Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologa Maria Grazia Melis

“La vicenda “Atlantide” è stata un’operazione editoriale a esclusivo scopo commerciale, di cui si è parlato sin troppo. Al giorno d’oggi è abbastanza semplice pubblicare libri, anche a costi limitati, ma ciò non comporta necessariamente che il loro contenuto sia valido. Per tutelarci rispetto a forme di divulgazione scorrette che imperversano in libreria e nel web, che offre democraticamente spazio a tutti, sarebbe necessario prestare attenzione alla fonte delle informazioni, senza dimenticare che la competenza non si acquisisce se non attraverso un percorso formativo specifico.” – Maria Grazia Melis

Maria Grazia Melis

Ventiduesima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.

La nota “fantarcheologia (“fantamania” od “archeomania”) ha prodotto il disagio di intralciare la divulgazione archeologica “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo, veri e propri libri di fantasia senza alcun riscontro con le fonti, con la realtà e con l’investigazione della metodologia scientifica. E se è pur vero che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future, in questo caso ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà; tali e quali a quell’Icaro che, con ali di cera, tentò di avvicinarsi al Sole ed in un primo momento sentì la gloria della sua impresa.

Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.

Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”

Il 10 febbraio abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologa Stefania Bagella, ha preceduto l’archeologa Valentina Leonelli, ha preceduto l’archeologa Giovanna Fundoni, l’archeologo Francesco di Gennaro, l’archeologo Giandaniele Castangia, l’archeologa Luisanna Usai, l’archeologo Paolo Gull, l’archeologo Piero Bartoloni, l’archeologa Viviana Pinna, l’archeologo Giuseppe Maisola, l’archeologo Nicola Sanna, l’archeologo Matteo Tatti, l’archeologa Anna Depalmas, l’archeologo Mauro Perra, l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.

Maria Grazia Melis è professore associato di Preistoria e Protostoria all’Università di Sassari, dove insegna Paletnologia e Preistoria. Ha conseguito il Diploma di perfezionamento in Archeologia (specializzazione Preistoria e Protostoria) all’Università di Roma “La Sapienza”. Nello stesso ateneo ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca in Archeologia preistorica.

È delegata all’Internazionalizzazione e alla mobilità internazionale (europea ed extraeuropea, programmi Erasmus e Ulisse) per il Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione. Dirige il Laboratorio di Preistoria e Archeologia Sperimentale, che ha fondato nel 2010 per lo sviluppo di attività di ricerca, didattica e archeologia pubblica. È ideatrice e direttrice della collana digitale “Quaderni del LaPArS”.

Ha svolto numerose campagne di scavo e ricognizione nell’Italia peninsulare (St. Martin de Corleans, Fregellae, Policoro), all’estero (I Calanchi-Corse du Sud, Shillourokambos-Cipro, Elles-Tunisia), in Sardegna (Su Coddu/Canelles-Selargius, Iloi e Ispiluncas a Sedilo, S’Elighe Entosu-Usini e altri).

I suoi principali interessi scientifici riguardano la Preistoria e la protostoria del bacino occidentale del Mediterraneo, con particolare riferimento al Neolitico e all’Eneolitico. All’interno di questi ambiti si è occupata di archeologia degli ambienti insulari, Eneolitico in Sardegna, cronologia della preistoria sarda, trasformazione delle materie prime e produzione artigianale. Ha condotto numerose ricerche sulla ceramica ed ha approfondito lo studio della filatura e della tessitura, cui ha dedicato una monografia.

Si è occupata, a partire dal 2009, di ricerca e sviluppo di sistemi integrati di documentazione archeologica sul campo con l’uso di APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto). È autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, articoli e monografie, tra le quali due libri dedicati alle ricerche presso la necropoli a domus de janas di S’Elighe Entosu a Usini.

 

A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?

Maria Grazia Melis -Usini S. Elighe Entosu – 2017

Maria Grazia Melis: L’archeologia preistorica si muove con cautela rispetto a interrogativi che riguardano la sfera immateriale. Ogni ipotesi deve avere un fondamento scientifico: è corretto porsi delle domande, alle quali non sempre possiamo fornire delle risposte e, ove è possibile, è necessario che siano supportate da dati precisi di tipo archeologico o etnoarcheologico. Ci chiediamo, per esempio, le motivazioni che hanno portato all’edificazione di un edificio cultuale o funerario in un determinato luogo, se la scelta sia legata a una sua eventuale valenza simbolica. Di fronte a una tomba megalitica o a una statua menhir si evoca spesso il “culto degli antenati”: i monumenti megalitici marcano il territorio, “forse” allo scopo di sancirne l’appartenenza ad un gruppo umano, richiamando il diritto acquisito dagli antenati. Non potendo rinunciare al “forse”, è tuttavia interessante evidenziare che tali monumenti mostrano un particolare approccio con il paesaggio, che a partire dall’Eneolitico coincide con l’affermarsi della competitività territoriale.

 

A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?

Maria Grazia Melis: Attualmente le costruzioni nuragiche e la civiltà che le ha prodotte non possono essere considerate sconosciute. Esiste una vastissima letteratura scientifica di riferimento e alcune opere di buona divulgazione, che hanno permesso di ricostruire (e far conoscere) le tecniche costruttive, il ruolo dei nuraghi nel territorio, le pratiche quotidiane e i comportamenti rituali dei gruppi nuragici, il quadro ecologico ed economico, le relazioni e la mobilità regionale ed extrainsulare. Numerosissimi monumenti turriti sono stati edificati in aree geografiche e contesti cronologici vari. Restringendo il campo al Mediterraneo occidentale e a un orizzonte cronologico contemporaneo a quello nuragico, possiamo individuare nelle Torri della Corsica una classe monumentale confrontabile con alcuni tipi di nuraghe. I Talaiots delle Baleari, un tempo evocati per le similitudini con i nuraghi, sono in realtà più recenti e sostanzialmente diversi dal punto di vista architettonico.

 

A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?

Maria Grazia Melis: Da tempo le teorie diffusioniste sono state ridimensionate o del tutto accantonate, lasciando il posto all’analisi delle peculiarità e degli sviluppi autonomi locali, pur nel quadro di contatti, scambi e circolazione di idee, manufatti e materie prime. Le relazioni con la Corsica, iniziate vari millenni prima dell’età del Bronzo, sono state in alcuni momenti più intense, in altri più rarefatte. Le somiglianze tra Torri e Nuraghi non comportano necessariamente un legame genetico, ma vanno inquadrate nell’ambito di relazioni, testimoniate anche dalla circolazione di manufatti.

 

A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci? 

Maria Grazia Melis: Attualmente l’unica ipotesi accreditata è la seconda. Si tratta di una radice non di origine latina, quindi forse precedente, tuttavia attestata a partire dall’età romana.

 

A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?

Maria Grazia Melis – Usini 2017 – Un giorno da Archeologo

Maria Grazia Melis: Come specificato sopra, i dati certi non mancano, ma l’archeologia è una disciplina in continua evoluzione e i risultati di un’indagine, non sono mai definitivi; possono essere integrati o addirittura confutati. Lo stato dei monumenti è la nostra ferita più dolorosa: i numerosissimi siti archeologici sono ancora in prevalenza non indagati, talvolta violati dai clandestini. A ciò si aggiunge che la ricerca archeologica ha costi elevatissimi: necessita di un’équipe interdisciplinare, di laboratori e analisi archeometriche e bioarcheologiche. Affinché il nostro ricco patrimonio culturale sia valorizzato e sia fruibile ai fini di un turismo sostenibile, è necessario che il processo inizi con la ricerca di base. La conoscenza è la condizione fondamentale perché si possano avviare progetti di valorizzazione e gestione. Questa necessità purtroppo in Italia evidentemente non è ancora percepita come prioritaria, se i finanziamenti destinati alla ricerca scientifica (non solo archeologica) sono ben al di sotto della media europea.

 

A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?

Maria Grazia Melis: È la più antica. Non abbiamo elementi per affermare se le popolazioni autoctone utilizzassero questo nome per indicare la propria terra.

 

A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?

Maria Grazia Melis: Non deve stupire che i nuragici non utilizzassero una forma di scrittura da essi stessi codificata, come appare allo stato attuale delle ricerche, perché, alla stregua di altri popoli della stessa complessità sociale, non approdarono ad una organizzazione di tipo “urbano”. Questo non significa che non utilizzassero altre forme di comunicazione. Innanzitutto va evidenziato il ruolo centrale della comunicazione orale e della trasmissione orale delle conoscenze, che noi ricostruiamo attraverso lo studio tecnologico dei manufatti, dal quale apprendiamo i meccanismi dell’apprendistato e della diffusione delle competenze. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che ancora nella Grecia antica parte della letteratura attinge alla tradizione dei componimenti orali, dal caratteristico linguaggio formulare. Tra le forme di comunicazione di cui abbiamo riscontro archeologico la prima e più conosciuta è quella simbolica, attraverso l’espressione artistica. L’Homo sapiens e, limitatamente, i gruppi neandertaliani, ci hanno lasciato nel Paleolitico le più antiche testimonianze di linguaggio artistico. Questo si è evoluto nei millenni mantenendo l’efficacia del suo ruolo comunicativo.

 

A.M.: Chi sono gli Shardana?

Maria Grazia Melis: Il nome “Shardana” è un tentativo di vocalizzazione della parola SRDN, presente in testi di Ugarit e in fonti egiziane. Corrisponde a personaggi che a seconda delle fonti hanno ruoli diversi o sono riconosciuti come popolo, successivamente identificato come uno dei “Popoli del mare”. L’identificazione con i sardi nuragici è stata fonte di numerosi dibattiti, non sempre scientifici, e ha suscitato un enorme interesse nel grande pubblico, purtroppo, come nel caso di Atlantide, spesso motivato da un bisogno spasmodico di evocazione di un passato “glorioso” con la funzione di riscatto sociale e politico. Attenendoci ai dati archeologici, ciò che possiamo affermare con certezza è che materiali nuragici si ritrovano in diversi angoli del Mediterraneo a oriente e occidente; analogamente materiali di importazione si rinvengono nei giacimenti nuragici. Sono le testimonianze delle relazioni e degli scambi che il popolo dei nuraghi ebbe con le coeve comunità mediterranee.

 

A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?

Maria Grazia Melis: Credo che il problema principale sia il riconoscimento della figura dell’archeologo come lo specialista competente, al quale rivolgersi per ottenere delle informazioni in campo archeologico. Sfortunatamente, se per costruire un ponte ci rivolgiamo ad un ingegnere e per curare il mal di gola chiamiamo il medico, inspiegabilmente davanti a un nuraghe o a una statua-menhir siamo tutti archeologi, così come durante una partita di calcio siamo tutti allenatori! In realtà il “cursus honorum” dell’archeologo è piuttosto lungo e impegnativo: laurea di base (3 anni) + laurea magistrale (2 anni) + scuola di specializzazione (2 anni) + (oppure) dottorato di ricerca (3 anni). Ma ancora non basta: l’archeologo non deve smettere di studiare e di essere aggiornato sugli sviluppi della disciplina e delle sue metodologie. La fantarcheologia nasce quando si tenta di formulare ipotesi sulla base della semplice osservazione di un monumento o di un manufatto, in assenza degli indispensabili strumenti metodologici e delle informazioni scientifiche sul contesto di riferimento. Il contesto archeologico è un archivio complesso, del quale il monumento è parte integrante, ma inscindibile dai dati stratigrafici, nei quali l’archeologo legge i tempi e le modalità di formazione e frequentazione. Una divulgazione corretta si fonda essenzialmente su tre principi: competenza, linguaggio adeguato e rispetto per il pubblico. In assenza di questi si scivola nella fantarcheologia. Per tutelare il grande pubblico da una conoscenza distorta della realtà storica e per fornire con un linguaggio adeguato una divulgazione corretta l’università da alcuni anni è impegnata in quella che viene definita la sua “terza missione”, che si affianca alla ricerca e all’alta formazione. La terza missione ha lo scopo di raccordare il mondo della ricerca con il territorio e i cittadini, in un processo virtuoso che inizia con l’acquisizione scientifica e termina con la divulgazione della scienza. L’archeologia pubblica, che è una disciplina impartita all’università di Sassari, utilizza i più moderni metodi e strumenti tecnologici per “raccontare” il nostro passato. Nel mio ambito, presso il Laboratorio di Preistoria e Archeologia Sperimentale (LaPArS), che dirigo all’università di Sassari, per divulgare le conoscenze sulla preistoria utilizzo tra gli altri approcci l’archeologia sperimentale, che, oltre ad essere uno strumento di ricerca, è un valido mezzo di divulgazione scientifica, basato sul principio della “conoscenza attraverso l’esperienza diretta”. Anche in questo caso la competenza scientifica è fondamentale, poiché per riprodurre un manufatto è necessario riprodurre gli antichi gesti dell’uomo e, dunque, aver competenze sui metodi, i procedimenti e le tecniche del processo produttivo.

 

A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamate nuraghi?

Maria Grazia Melis

Maria Grazia Melis: La vicenda “Atlantide” è stata un’operazione editoriale a esclusivo scopo commerciale, di cui si è parlato sin troppo. Al giorno d’oggi è abbastanza semplice pubblicare libri, anche a costi limitati, ma ciò non comporta necessariamente che il loro contenuto sia valido. Per tutelarci rispetto a forme di divulgazione scorrette che imperversano in libreria e nel web, che offre democraticamente spazio a tutti, sarebbe necessario prestare attenzione alla fonte delle informazioni, senza dimenticare che la competenza non si acquisisce se non attraverso un percorso formativo specifico. Sfortunatamente una fetta di pubblico è sensibile alle teorie basate su misteri, complotti e origini mitologiche. Eppure, come ho potuto constatare nella mia personale esperienza, il pubblico oggi è più maturo e manifesta in prevalenza una sana curiosità e l’esigenza di ricevere informazioni corrette. A proposito della considerevole consistenza del nostro patrimonio archeologico, in particolare in riferimento all’elevatissimo numero di torri nuragiche, mi permetto di spezzare una lancia a favore dell’età prenuragica, un po’ trascurata dai media, forse perché meno conosciuta e in genere meno spettacolare a livello monumentale; tuttavia vorrei ricordare brevemente, ad esempio, le oltre 3000 domus de janas; vorrei ricordare che sin dal Neolitico antico l’ossidiana del Monte Arci pose la Sardegna al centro di una complessa rete internazionale di scambi; infine vorrei ricordare Monte d’Accoddi, così straordinario e poco conosciuto agli stessi sardi! La protostoria della Sardegna è interessantissima, così come anche la sua preistoria. Tuttavia, come archeologa, non sono incline a tentazioni campanilistiche e alla ricerca di primati. Nel corso dei millenni l’uomo ha lasciato nel mondo i segni del proprio savoir faire, regalandoci monumenti di rara bellezza; il Mediterraneo, in particolare, è stato lo scenario naturale per lo sviluppo di straordinarie culture e civiltà, ognuna con le sue peculiarità, ma tutte di eccezionale interesse.

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Maria Grazia Melis: I singoli passi della ricerca scientifica sono spesso così complessi, la loro spiegazione così difficile che essi possono essere seguiti solo dal piccolo gruppo degli specialisti. Le svolte decisive però interessano una grande cerchia di persone e devono poter essere comprese anche nell’ambito di questa più larga cerchia. Werner Heisenberg

 

A.M.: Maria Grazia è stato un vero piacere ospitarti nella rubrica Neon Ghènesis Sandàlion e ti saluto con le parole di Carl Gustav Jung: “Lo spirito del tempo si sottrae alle categorie della ragione umana. Esso è un’inclinazione, una tendenza di origine e natura sentimentali, che agisce su basi inconsce, esercitando una suggestione sugli spiriti più deboli e trascinandoli con sé. Pensare diversamente da come oggi si pensa genera sempre un senso di fastidio e dà l’impressione di cosa non giusta; può apparire persino come una scorrettezza, o una morbosità, o una bestemmia, ed è quindi socialmente pericoloso per il singolo.

 

Written by Alessia Mocci

 

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