“Giordano Bruno”, poesia di Trilussa
“Giordano Bruno” di Trilussa

Fece la fine de l’abbacchio ar forno
perché credeva ar libbero pensiero,
perché si un prete je diceva: — È vero —
lui risponneva: — Nun è vero un corno! —
Co’ quel’idee, s’intenne, l’abbruciorno,
pe’ via ch’er Papa, allora, era severo,
mannava le scommuniche davero
e er boja stava all’ordine der giorno.
Adesso so’ antri tempi! Co’ l’affare
ch’er libbero pensiero sta a cavallo
nessuno pô fa’ più quer che je pare.
In oggi, co’ lo spirito moderno,
se a un Papa je criccasse d’abbruciallo
pijerebbe l’accordi cór Governo.
Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri (Roma, 26 ottobre 1871 –Roma, 21 dicembre 1950), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco. Con un linguaggio arguto, appena increspato dal dialetto borghese, Trilussa ha commentato circa cinquant’anni di cronaca romana e italiana, dall’età giolittiana agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli preferiti. Ma la satira politica e sociale, condotta d’altronde con un certo scetticismo qualunquistico, non è l’unico motivo ispiratore della poesia trilussiana: frequenti sono i momenti di crepuscolare malinconia, la riflessione sconsolata, qua e là corretta dai guizzi dell’ironia, sugli amori che appassiscono, sulla solitudine che rende amara e vuota la vecchiaia (i modelli sono, in questo caso, Lorenzo Stecchetti e Guido Gozzano).