“Donne d’Algeri nei loro appartamenti” di Assia Djebar: gioie e sofferenze avvolte dai vapori del bagno turco
“Un percorso dedicato all’ascolto, che va dal 1958 al 1978: conversazioni ridotte in frammenti e ricomposte dalla memoria, storie fittizie, volti e sussurri di un immaginario vicino, di un passato-presente che bruscamente cambia spinto dall’intrusione di un’informalità nuova… racconti tradotti da un arabo femminile, come a dire da un arabo sotterraneo”.

In queste poche righe che ne aprono l’introduzione, cogliamo il contenuto di “Donne d’Algeri nei loro appartamenti”, della scrittrice algerina Assia Djebar, scomparsa nel 2015, pubblicato in Italia da Giunti Editore.
È un libro particolare, difficilmente categorizzabile: racconti di storie vere, alternati a fantasiose riproduzioni di vicende irreali, richiami storici e contestualizzazioni sociali e politiche.
Tutti ingredienti di un volume che ammalia fin dal titolo che richiama apertamente il famoso dipinto di Delacroix “Donne d’Algeri nei loro appartamenti”, nel quale il pittore francese riproduce l’affascinante e misteriosa atmosfera dell’harem.
Ma le donne di cui ci narra la Djebar non sono solo donne che abitano gli harem, sono per lo più donne comuni, che vivono la loro quotidianità in un paese, l’Algeria appena liberata dal colonialismo francese.
Ci ritroviamo così ad ascoltare le conversazioni di amiche, mogli, sorelle, madri, figlie, ciascuna con il proprio ruolo, ciascuna in cerca di una alternativa alla vita condizionata e preordinata dalle convenzioni e dalla tradizione.
Donne che parlano fra loro, che si ascoltano a vicenda: “Non vedo altra via d’uscita per noi se non per mezzo di incontri come questo: una donna che parla di fronte a un’altra che guarda. Quella che parla sta raccontando l’altra, i suoi occhi brucianti, la sua memoria nera. Colei che guarda, a forza di ascoltare, di ascoltare e ricordare finisce col vedere se stessa per mezzo del proprio sguardo, finalmente senza veli”.
Le donne si raccontano, narrano il loro vissuto, i problemi con i figli, con i mariti, con la società, a volte anche con le altre donne, nell’eterna competizione che non risparmia nessuna a nessuna latitudine.
E i racconti diventano veicoli per mostrare i sentimenti, le emozioni che albergano negli animi di queste donne, che le allietano o le rattristano, le dilaniano o le sollevano.
Racconti che evocano atmosfere esotiche, capaci di catturare l’attenzione di quel medio occidente che allunga lo sguardo sulla sponda sud del Mediterraneo.

“La sala calda a poco a poco si andava riempiendo di madri di famiglia con bambini addormentati e poppanti in lacrime, mentre la coppia di donne sistemate sulla piattaforma, in posizione dominante rispetto alle altre bagnanti, riprendeva a intrecciarsi nel ritmo faticoso, assumendo forme strane come un albero lento e armonioso le cui radici affondavano nello scorrere persistente dell’acqua sulle lastre di marmo grigio”.
Sembra di essere lì, avvolte dai vapori del bagno turco, stordite dal calore a godere di bagni e massaggi il cui sapore non ha paragoni con le sterilizzate spa di occidentale fattura.
Le donne e l’hammam, un connubio inscindibile nelle culture mediorientali e nordafricane che la Djebar ci rende come in una nitida fotografia, dalla quale sembrano uscire le volute di vapore ad avviluppare la fantasia e l’immaginazione, come “lo scorrere continuo dell’acqua che in quella sala trasforma le notti in un mormorio liquido”.
Aisha, Anissa, Fatuma, Yemma e le altre: un coro di donne che, attraverso un arco temporale che va dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Sessanta del secolo scorso, raccontano le donne algerine, le loro gioie, le loro sofferenze, i loro sogni e i loro incubi.
Written by Beatrice Tauro