L’otto marzo è ancora la festa della donna?
“Questa festa non mi appartiene.”

Così si è espressa una giovane a proposito dell’otto marzo, giornata internazionale dedicata alla donna.
Forse ha ragione Valentina, perché in questo giorno di memoria storica da festeggiare non c’è poi molto.
Basti pensare alle donne vittime di femminicidio, di cui la cronaca riferisce ogni giorno.
Stando ai dati, impressionanti, della violenza compiuta a danno delle donne, se ne potrebbe concludere che non sarebbe opportuno commemorare l’otto marzo.
A dispetto dell’allarme provocato dalle statistiche, invece, credo sia importante rendere omaggio a quel giorno, perché ricorrenza-simbolo dell’emancipazione femminile.
Ma, qual è stato l’episodio che ha dato il via a tale celebrazione?
Le versioni dell’evento scatenante che ha portato a far memoria dell’otto marzo sono molteplici, e anche contraddittorie. La narrazione più comune racconta che intorno al 1850, un incendio sviluppatosi in una ditta di abbigliamento provocò la morte di oltre cento donne, le quali protestavano per rivendicare alcuni loro diritti.
Diritti elementari, quali orari di lavoro meno massacranti o la conquista di un aumento salariale che permettesse loro condizioni di vita più accettabili.
Quindi, sfruttate e malpagate, proprio in virtù della loro appartenenza al genere femminile, le donne scioperarono bloccando la produzione tessile.
Il proprietario della fabbrica, però, forte delle precarie condizioni sociali delle donne dell’epoca, le rinchiuse nello stabilimento non permettendo loro di uscire. Motivo per cui, in seguito a una violenta esplosione, le poverette rimasero intrappolate all’interno e arse vive.
Ma, ricostruzioni a parte, e comunque siano andati i fatti, non è importante stabilire se quella citata corrisponde a verità, verità che, trascorsi molti anni dall’episodio, è ininfluente; importante, invece, è far memoria di quel giorno, per ricordare, in primis, le donne morte dell’incendio, e poi tutte le altre vittime della barbarie di stampo maschilista.
Non è dunque improprio parlare di festa della donna, semmai è giusto considerare l’otto marzo come giornata simbolo delle numerose discriminazioni che le donne hanno subito fin dai tempi più remoti.
È sufficiente ricordare, per esempio, le donne uccise per mano di uomini, spesso loro compagni. Oppure ricordare quelle che vivono in paesi devastati dalla guerra e dalla miseria, e che fanno del loro corpo uno scudo per proteggere i loro figli dall’inferno cui assistono ogni giorno.

O, altre ancora che spendono la vita per far proprio un ideale di giustizia; le appartenenti alle forze dell’ordine, per esempio, o quelle impegnate su fronti di guerra per portare la pace con l’obiettivo di fare del mondo un posto migliore. Quindi, l’esercito silenzioso di donne che consumano la loro quotidianità per dedicarsi alla famiglia, ed educare uomini e donne che meritino tale appellativo.
A questo punto, è meglio fermarsi qui, perchè l’elenco sarebbe lungo, se non lunghissimo. E contemplerebbe altre categorie di lavoratrici, non ultime le giornaliste, tra le quali si contano vittime innocenti, donne, tutte, impegnate a portare alla luce verità, a volte comode, e spesso nascoste in un mucchio di ciarpame.
Che dire inoltre delle insegnanti, donne che contribuiscono con passione a divulgare conoscenza ed educazione ricevendo assai poco in termini di gratificazione umana? Se non addirittura, in certi casi, insulti e offese.
Commemorare dunque l’otto marzo, data di enorme portata storica, questo sì; per non lasciare che le storie di molte donne coraggio cadano nell’oblio, nonostante il giorno dedicato alla donna sia tutt’oggi argomento che suscita ancora dibattiti e polemiche.
Innanzitutto sull’opportunità o meno di riservare un’intera giornata a rappresentare il genere femminile.
E questo se lo chiedono in molti.
Dedicare una giornata a raccontare delle donne vuol dire forse porle in condizioni di inferiorità?
Considerarle figure non attive della società di cui fanno parte, relegandole in un universo di solo appannaggio femminile?
Difficile replicare, perché le risposte che accendono gli animi sono molteplici e fra le più disparate.
Negli anni del secondo dopoguerra, intorno al 1945, in Italia, l’otto marzo assunse un proprio valore intrinseco. La guerra, rovinosa e di crudele portata emotiva ed economica, terminato il ventennio fascista, era di triste memoria. Le donne avevano conosciuto perdite, miseria, fame e non ultima la prostituzione.
Ma, la resistenza aveva portato con sé una nuova consapevolezza che si era radicata in molte coscienze femminili, le quali percepivano un bisogno urgente: quello di ottenere il diritto di partecipare alla vita politica del paese tramite il suffragio elettorale.
Allora, la giornata dell’otto marzo si festeggiava in comune, al di là degli elementi divisivi, quali, ideologie differenti e un credo religioso che non apparteneva a tutte.
La comunione d’intenti ebbe però breve durata; perché da allora la scissione si è andata via via rimarcando ogni otto marzo, e la tradizionale mimosa, simbolo pensato da Teresa Mattei, figura di spicco della resistenza e fra i membri della costituente nel 1946 è diventata emblema di mercificazione.
Negli anni caldi dei movimenti femministi, della giornata della donna si fece un’occasione per riproporre battaglie politiche e sociali di esclusivo appannaggio femminile: la parità dei diritti con i maschi, una diversa concezione dei rapporti sessuali, l’aborto, il diritto a essere considerate soggetti con dignità sociale uguale a quella degli uomini. Le donne erano allora dure, intransigenti, pronte alla lotta. Polemiche nei confronti di tutto ciò che era in odore di maschilismo, e i loro comportamenti si potevano cogliere negli slogan, negli striscioni di protesta, nelle assemblee studentesche, nei girotondi delle ragazze.

Oggi, le donne, dopo la crisi dei movimenti femministi sono di nuovo protagoniste delle loro vite, pronte a costruire il futuro e a sgomitare per occupare spazi sempre più ampi all’interno della società.
Adesso, alla donna è affidato un ruolo diverso: esprimere sì una coscienza politica e sociale, però con modi meno agguerriti. Senz’altro con una coscienza più matura rispetto a quella di un tempo.
Ebbene, il femminismo c’è, è vivo e vegeto; soltanto ha una diversa collocazione nella società, e si manifesta in maniera differente rispetto a quello che ha acceso gli animi nei lontani anni Settanta.
In conclusione quindi, per festeggiare la giornata della donna, ben venga il divertimento festaiolo, occasione di convivialità da consumarsi fra amiche magari davanti a una pizza fumante.
Che sia però, momento di consapevolezza, e che in sé custodisca l’obiettivo di mandare un messaggio positivo alle più giovani. Un incoraggiamento per migliorarsi e migliorare le proprie condizioni di vita, e continuare a combattere quotidianamente una battaglia per ottenere maggior dignità e pari opportunità.
Uguaglianza sul piano sociale ma anche su quello lavorativo, lì dove le donne ricevono una minore retribuzione dei loro colleghi maschi, a parità di grado e mansione professionale.
Occorre ricordare dunque, che alcune battaglie sono state vinte ma altre sono ancora da combattere.
È inoltre importante che le donne ricordino che la libertà, di cui in misura maggiore o minore ciascuna è detentrice, non è stata quella che hanno avuto le donne del passato. E, non è neppure quella che appartiene ad altre donne, le quali vivono in estreme condizioni di precarietà in altri angoli di mondo.
Celebrare una festa dunque, per ricordare che le opportunità conquistate sono frutto di lotte dure e sacrifici indicibili.
Oggi, alla luce dei diritti acquisiti e di quelli ancora da ottenere, viene da chiedersi, ma l’otto marzo ha ancora un significato politico? Se così non fosse, occorre restituirglielo, al fine di celebrare ogni giorno il fatto di essere donna, in un mondo dove non dovrebbe esserci più spazio per essere considerate un’eccezione, o un oggetto, ma soltanto un ‘soggetto’ con uguali diritti a quelli dei maschi.
Written by Carolina Colombi