Le métier de la critique: Decadentismo, Crepuscolarismo e Futurismo, fra arte e letteratura

“Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso della scienza ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da vedere un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…”

Filippo Tommaso Marinetti

Movimento fra i più ricchi di dichiarazioni e di manifesti programmatici nella storia della cultura italiana, il futurismo celebra il suo esordio nel 1909, con un manifesto lanciato da Filippo Tommaso Marinetti dalle colonne de Le figaro.

A questa prima dichiarazione ne seguono altre: saranno circa una decina, distribuiti nel tempo, per favorire la diffusione delle idee del Marinetti, i manifesti che interessano vari settori artistici.

Il Futurismo non lo si può circoscrivere ad un solo ambito; in esso è, infatti, contemplato un programma di rinnovamento di tutte le arti, che propone nuovi modelli, suggerendo anche un diverso significato da dare all’esistenza.

La nascente corrente rappresenta il primo e più organico movimento d’avanguardia successivo al Crepuscolarismo ma, a differenza di questo, sostiene la necessità di una totale trasformazione.

Il movimento è da considerarsi, quindi, come il superamento dei modelli culturali proposti in precedenza. Ma, per dare la giusta connotazione al futurismo è utile rivisitare, seppur brevemente, i due momenti che l’hanno preceduto, Decadentismo e Crepuscolarismo.

Il Decadentismo è una corrente artistico-letteraria che nasce e si sviluppa a Parigi a partire dal 1880 e si diffonde nel resto d’Europa. Inizialmente il termine ha un significato spregiativo: solo più tardi assume un tratto distintivo più corretto.

Movimento complesso, il Decadentismo risponde a un’esigenza di crisi esistenziale, di inquietudine e di vuoto, determinato sia dall’insufficienza di riferimenti filosofici sia da una nuova concezione della realtà. Rimandi questi, prima di allora appannaggio del romanticismo.

Nonostante il successo della ricerca scientifica, la crisi del positivismo è forte e strettamente legata a quella del sistema liberale che, ai valori di libertà, uguaglianza e fraternità antepone quelli del superomismo e della superiorità razziale.

In Italia, al senso di disagio diffuso occorre aggiungere il fallimento dei moti risorgimentali, che avevano promesso grandezza e gloria nazionale, senza mantenervi fede.

Lo smarrimento fa leva sulle coscienze e apre, in molti artisti, interrogativi sul destino dell’uomo, interrogativi destinati però a rimanere senza risposta.

Fenomeno eterogeneo, il Decadentismo è ricco di esperienze e inclinazioni artistiche dai tratti comuni, che però si declinano nei vari autori in relazione alle loro differenti sensibilità. I più manifesti dei quali sono la predilezione per un esasperato ideale estetico e il disprezzo per le idee umanitarie e socialiste dell’epoca.

Le linee guida del Decadentismo sono soprattutto due: estetismo e simbolismo.

Nell’estetismo i valori estetici hanno la priorità sugli altri; ne consegue quindi, che se l’arte è l’unico ed autentico valore, la vita va intesa come un’opera d’arte, o meglio, come ricerca della pura bellezza aliena da ogni considerazione morale.

Gabriele D’Annunzio – Giovanni Pascoli

Altro aspetto caratterizzante del Decadentismo è il simbolismo, volto a cogliere rimandi evocativi nella realtà. Secondo questa concezione la parola non ha funzione di elemento logico, ma comunica tramite un potenziale allusivo, a sua volta in grado di suscitare emozioni di carattere intimista. Infatti, i decadentisti commisurano la parola a una musica capace di provocare moti d’animo indefinibili e difficilmente descrivibili che, declinati in un discorso poetico, hanno la funzione di elemento di rottura dalle forme espressive tradizionali.

In Italia, le figure di maggior rilievo del Decadentismo sono Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli.

Personalità diverse fra loro, ciascuna delle quali esprime lo stesso clima, seppur in modo autonomo l’una dall’altra.

Del Pascoli occorre sottolineare che la sua ispirazione poetica nasce dal suo universo personale, i cui temi gravitano intorno al ricordo dei familiari morti e alla concezione dell’intimità domestica. La casa è considerata un “nido caldo”, un luogo dove la famiglia assume le sembianze di un nucleo isolato, all’interno del quale trovano spazio solo i legami di sangue.

All’idea del rifugio domestico il Pascoli affianca il “mito dei morti”, dove i parenti scomparsi diventano una presenza quasi tormentosa, tale da condannare i vivi in un pianto perenne, anziché in un tenero ricordo.

Deputata a ricoprire il ruolo centrale della casa è la madre, simbolo di tutti i legami familiari; mentre il padre, figura alquanto mitizzata, è colui sempre proteso a proteggere i suoi pargoli.

Altri temi cari alla poetica pascoliana, strettamente connessi al simbolismo, sono le cose umili ed essenziali, quale un fiore o un profumo che, accostati al tema cosmico del cielo, sono da interpretarsi quale elemento analogico atto ad esprimere il senso dell’esistenza umana. Il poeta, infatti, è pronto a cogliere sgomento e angoscia proprio nella banalità dei gesti quotidiani.

Il simbolismo, peculiarità presente nella poetica del Pascoli, considera ogni cosa quale simbolo di una realtà che può essere rivelazione dell’ignoto. Ed ecco, da qui nascere il senso del mistero, altra fonte dell’ispirazione poetica pascoliana. Il mistero è una presenza inquietante che provoca nel poeta smarrimento, per confluire poi in un sentimento di dolcezza e in un desiderio di pacificazione.

A livello linguistico, nella lirica pascoliana, sono evidenti elementi di rottura con la tradizione classica: la costruzione sintattica è spesso spezzata in frasi solitarie, le quali danno la misura di quanto la poesia sia concepita come interpretazione di una voce rivelatrice interna.

Del D’Annunzio e della sua produzione letteraria molto ci sarebbe da dire.

Ma, anche in questo caso, sono alcuni aspetti del suo pensiero, più di altri, a meritare attenzione. Il focus del suo sviluppo poetico è l’estetismo: il poeta dà valore alle cose “inutili e belle” e tende a vivere la vita come un’opera d’arte, secondo il concetto che vita e arte sono un’unica cosa.

A livello stilistico, la ricerca del bello in ogni aspetto della vita si esprime come ricerca della bellezza formale, la quale si manifesta in un virtuosismo verbale, oltre che in una ricchezza lessicale che tende a divenire linguaggio musicale.

Le scelte stilistiche del D’Annunzio sono dettate dall’amore che nutre per le parole, in virtù del quale queste assumono quasi la connotazione di un trasporto sensuale. Anche la correlazione dei suoni, che attraverso un linguaggio evocativo e analogico converge in parole che producono singolari effetti sonori, ha la medesima funzione.

Altro tratto dominante della poetica del vate è il concetto del superomismo, ovvero l’esaltazione di personalità eccezionali, ideale questo di nietzschiana memoria.

La sua poetica si evolve poi in un differente indirizzo: quello della produzione “notturna”, in cui D’Annunzio manifesta il proprio mondo interiore con toni più umani, più intimi. Abbandonati i virtuosismi verbali, è uno stile più sobrio, scarno ed essenziale, a prendere il posto delle liriche precedenti.

Giuseppe Antonio Borgese

A questo punto, dopo aver rivolto uno sguardo al Decadentismo, che dire del Crepuscolarismo, movimento letterario immediatamente successivo?

È il 1910 quando Giuseppe Antonio Borgese fa uso della parola crepuscolare, cui dà la connotazione del tramonto della tradizione poetica ottocentesca.

Se il Decadentismo è dominato dall’idea, tutta dannunziana, di destini grandiosi che tendono a coniugarsi in una poetica dai toni aulici, il Crepuscolarismo è tutt’altro.  

Al punto da suscitare nei suoi sostenitori una reazione di insofferenza verso il Decadentismo.

La definizione di Crepuscolarismo coniata dal Borgese viene a disegnare il clima mesto e grigio della poetica crepuscolare e delle liriche dei suoi aderenti, che vivono un’epoca di crisi esistenziale tutta permeata di nostalgia verso gli ideali romantici.

I crepuscolari prediligono un discorso sommesso, intriso di tristezza, in cui si evince l’aspetto malinconico accentuato da toni struggenti, ma non alieni da elementi ironici. Il ripiegamento su se stessi delinea una penombra metaforica, in cui un lessico fatto di parole comuni e povere e dimesse degrada verso un verso sciolto il quale, a sua volta, s’intreccia in un contenuto che prende spunto dal vivere quotidiano, conquistando un ritmo molto prossimo alla prosa.

Per alcuni aspetti il Crepuscolarismo rappresenta una tradizione che volge al suo termine, ma è anche il primo sintomo di una nuova sensibilità, di una condizione psicologica che influenzerà tutto il ‘900.

I poeti crepuscolari non hanno mai creato un movimento, semmai il loro amalgama è dato semplicemente dalla collocazione postdannunziana.

Un crepuscolare, importante più di altri, è Guido GozzanoInizialmente, in lui si rintraccia un’influenza dannunziana, ma se ne allontana poi e abbandona l’apprezzamento che nutre per il vate.

Gozzano si contrappone a ogni forma di superomismo e al dinamismo, riconducibile in seguito al futurismo.

Difende la genuinità del grigiore quotidiano descrivendo cose umili, definite ‘povere, piccole cose’, ma emblematiche, perché hanno il compito di evocare a sé l’atmosfera di un’ordinaria vita borghese.

Gozzano usa un lessico familiare e quotidiano allo scopo di contrapporsi volutamente alla poesia celebrativa ottocentesca o a quella estetizzante dannunziana; tuttavia, il poeta inserisce abilmente alcune forme auliche e ricercate, al fine di creare un sottile contrasto nei confronti delle sue scelte stilistiche dimesse. Persino la sua malattia, che lo portò alla morte a soli trentatré anni, è trattata con un distacco ironico, tanto da farsi simbolo del malessere in cui versa la poesia del mondo borghese.

La sua poesia viene definita ‘dell’assenza’, intesa come il dissolversi dei miti romantici e decadenti, che si piega ad un lessico piuttosto approssimativo, in polemica con la raffinatezza delle liriche del suo tempo; anche se nelle sue rime non mancano spunti dal tono solenne.

Guido Gozzano

La sua partecipazione al crepuscolarismo non è un’adesione sentimentale, ma è un’affinità che si declina in una sorta di distacco, con cui elabora i suoi ‘ricami di sillabe e di rime’, pervasi sempre dall’ombra della malinconia e permeati dall’idea della morte.

“Poeti, pittori, scultori e musicisti futuristi d’Italia! Finché duri la guerra, lasciamo da parte i versi, i pennelli, gli scalpelli e le orchestre! Son cominciate le rosse vacanze del genio! Nulla possiamo ammirare, oggi, se non le folli sculture che la nostra ispirata artiglieria foggia nelle masse nemiche.”

Ma, per tornare al futurismo, argomento principe di questa argomentazione letteraria, occorre innanzitutto ricordare che è in antitesi ai precedenti.

Successivo al Crepuscolarismo, a differenza di questo, sostiene la necessità del rinnovamento di un’arte che sia capace di esprimere in forme nuove il dinamismo dei tempi moderni.

Corrente di pensiero che rappresenta il primo e più strutturato movimento d’avanguardia di inizio Novecento, il futurismo è modello che accende lo spirito nazionalista e imperialista, offrendo indicazioni rivolte più alle scelte di vita dell’individuo che non a quelle culturali.

Dal nuovo movimento si evince il rifiuto del presente e dei valori democratici-egualitari che agitano le menti degli intellettuali di quel periodo, periodo durante il quale prendono vita numerose riviste fiorentine atte a portare nuova linfa vitale alla stagione letteraria, oltre che a essere testimoni delle inquietudini del momento.

“Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento la lotta, la speranza.”

Il fiorire di riviste e cenacoli letterari dà il via a un modo nuovo di intendere la cultura, da contrapporsi a quello tradizionale.

Diversi fra loro, i frequentatori dei vari circoli letterari condividono l’ambizione di essere i protagonisti di una nuova società che, grazie a un rinnovamento culturale, trasformi la realtà politica italiana. Rinnovamento questo partecipato anche dai futuristi, come emerge dalla diffusione dei vari manifesti in cui vengono elencate le peculiarità di un’estetica fondata sul dinamismo, inteso come esaltazione dell’aggressività, della macchina, mito nascente di quegli anni, delle metropoli e dello sviluppo industriale. Caratteristiche che hanno lo scopo di dare uno scossone ai lenti, agli indecisi, accendendone la vitalità sopita, sono perciò motivo di annullamento di tutto ciò che è in odore di passato.

Il movimento futurista, inscindibile dal periodo storico della Rivoluzione industriale e dal progresso tecnologico, trova la sua essenza nei già citati elementi, e interviene a gran voce nel dibattito, tutto novecentesco, del rapporto uomo-tecnica.

L’ideologia futurista è caratterizzata da alcuni punti salienti, fra i quali un vitalismo irrazionalistico e un’esasperata mitizzazione della violenza. Oltre a un’esaltazione della macchina e della velocità, viene messa in rilievo l’apoteosi della guerra, intesa come ‘igiene del mondo’.

Che aggiungere, invece, del contributo poetico offerto dal futurismo?

Filippo Tommaso Marinetti – Guido Gozzano – Gabriele D’Annunzio

Il ‘paroliberismo’ è il principio su cui si fonda la speculazione letteraria del movimento. Ovvero le parole disposte in libertà, quasi un riverbero della frenesia dei tempi moderni.

Si dichiara la distruzione della sintassi, l’abolizione della punteggiatura, mentre l’immaginazione è guidata non da un filo conduttore sintattico, ma dalla capacità di accostare le immagini senza alcun legame logico.

Da un punto di vista culturale, il futurismo deve essere valutato per aver contribuito a costruire le premesse per un nuovo tipo di poetica, per surclassare le regole della poesia tradizionale, e quindi in totale opposizione all’arte del passato, considerata pregna di un sentimentalismo romantico, traducibile con una frase emblematica: “uccidete il chiaro di luna”.

Ma, tali atteggiamenti letterari hanno anche la funzione di copertura ideologica dell’emergente sviluppo industriale di matrice capitalistica. All’inizio, quando nelle fila e nei manifesti futuristi c’è spazio anche per posizioni anarchiche, il rapporto fra letteratura e sviluppo capitalistico è forse poco chiaro.

In seguito, la relazione fra questi due rimandi sarà maggiormente esplicita, specialmente quando il futurismo esalterà il nazionalismo e la guerra quale “sola igiene del mondo”.

“L’arte è per noi inseparabile dalla vita. Diventa arte-azione e come tale è sola capace di forza profetica e divinatrice.”

Il tema che domina l’elemento poetico del movimento è la bellezza, una bellezza coniugata alla velocità della macchina, intesa come proiezione di un ideale femminile che, pseudo-compagna di un uomo, acquisisce caratteristiche tecnologiche, facendosi quasi ‘religione della macchina’, e perciò aliena dall’uomo. Tuttavia, secondo una visione puramente letteraria, il futurismo non contribuisce a produrre opere importanti e durature.

Per ciò che riguarda l’arte, anche questo fondamento diventa motivo di mitizzazione dell’oggetto tecnologico. Anch’essa, infatti, si basa sull’esaltazione dei nuovi processi di produzione.

Il manifesto che, nello specifico, regola il mondo dell’arte, è sottoscritto da figure quali Carlo Carrà, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Luigi Russolo.

In tale dichiarazione gli artisti si configurano con un’aperta ribellione all’arte accademica e tradizionale.

I soggetti sviluppati nelle opere degli aderenti al manifesto futurista sono analoghi a quelli del cubismo, cui però viene rimproverato l’aspetto statico della composizione, a differenza dei futuristi che si propongono di inserire elementi dinamici nell’assemblaggio artistico.

La partecipazione al movimento, per molti dei suoi rappresentanti, costituisce una parentesi, un momento da cui allontanarsi per intraprendere esperienze individuali. Alcuni esponenti se ne distaccano in ragione del poema di Marinetti che esalta l’impresa libica, oltre che al suo essere interventista prima, in circostanza di guerra, e aderente al fascismo poi, con l’avvento della dittatura.

Marinetti, infatti, è personaggio ricordato non tanto per le sue doti letterarie, quanto per il rumore che provoca con i suoi manifesti.

“L’arte, questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si effonde… fuori dal corpo, nell’infinito dallo spazio e dal tempo.”

 

Written by Carolina Colombi

 

 

 

 

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