Selfie & Told: Bonetti presenta il suo secondo album “Dopo la guerra”

“Raccoglievamo fiori dal pavimento/ e nuotavamo nella vasca da bagno/ decollavano aerei dal nostro balcone/ poi è arrivata la guerra// ci hanno scavato le trincee giù in giardino/ ci hanno armato fino ai denti, li abbiam lasciati/ fare abbiam messo la divisa da bravi e boom!/ è partita la guerra// sulla maglia che ti sei dimenticata/ granate enormi piovute dal soffitto/ la guerra è scivolata lungo i muri/ fino al letto// […]” ‒ “È guerra

Bonetti

Ciao, questa è un’auto-intervista. Io sono Bonetti (anche l’intervistatore lo è) e sono qui per presentare Dopo la guerra, il mio secondo album che uscirà a marzo per Costello’s Records e Labellascheggia.

Questa è la dimostrazione che parlare di sé dandosi del tu non è affatto semplice. Che poi, avessi potuto scegliere chi intervistare, ovvio che avrei puntato su altro. Comunque.

Non ho un futuro da intervistatore, è evidente, ma per amore del mio disco l’ho fatto lo stesso. Poi se si libera un posto a Linea Verde io sono qui. Anche Sport Italia è ok. Bacini.

Ed ora beccatevi questa Selfie & Told!

 

B.: Dunque iniziamo e, come si fa di solito in queste occasioni, facciamolo parlando del titolo: Dopo la guerra.

Bonetti: Sia chiaro fin da subito: non parlo della guerra con le bombe e i carri armati, ma di una guerra ‒ passatemi il termine ‒ esistenziale. Con questo termine ho voluto racchiudere un periodo di circa un anno e mezzo in cui mi sono dovuto confrontare con lo sgretolamento di molte certezze che nel tempo avevo fatto mie. Quasi tutte le canzoni sono state scritte nell’arco di quei mesi e, più o meno esplicitamente, sono influenzate da ciò che mi è successo.

 

B.: Quindi un disco per certi versi autobiografico, ma è giusto fare un disco in cui si raccontano i fatti propri?

Bonetti: Credo che questa sia una bella sfida per chi scrive canzoni. Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, a me piace parlare di vita vissuta, di quotidiano, partire da cose che più o meno sono successe a me o a persone a me vicine e da lì costruire poi il resto. La sfida è nel rendere universale il personale. Per presentare Camper, il mio primo disco, ho più volte rubato il sottotitolo a Boccalone di Enrico Palandri: Storia vera piena di bugie. Ecco, questo vale anche per Dopo la guerra. Sotto sotto c’è sempre del vero, ma anche spero ‒ del mestiere. Insomma, non sono pagine di un diario privato, ma canzoni per tutti.

 

B.: Ma non è un po’ esagerato tirare in ballo addirittura la guerra?

Correre forte – Bonetti

Bonetti: Beh, forse sì, però quale immagine sarebbe stata più adatta per raccontare una situazione in cui si azzera tutto in poco tempo? E poi, e questo è il vero motivo, durante quel periodo mi sono riletto tutto Fenoglio e un sacco di altri libri sulla guerra: il bellissimo La Paura di Chevalier, e poi i classici Niente di nuovo sul fronte occidentale e L’Agnese va a morire. Queste letture mi hanno influenzato mentre scrivevo, tant’è che fin da subito mi sono reso conto che in diversi miei testi c’era un riferimento alla guerra. E allora, anche per dare omogeneità al tutto, ho deciso di intitolare l’album così.

 

B.: Quindi questo disco lo vedi come un discorso narrativo piuttosto che come un insieme di canzoni?

Bonetti: Esatto, e questa è una caratteristica che lo distingue da Camper. A fare da collante c’è l’anno e mezzo di guerra con quello che è successo prima, durante e dopo. Mi sono accorto quasi subito che quelle canzoni sarebbero potute finire tutte insieme in un album e prima di ultimarle ho iniziato a pensare alla tracklist. Fabio Grande, il produttore, ha riportato questo ragionamento sul piano musicale e con i suoni e gli arrangiamenti è riuscito a rafforzare il concetto di discorso narrativo.

 

B.: Ma insomma: guerra, certezze annullate, è un disco triste?

Bonetti: No, e di questo sono particolarmente soddisfatto, anche se ovviamente il giudizio finale spetta agli ascoltatori. È un disco che dice le cose che deve dire, ma che guarda al di fuori, non si chiude in sé in una sorta di autocompiacimento consolatorio. Non credo a chi dice che scrive canzoni per emanciparsi dal dolore. Balle! Scrivessero diari allora! Dal dolore ci si emancipa in altri modi, ma le canzoni devono essere per tutti, per chi le ascolta. Questo è il pop e io sono orgoglioso di farlo!

 

B.: Qual è la tua maggiore preoccupazione riguardo a questo album?

Bonetti: Che non venga ascoltato a fondo e che venga liquidato come l’ennesimo progetto indie italiano. Ho riscritto ogni testo tantissime volte. Con Fabio abbiamo ragionato su ogni singolo suono, senza mai concederci una via di fuga comoda e furbacchiona. Sarebbe persino stato più facile contrapporsi a una certa scena proponendo qualcosa di dichiaratamente opposto, ma io non voglio snaturarmi con progetti eccentrici che poi alla fine sono solo l’altro lato della medaglia che dicono di voler contrastare. Io voglio continuare a scrivere canzoni e voglio farlo senza rinunciare al pop.

 

B.: Bene, del disco abbiamo parlato fin troppo, qualcosa da aggiungere?

Bonetti

Bonetti: Sì, a fine febbraio è uscito il video. È girato tra il Giappone e la provincia piemontese. È prodotto da Sherpa Studio ed è il frutto del lavoro di due cari amici: Edoardo Rubatto e Gianluca Mamino. Sono stati bravissimi e sono riusciti a creare un tutt’uno tra canzone e immagini. Insomma, i presupposti sono molto buoni!

 

B.: Grazie, sei stato bravissimo.

Bonetti: Anche tu.

 

B.: E sei anche bello, dovrei presentarti mia sorella.

Bonetti: Forse è un casino.

 

Lasciati i capelli così/ come paglia sulla faccia/ e lascia la tua voce così/ come una coperta/ che scende su tutto/ e nasconde anche noi// le cose che abbiam detto fino a qui/ sono pietre giganti/ possiamo andare avanti/ farne dei monumenti/ da immolare al passato// […]” ‒ “Correre forte

 

Written by Bonetti

 

 

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