Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologa Luisanna Usai
“Fino a non molti anni fa nessuno si stupiva della mancanza di fonti scritte per la civiltà nuragica, mentre solo recentemente c’è questa ricerca spasmodica per costruire sulla base di qualche segno o simbolo astratto un alfabeto nuragico. A parte il fatto che se esistesse una scrittura nuragica, vista la grande quantità di materiale che proviene dagli scavi, noi dovremmo avere una documentazione su argilla o altri materiali non deperibili, come accade altrove.” ‒ Luisanna Usai

Sedicesima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion”, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.
La nota “fantarcheologia” (“fantamania” od “archeomania”) ha prodotto il disagio di intralciare la divulgazione archeologica “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo, veri e propri libri di fantasia senza alcun riscontro con le fonti, con la realtà e con l’investigazione della metodologia scientifica. E se è pur vero che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future, in questo caso ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà; tali e quali a quell’Icaro che, con ali di cera, tentò di avvicinarsi al Sole ed in un primo momento sentì la gloria della sua impresa.
“Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.
Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”
Lo scorso sabato abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologo Paolo Gull, ha preceduto l’archeologo Piero Bartoloni, l’archeologa Viviana Pinna, l’archeologo Giuseppe Maisola, l’archeologo Nicola Sanna, l’archeologo Matteo Tatti, l’archeologa Anna Depalmas, l’archeologo Mauro Perra, l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.
Luisanna Usai si è laureata in Lettere Classiche a Cagliari con una tesi di Paletnologia ed ha conseguito in seguito il diploma di perfezionamento in Archeologia presso lo stesso Ateneo cagliaritano.
Ha svolto la propria attività di archeologa presso le Soprintendenza per i beni archeologici della Sardegna, dal 1979 all’inizio del 2002 a Cagliari e dal 2002 al 2015 a Sassari.
Nell’ambito delle attività istituzionali, oltre ad avere seguito diversi scavi di ambito preistorico, ha collaborato all’allestimento di vari Musei, in particolare quello Nazionale di Cagliari, e di mostre tra le quali la recentissima “L’Isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica”.
In ambito scientifico ha dedicato la propria attenzione alla preistoria e protostoria della Sardegna con numerosi scritti, in riviste e atti di convegno, su contesti e tematiche riferibili, in particolare, alle fasi archeologiche prenuragiche. Ha inoltre curato l’edizioni di volumi quali “Le sculture di Mont’e Prama. La mostra” e “L’Isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica. Catalogo della mostra”.
A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?
Luisanna Usai: Per la preistoria più remota della Sardegna sono numerose le definizioni popolari per denominare quelli che per noi ora sono monumenti archeologici e le leggende ad essi collegate, a partire dalle domus de janas e dalle tombe di giganti. Questi termini sono talmente noti tra gli abitanti della Sardegna da essere stati acquisiti nel linguaggio archeologico. La leggenda popolare fa abitare nelle domus de janas fate che tessono su telai d’oro o streghe tra le quali la più terribile Orgìa Rabiosa. Una nutrita favolistica popolare accompagna in tutta l’isola anche le pietre fitte e i menhir. Ed anche in epoca nuragica molte denominazioni di tombe di giganti, di nuraghi, di edifici sacri rimandano ad un immaginario fantastico; basti vedere quanto spesso compare la denominazione Domu s’Orku. In questi casi la fantasia ha dato corpo alla diversità dei resti archeologici rispetto alla contemporaneità e mi piace pensare che abbia contribuito alla loro conservazione. Purtroppo la fantasia anche in tempi molto razionali quali dovrebbero essere quelli moderni è spesso utilizzata per creare falsi miti e per abbellire realtà troppo prosaiche. Questo accade troppo spesso in campo archeologico dove ad esempio ogni tanto si parla di giganti sepolti in tombe nuragiche o si definiscono le sculture di Mont’e Prama “I giganti”. Piace molto l’idea che i sardi nuragici fossero grandi anche per la loro statura, senza preoccuparsi di leggere qualche testo anche datato che dà le indicazioni dell’altezza media dei sardi (e delle sarde) di epoca nuragica.
A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?

Luisanna Usai: Sconosciuti mi sembra un termine veramente improprio perché noi sappiamo certamente tanto oggi su questi monumenti, anche rispetto a 10 anni fa. Certo se la ricerca potrà andare avanti, se si scaveranno altri nuraghi, se si riesamineranno i vecchi scavi tra 10 anni ne sapremo di più. Gli studi più recenti hanno, peraltro, evidenziato una notevole varietà di soluzioni architettoniche nella realizzazione delle strutture nuragiche, pur nell’ambito di tipologie ben definite. Anche le stratigrafie evidenziate con gli scavi recenti ci aiutano a capire meglio l’evoluzione della civiltà nuragica e le sue diverse articolazioni culturali. E questi sono risultati molto importanti per capire (e per cercare di far capire) una civiltà assolutamente unica nell’ambito della preistoria e protostoria del Mediterraneo. E qui mi collego alla domanda. I nuraghi non hanno precisi riscontri in nessun’altra area del Mediterraneo, anche se alcune caratteristiche costruttive possono trovare analogie con monumenti megalitici quali le tholoi micenee, le Torri della Corsica, i Talaiots delle Baleari, i Sesi di Pantelleria. Tutte queste costruzioni sono, però, molto più semplici e in alcuni casi possono derivare dagli stessi nuraghi. Certamente le analogie maggiori sono con quegli edifici costruiti in Grecia – il più famoso è il cosiddetto “Tesoro di Atreo” – che presentano la falsa volta o tholos, che tanta parte ebbe nell’architettura nuragica.
A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?
Luisanna Usai: È difficile capire come si sia arrivati in Sardegna ad un’utilizzazione così ampia e tecnicamente perfetta del sistema costruttivo della falsa volta. In età micenea, ciò in tempi più o meno coevi all’apice della civiltà nuragica, compare in Grecia la tholos, ma questa viene realizzata dopo che è stato scavato un pozzo o una fossa nel fianco di una collina; in questo spazio viene poi costruita la camera a tholos e le parti emergenti vengono ricoperte dalla terra (il tumulo). Ben diversa è la capacità che dimostrano i costruttori nuragici realizzando camere fuori terra di altezze notevoli (la camera del nuraghe Is Paras di Isili è alta ben 11 metri) e sovrapponendo spesso una o più camere al di sopra. La capacità costruttiva è accentuata dalla realizzazione della scala elicoidale che viene ricavata nella muratura e che è sempre presente per consentire di raggiungere le camere superiori, se esistono, o il terrazzo. La nascita di un’architettura così complessa, quale quella sarda, non si può quindi spiegare semplicemente con l’imitazione di modelli orientali. Dobbiamo piuttosto pensare a convergenze funzionali per quanto riguarda l’utilizzazione della tholos e rimarcare l’assoluta originalità dell’architettura nuragica alla cui nascita hanno certamente contribuito diversi fattori, non ultimo le precedenti esperienze dell’Età del Rame, come l’altare megalitico di Monte d’Accoddi e le muraglie di cultura Monte Claro, tipo Monte Baranta di Olmedo.
A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?
Luisanna Usai: Mi sembra molto verosimile la seconda ipotesi che è attualmente anche la più accreditata. In questo caso non mi risulta che ci sia niente di nuovo rispetto a quanto ci disse Giovanni Lilliu al secondo anno di Università. La denominazione è da ritenersi piuttosto antica, forse coeva agli stessi monumenti. È significativo che questa radice rimanga invariata in tutte le denominazioni locali di nuraghe (nuràke, nuràxi, nuràcci, nuràgi, etc.) e che si ritrovi in tutta una serie di vocaboli del sostrato protosardo, quale ad esempio Nurra, Nuraminis, Nurallao, etc.
A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?

Luisanna Usai: Penso di avere risposto in parte, con quanto detto rispetto ad una domanda precedente ma voglio aggiungere qualcosa. Fermo restando che ci sono ancora diversi punti interrogativi e che talvolta esistono opinioni leggermente divergenti tra gli studiosi rispetto ad alcuni aspetti della civiltà nuragica, ritengo, e non penso di poter essere smentita, che il quadro complessivo della civiltà nuragica sia fondamentalmente chiaro e ben delineato. Ho sempre ritenuto che non sia la quantità degli scavi (o almeno non solo) che fa progredire la conoscenza ma la qualità e, soprattutto, la diffusione dei dati. Diventa importantissimo quindi avvalersi in primo luogo dell’apporto di diversi specialisti perché lo studio dei resti umani, dei resti animali, della composizione delle ceramiche, del paleosuolo danno risposte che 100 semplici scavi non possono dare. A ciò si deve aggiungere la capacità e l’opportunità di pubblicare il più velocemente possibile i dati degli scavi per un indispensabile confronto con se stessi e con gli altri. Tra l’altro con il passare del tempo la documentazione di scavo si deteriora, quando non viene persa del tutto per i più svariati motivi. Da ex funzionaria della Soprintendenza so bene quanto è difficile inserire lo studio e le pubblicazioni tra i tanti impegni istituzionali ma ritengo anche che globalmente negli ultimi vent’anni si siano fatti notevoli progressi e moltissimi contributi su scavi di grande importanza siano stati editi in tempi brevi. Vorrei aggiungere che si parla tanto di tesori nascosti nei magazzini dei musei e delle soprintendenze. Questa è in parte una favola perché di solito i reperti più “belli” (tra molte virgolette) vengono pubblicati ed esposti subito; è anche vero, però, che si dovrebbe fare un grande progetto per restaurare, disegnare, schedare e pubblicare i materiali di scavi più o meno recenti conservati nei depositi. La mia esperienza decennale di lavoro nei depositi del museo di Cagliari e la più recente esperienza in occasione dell’allestimento della mostra “L’Isola delle Torri. Giovanni Lilliu e la civiltà nuragica” mi portano a dire che uno degli scavi più interessanti è quello nei magazzini. La mostra su citata è stata realizzata in buona parte con materiale inedito custodito nei depositi e se ci fosse stato più spazio espositivo tanti altri contesti avrebbero potuto trovare posto nell’allestimento.
A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?
Luisanna Usai: Questo non è un argomento che ha mai fatto parte dei miei studi ma certamente ad oggi è il ritrovamento più antico. Non mi pare che ci siano elementi sicuri per dire che i sardi nuragici identificavano la loro terra con questa denominazione.
A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?
Luisanna Usai: Non mi pare che ci sia da stupirsi visto che sono tante le popolazioni di ambito preistorico e protostorico che non sono mai arrivate a redigere documenti scritti. Fino a non molti anni fa nessuno si stupiva della mancanza di fonti scritte per la civiltà nuragica, mentre solo recentemente c’è questa ricerca spasmodica per costruire sulla base di qualche segno o simbolo astratto un alfabeto nuragico. A parte il fatto che se esistesse una scrittura nuragica, vista la grande quantità di materiale che proviene dagli scavi, noi dovremmo avere una documentazione su argilla o altri materiali non deperibili, come accade altrove. Ma è la struttura della società nuragica totalmente diversa da quella delle popolazioni antiche che conoscevano la scrittura ad essere l’elemento che maggiormente giustifica una mancanza di scrittura. Una cosa poi che mi stupisce sempre è l’accusa fatta agli archeologi di nascondere le prove che dimostrano l’esistenza di una scrittura nuragica. È successo anche a me ed al collega Franco Campus per un frammento di terracotta rinvenuto nel nuraghe Alvu di Pozzomaggiore. La scrittura, peraltro di difficile lettura, è stata subito spacciata per nuragica e anche in un recente incontro a Pozzomaggiore ce ne è stato chiesto conto. Le condizioni di ritrovamento e la presenza nello stesso contesto di diverse coppette di età punica con analoghe iscrizioni ci fa pensare ad una datazione simile per il frammento in discussione anche se attendiamo una interpretazione più precisa di uno specialista. Ma in tutti i casi le sembra che non sarebbe stato nostro interesse divulgare subito la scoperta sensazionale di un’iscrizione nuragica in un sito scavato scientificamente?
A.M.: Chi sono gli Shardana?
Luisanna Usai: Non sono i sardi nuragici o perlomeno non c’è nessuna prova evidente della corrispondenza tra nuragici e così detti Popoli del mare. Le prove finora messe in campo possono costituire solo un’ipotesi suggestiva e la base di indagini approfondite. Come è già stato detto le risposte ai tanti interrogativi che ancora permangono vanno cercate sul campo. È quanto va facendo l’egittologo Giacomo Cavillier con il progetto Shardana che coinvolge anche la Sardegna: una ricerca sul campo per individuare le tracce degli Shardana, la loro provenienza, le possibili rotte seguite negli spostamenti.
A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?

Luisanna Usai: Questa è per me la domanda più difficile perché, al contrario del mio amico Rubens D’Oriano che sta conducendo una vera e propria battaglia per combattere la “fantarcheologia”, io sono piuttosto pessimista e ritengo che sia molto difficile se non impossibile fermare questo fenomeno. È questo non solo perché non sempre gli archeologi sono capaci di fare divulgazione (cosa solo parzialmente vera) ma perché il mondo fantastico è in tutti i campi più affascinante di quello reale. Se si trova un focolare all’interno di un nuraghe si preferisce credere che vi si svolgessero riti sacri e non più semplicemente che si cucinasse quotidianamente come dimostrano i materiali trovati in associazione. Per non parlare dell’utilizzo del mito dei sardi nuragici ribelli e resistenti al dominio straniero utilizzato per rivendicazioni ideologiche e politiche; la ricerca archeologica dimostra sempre più l’apertura dei nuragici al mondo esterno e la lenta assimilazione di usi e costumi delle popolazioni che si sono succedute nell’isola a partire dai fenici; un lento venir meno della civiltà nuragica e delle sue potenzialità più per debolezze interne che per veri e propri attacchi esterni.
A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamati nuraghi?
Luisanna Usai: Sinceramente non lo so e soprattutto non capisco perché si deve pensare ad Atlantide per esaltare la Sardegna nuragica. Come ha sottolineato lei la Sardegna è l’unica terra che presenta un numero straordinario di costruzioni megalitiche realizzate nell’arco di cinque secoli. Non solo almeno 7000 nuraghi ma anche un migliaio di tombe di giganti e oltre un centinaio di edifici sacri (tempi a pozzo, fonti sacre, rotonde, templi a megaron). E tutto ciò a partire dal 1600 a.C. quando contemporaneamente in tutto il resto dell’Italia e dell’Europa la capacità di costruire in grande è estremamente ridotta e non raggiunge mai la complessità documentata in Sardegna. Mi chiedo anche quanti di quelli che hanno abbracciato con tanto entusiasmo la teoria di Sergio Frau hanno letto per intero il suo libro.
A.M.: Salutaci con una citazione…
Luisanna Usai: “Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie” ‒ Carl Sagan
A.M.: Luisanna ringrazio per la partecipazione alla rubrica Neon Ghènesis Sandàlion, penso che sarà motivo di riflessione per numerosi lettori. Ti saluto con Plotino: “L’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio; ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere“.
Written by Alessia Mocci
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