“Milza Blues” di Davide Ficarra: il sussulto rabbioso e dolente di una generazione

Milza Blues è una zampata felina. E mi ricorda inevitabilmente lo slancio di Davide alla “conquista” di una Presidenza imbolsita e sin troppo prudente che permise alla Pantera, movimento allora nascente, di egemonizzare l’orientamento di un’Assemblea di Ateneo. Correva l’anno 1989.

Milza Blues

Milza Blues (Navarra Editore, 2017) è azione, nel ritmo, blues per l’appunto, nello sviluppo e nei presupposti: azione come modo per imprimere una traiettoria diversa alla realtà delle cose.

È azione come lo è la biografia politica dell’autore, Davide Ficarra, fertile e concreto animatore della vita politica palermitana, oltre i rituali e le confessioni, costruttore paziente di conflitto.

Milza Blues è il farsi di un conflitto come urgenza personale, ancor prima che politica.

Come un vero blues il romanzo ci colpisce, senza preavviso alcuno, e senza inutili giri di note ci assesta un diretto proiettandoci nel ventre molle di una città che a cavallo tra anni ’60 e ’70 comincia a decomporsi irreparabilmente.

Il blues diventa il sottofondo di esistenze relegate ai margini da un sistema di potere politico mafioso, una dichiarazione di sopravvivenza che entro una cornice ritmica ci offre insieme le tonalità alte e improvvise del pianto e della rivolta.

Protagonisti sono quattro ragazzini di un quartiere popolare di Palermo nel corso degli anni ’70, necessariamente destinati ad entrare in rotta di collisione con il boss del quartiere, i suoi cani da guardia e le logiche che ne consolidano il potere.

Pochi ma saldi principi, un tenue legame con il Partito Comunista di quegli anni, rende questi ragazzi nel loro appropinquarsi alla vita, l’immagine di una generazione che ha vissuto con enorme frustrazione e con senso di oppressione gli anni più bui della storia di Palermo; il medesimo scenario che ci racconta PIF nel suo “La mafia uccide solo d’estate”, ma con una prospettiva in questo caso fantasmagorica e quasi mitologica.

E l’unico modo di fottere i mafiosi diventa quello dell’azione, giocoforza illegale e clandestina, in un quadro di complicità sociali ed istituzionali che ha reso effettivamente la mafia di quegli anni un potere tetragono e intoccabile.

Ecco perché ci identifichiamo in quei ragazzi, che sono le personificazioni delle nostre fantasie adolescenziali di giustizia, che conchiudono la nostra stramaledetta voglia di manifestare il nostro irreprimibile disprezzo ad un mafioso, un malacarne, un malamente.

Davide Ficarra

E all’autore il grande merito di aver dato la vita a quei nostri voli pindarici, a quelle nostre fantasie donchisciottesche, di ragazzi che, nel clima delle guerre di mafia e dei primi grandi attentati ai rappresentanti delle istituzioni, hanno interiorizzato un profondo senso di odio verso una città che trasmetteva nell’aria la pesantezza del piombo.

Una piccola storia dunque nello scenario della storia di Palermo e dell’Italia tutta. Una vicenda che ci fa ripercorrere lo sgretolarsi delle grandi narrazioni novecentesche in ragione della potenza dei flussi globali, che proprio a Palermo, sul terreno del mercato della droga, trovano un centro nevralgico; del resto la mafia è certamente un avanguardia in fatto di globalizzazione.

La radicalità dell’autore, nel senso della ricerca delle radici dei fenomeni umani, ci accompagna come lente di osservazione che non può concepire alcun terreno di intermediazione.

La mafia è una montagna di merda e la dolorosa e fantasmagorica storia del quartetto meraviglia ce ne fa provare l’olezzo. Lasciandoci un senso di sconfitta, di impotenza dinanzi alla dannata densità di un’aria irrespirabile.

Ci resta però anche la soddisfazione che, dopotutto, di umanissimi miserabili si tratta, che possono essere irrisi dalla creatività e dall’umanità di quattro giovanissimi ragazzi.

Buona lettura!

 

Written by Mauro Tuzzolino

 

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