“Noi che ci vogliamo così bene” di Marcela Serrano: la storia di quattro donne nel Cile di Pinochet

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Dicono che sono malata. Non so bene perché mi trovi in questa clinica. Mi ci ha portato Magda quella notte, pensando che avessi tentato di suicidarmi. Ho provato a spiegarle, il giorno successivo, che quella non era la mia intenzione. Magda non capisce che ero soltanto stanca. Per questo ho perso conoscenza. Avrebbe potuto portarmi in un ospedale qualsiasi. Ma non mi credono. Dicono che la miscela di tranquillanti e alcol può essere letale. E che io lo sapevo.‒ Incipit de “Noi che ci vogliamo così bene

Noi che ci vogliamo così bene

Ana, Marìa, Isabel e Sara: sono loro le quattro donne cilene protagoniste del romanzo di Marcela SerranoNoi che ci vogliamo così bene”. Romanzo d’esordio della scrittrice cilena, edito in Italia nel 1996 da Feltrinelli, ha vinto, tra gli altri, il premio della casa editrice francese Coté des Femmes come miglior romanzo ispanoamericano scritto da una donna.

La virtuosa penna della Serrano ci trasporta nelle vite di queste quattro donne, a viver loro accanto in un Cile, quello dalla dittatura di Pinochet ai tempi moderni, fortemente inquieto. Le loro vicende sono inscindibilmente legate alla storia del loro Paese, che segnerà le loro lotte, le conquiste, gli amori, le perdite e i dolori, ma che sarà soprattutto teatro di quell’emancipazione femminile di cui sente incombente necessità.

Sono passati dieci anni dal loro primo incontro, presso l’Istituto di Ricerca di Dora, dove hanno lavorato e vissuto insieme. Colleghe prima e amiche poi, si ritrovano oggi nella casa al lago di Ana per una vacanza da mariti, figli, lavoro, per raccontarsi e per poter tornare insieme sui sentieri del passato.

Sarà proprio Ana a narrare in prima persona le vite delle sue più care amiche per affrontare una nuova sfida, dice, perché “non voglio diventare una vecchia mummia”, ma soprattutto perché è lo strano fenomeno di essere donna che più l’appassiona.

Le parole della scrittrice sudamericana hanno la magia di una sinestesia e davanti ai nostri occhi possiamo vedere queste quattro donne, così diverse eppure così unite, in questa casa al lago che ci porterà sulla strada dei ricordi, a scoprire come si diventa quel che si è.

Ana ha mille interessi, studia letteratura ed ha tre figli e tre nipoti, un marito che ama ancora. Sembra essere un’ombra costante nel racconto, forse manchevole di una caratterizzazione esatta. È una donna di cinquantadue anni che continua a dipingersi con mediocrità e riservatezza.

Isabel, mamma di cinque figli e moglie di un marito che non l’apprezza come dovrebbe. Siamo sin da subito catapultati nella sua tristezza, nella solitudine di un’infanzia difficile, con una madre depressa e un padre assente. Questa donna che vediamo in preda alla frenesia per accontentare gli altri, ma sul ciglio di un’esplosione emotiva, ci ricorda quanto sia importante il tempo per sé, la cura dell’anima lontano dai doveri del quotidiano.

Sara, mamma di Roberta e amante del suo lavoro, ci strega con la sua dolcezza e il suo senso materno, maturato durante un’infanzia curiosa ma allegra. Circondata da sua madre e dalle sue zie dopo la fuga del padre, coltiva una forte passione per la politica, la poesia e il suo lavoro. È così brava a inserirsi nella lotta comunista per la liberazione del suo paese, ma non altrettanto a proteggersi da amori che la faranno soffrire.

Sara sentì che il mondo era più grande, molto di più di quel poco che lei riusciva a spiare, e volle saperne di più.

Marìa non è sposata e non ha figli per scelta,[…] nata trentasette anni fa a Santiago del Cile, in quell’ambiente fisico e sociale dove qualsiasi arrivista avrebbe voluto nascere”.

Delle quattro amiche è la più giovane, la più estroversa, ma anche quella che si è più attentamente costruita una corazza di resistenza al dolore. Sua madre l’ha sempre definita “bella ma tonta” rispetto alle sue sorelle, Magda e Soledad, con cui Marìa vive un rapporto totalizzante.

La sua figura è quella che sembra essere al centro del vortice di queste storie; l’ostinazione di allontanarsi dai valori religiosi di sua madre, la porta a vivere molteplici amori, a non legarsi mai a un unico uomo per il timore di rompere quel guscio così faticosamente costruito.

Marcela Serrano

Mentre il viaggio prosegue e la lettura scorre veloce tra i binari della memoria di queste quattro donne, se ci voltiamo a guardare fuori dal finestrino, dal nostro posto privilegiato di lettori, vedremo il Cile. Una terra con la sua storia, le sue tradizioni, il suo popolo che s’intreccia ad ogni ricordo.

Non possiamo pensare di capire quello che Ana, Marìa, Isabel e Sara hanno vissuto se le sleghiamo dal Cile; la militanza che le unisce, lo spirito di resistenza alla dittatura che incarnano, la tenace volontà di far sentire la voce delle donne del loro tempo sono i caratteri che più affascinano il lettore.

Così, travolti dalle azioni coraggiose, talvolta imprudenti, di queste donne, amiche e colleghe, la lettura scorre piacevolmente. Non mancano momenti in cui vorremmo strapparle quelle pagine, per andare a consolarle, per mutare i loro destini, per entrare in quella casa sul lago.

E proprio quando il viaggio sta per finire, il treno è al capolinea, la nube dei ricordi si dissolve, scopriamo che le vere protagoniste non erano Ana, Marìa, Isabel e Sara, bensì il Cile. Una terra che si è rivelata contraddittoria ma affascinante, che ha vissuto una storia che pochi conoscono, ma che ha lasciato ferite ancora sanguinanti.

Chiudiamo il libro, osserviamo il viso della scrittrice cilena e pensiamo che, forse, l’unica pecca sia che queste storie non siano durate abbastanza.

Si può immaginare la vita delle donne come un gioco tra il pieno e il vuoto. Gioco di cui tu non hai trovato la soluzione. (Ma chi l’ha trovata?) Non sei neppure caduta nella tentazione di seguire quel che già tutti sanno. Subito ti domandi: è questo ciò che devo essere? E il corpo ti pare la forma con cui modellare le risposte. Pieno: la gravidanza. Come se fosse soltanto a partire dalla maternità che la donna acquisisce miracolosamente il significato del suo essere. Funziona per un po’, sopprime l’angoscia. La donna è piena, fino a scoppiare. Dorme la sua gravidanza. La nascita del figlio a sveglia, a volte brutalmente. Il figlio è ormai nel mondo, lei non ce l’ha più, il suo equilibrio è in pericolo. Nel corpo restano buchi da riempire, e lì si annida la depressione. È di nuovo sola con il suo vuoto. E si riapre la domanda: cosa significa essere donna? Soltanto attraverso il vuoto si è donna e si riesce a immaginare come ci si riempie, nella ricerca eterna della risposta”.

 

Written by Maria Cristina Mennuti

 

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