisse la creatività.
Qual era la vera natura dell’atomo?
Si chiedevano gli scienziati dell’epoca, e Lise fra questi.
E, per fare proprio il principio della struttura dell’atomo, di cui all’epoca non si conosceva ancora la configurazione, la Meitner vi si dedicò con determinazione e studio febbrile.
Costretta a lavorare gratuitamente in laboratorio, e ciò dà la dimensione dei tempi difficili in cui queste scienziate operavano, indirizzerà i suoi studi sul territorio già esplorato dalla Curie: la radioattività.
Nel frattempo, al suo mentore verrà assegnato un importante riconoscimento per la ricerca sulla radioattività; ma, nonostante il suo fondamentale contributo, Lise neppure verrà menzionata.
Ma lei andò oltre, non badò alla mancata attenzione prestata al suo lavoro; e, rifugiatasi in Svezia, pubblicò un articolo nel quale si ponevano le basi teoriche per lo sviluppo della fissione nucleare.
L’opera di Lise sarà ricordata proprio per lo sviluppo della tecnologia della fissione nucleare.
Infine, nel 1960 si stabilì a Cambridge con il nipote, città dove trascorse gli anni finali della sua vita, dedicando le sue forze a favore del disarmo. Nel 1968 lasciò definitivamente questo mondo, dopo averne calcato la scena con il desiderio di essere al servizio dell’umanità.
“Durante gli anni della scuola dell’obbligo, Emmy amava anche dedicarsi al pianoforte, era appassionata di musica classica e spesso con la madre, abile violinista, improvvisava duetti in casa…”

Era il 1935 quando Einstein, residente negli Stati Uniti, ricevette la notizia della morte di Emmy Noether, terza donna scienziato di cui la Greison fa menzione nel suo libro.
Matematica d’eccellenza, nacque nel 1882 in una cittadina bavarese; anche lei, come le sue colleghe, manifestò fin da piccola un’intelligenza straordinaria. Si racconta, infatti, che a soli sei anni, in compagnia di alcuni coetanei, rispose a un quesito di carattere matematico alquanto difficile.
La Noether fu ideatrice di un teorema algebrico che prese il nome di teorema di Noether, strumento fondamentale per la fisica, inserito nella teoria quantistica dei campi e nella fisica delle particelle.
Rosalind Franklin, fisica e chimica inglese, è la quarta donna compresa nell’elenco delle scienziate considerate dalla Greison.
“Rosalind Franklin era invece una donna determinata, sofisticata, ben consapevole delle proprie qualità, e non voleva certo mettersi al servizio di un’altra persona solo perché lei non era di sesso maschile…”
Nata nel 1920 da una ricca famiglia ebraica, anche Rosalind, come le sue compagne di percorso, mostra fin da subito eccezionali doti scolastiche, con un’evidente inclinazione per la matematica e per l’apprendimento delle lingue. Rosalind Franklin si dedicò a studiare la struttura atomica dei cristalli.
Nel 1951 entrò a far parte di un gruppo di ricercatori che si occupava di analizzare la struttura di alcune fibre biologiche, e in particolare del DNA, campo in cui operò con grande lungimiranza.
Riuscì a individuare filamenti di DNA, offrendo così, con una perspicacia non comune, un contributo notevole allo studio della struttura del DNA.
Purtroppo, la Franklin ripose la sua fiducia in persone sbagliate che le carpirono i risultati delle sue ricerche.
Confidò quante più informazioni possibili a due suoi colleghi, i quali li pubblicarono sulla rivista Nature, prendendosi meriti che sarebbero spettati alla Franklin.
Ma lei non si curò del successo dei due che le avevano sottratto l’esito della scoperta, in quanto già appagata dal proprio successo umano e professionale. Si può quindi assentire che la Franklin fu la prima a scoprire la struttura a doppia elica del DNA. Si spense infine nel 1958, a soli trentotto anni.
“La famiglia di Hedy faceva parte della società viennese che frequentava i teatri e le sale da concerto, patrocinava le opere dei musicisti e dei pittori, e collezionava opere d’arte…”
Hedy Lamarr aveva una mente scientifica come pochi. Ma Hedy Lamarr, nome d’arte, non solo fu una grande scienziata, ma anche un’eccellente attrice. Amante del teatro, donna bellissima e dal fascino indiscusso, la Lamarr seguiva in contemporanea all’attività teatrale un corso di laurea in ingegneria.
Brevettò un sistema di modulazione per codificare le informazioni da trasmettere su frequenze radio, per comandare a distanza siluri e mezzi navali, ma soprattutto per evitare le interferenze.
La sua invenzione divenne un sistema adottato dagli Stati Uniti come mezzo di comunicazione a bordo delle navi impegnate nel blocco di Cuba del 1962. Migliorato poi sul finire degli anni ’50, il suo progetto fu adottato dagli Stati Uniti, tanto che divenne uno strumento fondamentale perché le comunicazioni militari fossero più sicure.
E, fu solo in seguito, che al progetto fu tolto la qualifica di segreto militare con cui era stato secretato; trovò così impiego nell’emergente industria della telefonia mobile. Quindi, dopo un periodo di assestamento, fu adottato come modello standard per i cellulari. L’idea della Lamarr fu dunque alla base di tutta la moderna tecnologia telefonica.

Anche Mileva Maric merita di essere ricordata per la sua intelligenza, e non per il fatto di essere stata la moglie di Albert Einstein. Ed è proprio grazie al suo acume che collaborò allo sviluppo della teoria della relatività come a tutto il lavoro del marito.
“È difficile prendere le parti di una sola persona in questa vicenda. Da una parte c’è l’incanto, la luce sprigionata dall’immensa figura di Albert Einstein; e dall’altra c’è la storia di una donna, una storia avvolta nell’ombra e nel mistero…”
Nata in Serbia nel 1875, Mileva era anche molto bella; soltanto un problema congenito all’anca sinistra, malformazione che la costrinse a zoppicare per tutta la vita, ne deturpò l’avvenenza.
Fu il padre il primo a comprendere il potenziale intellettivo di cui la figlia era dotata, e ad incoraggiarla negli studi, insegnandole sia serbo sia il tedesco. Timida e riservata, Mileva fu studentessa modello, manifestando una grande attitudine per le materie di tipo scientifico.
Nel 1903 Mileva si unì in matrimonio con Albert Einstein, vincolo di cui non rimasero soltanto una manciata di documenti: poche cose sicure su cui i biografi hanno potuto basare la ricostruzione della grande scienziata.
Mileva aveva riposto molte aspettative nel matrimonio con Einstein, non esclusa quella di fare ricerca con lui. È infatti pressoché certo che abbia contribuito a fare di Einstein l’icona scientifica di cui si ha memoria.
Quando Hitler salì al potere in Germania, nel 1933, Einstein, in quanto di origine ebraica, lasciò il paese per trasferirsi negli Stati Uniti. Per Mileva, invece, la vita fu più dura, fino a quando morì, nel 1948.
Ma per molto tempo non si conobbe il luogo dove era stata sepolta.
Fu grazie al pittore serbo Stojanovic, il quale si dedicò a una capillare ricerca, che si venne a conoscere il destino di Mileva, il cui ricordo è stata offuscato da quella del marito.
“Il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti”.
Avrà modo di dichiarare Einstein in un sibillino aforisma.
A conclusione, nella sezione finale del libro, l’autrice cita altre donne di ampia valenza intellettiva e che hanno contribuito a far progredire l’universo scientifico.
Protagoniste tutte, hanno affrontato impedimenti in un mondo accademico appannaggio per lo più di colleghi maschi. Ma, grazie all’enorme forza di volontà di cui si sono dotate, sono andate oltre, dimostrando che le donne ce la potevano fare, nonostante le enormi difficoltà incontrate lungo il loro cammino.
Quindi, ancora scienziate e ancora fisiche.
Fra queste: F. Gianotti, B. Mc Clintock, Wu Chien Shing, Vera Rubin, Jocelyn Bell, Lisa Randall.
Ed è proprio sulla Randall che la Greison si sofferma, ricordando che i suoi libri sono pietre miliari della scienza. Ma non solo capisaldi della scienza, perché in sé contengono anche osservazioni di metodo, metodo fondato sull’esperimento che prevede il superamento dei risultati ottenuti in precedenza.
E, la cui citazione contenuta nel testo, merita particolare attenzione.
“La scienza non stabilisce leggi universali e immutabili, come ci hanno raccontato alle scuole elementari. D’altra parte, la scienza non è nemmeno un insieme di regole arbitrarie. La scienza costituisce un corpo di conoscenze in evoluzione. Molte idee attualmente oggetto di verifica si dimostreranno sbagliate e incomplete. È evidente, l’interpretazione scientifica è soggetta a revisione: ciò avviene allorché varchiamo la linea che segna il confine delle conoscenze assodate, quando ci avventuriamo in lande remote dove si prospetta la possibilità di cogliere indizi di ulteriori verità, più profonde. Tuttavia l’aggiornamento di nuove conoscenze scientifiche non mette necessariamente fuori gioco le conoscenze precedenti: può significare, per esempio, che il modo precedente di vedere le cose non è applicabile alla scala più piccola delle particelle individuate recentemente. La conoscenza progredisce, ma non ripudia le idee precedenti, pur continuando a estendersi, con il trascorrere del tempo, anche se verosimilmente ci sarà sempre qualcosa ancora da esplorare”.
Infine, una sottolineatura, a commento dell’elemento prioritario che si evince dal testo: l’emarginazione in cui le donne scienziate sono state relegate.
Perché, viene da chiedersi, tale assurda discriminazione?
Non c’è alcun elemento fattuale, e neppure logico, a sostegno di tale tesi. Nulla, a dimostrazione che in qualche misura le donne siano inferiori agli uomini.

C’è quindi da domandarsi, perché denotare stupore, da parte della platea umana, forse poco propensa ad accettare in tutti i campi l’uguaglianza fra donne e uomini?
Non c’era, allora come adesso, alcuna spiegazione plausibile a tale pregiudizio, così come testimoniato anche dal libro della Greison: l’assoluta parità fra maschio e femmina, sia a livello mentale sia a livello umano, è un dato di fatto, una constatazione ineccepibile.
A conclusione, un breve giudizio personale sulla struttura e sui contenuti del testo, da cui si evince la grande sensibilità per le problematiche femminili posseduta dall’autrice.
Sviluppato con scrittura fluente, in cui si percepiscono enorme gioia ed entusiasmo nei confronti della fisica, valori che di certo fanno parte del bagaglio personale posseduto dalla Greison per la sua disciplina di formazione, il libro può essere motivo di incoraggiamento per le giovani donne che vogliono intraprendere lo studio di tale materia, non lasciandosi intimidire dagli impedimenti che vengono dalla stessa, ritenuta universalmente di natura alquanto ostica.
Inoltre, ragionando da lettrice attenta, ma lontana da competenze di materie scientifiche, l’autrice di questo commento sente di evidenziare le difficoltà che può incontrare una persona non addetta ai lavori, nell’approcciarsi a Sei donne che hanno cambiato il mondo.
Là, dove l’autrice in poche righe dà una spiegazione, o meglio fa un enunciato, che meriterebbe un più ampio sviluppo, ma che per ovvie ragioni legate a un limitato spazio grafico non può essere esaurito, e che coinvolge aspetti più articolati della disciplina, quale ad esempio la fisica teorica delle particelle subnucleari, il lettore può trovarsi in difficoltà, data anche la natura ampiamente complessa della materia.
Written by Carolina Colombi