Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Paolo Gull
“L’accesso ai dati è sempre e comunque mediato, quindi la relazione tra noi e i fatti è strategica. Questa nozione è stata fatta propria da correnti dell’archeologia che, raccogliendo in modo talvolta estemporaneo gli stimoli delle controculture occidentali, hanno iniziato a dissodare un terreno estremamente incerto, un campo al di là dell’idea di “vero vs falso” molto difficile da gestire e su cui, in realtà, gli archeologi si muovono con grandissima difficoltà.” ‒ Paolo Gull

Quindicesima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion”, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.
Per chiudere l’anno ho voluto estendere il campo di ricerca agli archeologi italiani che si sono documentati sul disagio di informazione prodotto dalla fantarcheologia in Sardegna. Le domande, dunque, hanno subito una mutazione rispetto all’andamento consueto della rubrica così da aprire nuovi spunti di riflessione.
Sabato 9 dicembre abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologo Piero Bartoloni, ha preceduto l’archeologa Viviana Pinna, l’archeologo Giuseppe Maisola, l’archeologo Nicola Sanna, l’archeologo Matteo Tatti, l’archeologa Anna Depalmas, l’archeologo Mauro Perra, l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.
Paolo Gull è laureato in Lettere (Università “La Sapienza”, Roma) con tesi in Archeologia e topografia medievale, relatore Letizia Ermini Pani, discussa il 28 marzo 1992, con la votazione di 110/110 e lode. Titolo della tesi: Produzioni ceramiche nella Valle d’Aosta medievale dagli scavi delle terme romane di Aosta. Da gennaio 1993 a giugno 1994 vincitore di una borsa di studio di 18 mesi per il perfezionamento all’estero di laureati (Università di Pavia).
Dal 2005 è Ricercatore presso l’Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali, Via Dalmazio Birago, 64, 73100 Lecce Italy. Settore Scientifico Disciplinare L-ANT/10 (Metodologia della ricerca archeologica).
Dal 2016 è Professore Associato presso l’Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali, Via Dalmazio Birago, 64, 73100 Lecce Italy. Settore Scientifico Disciplinare L-ANT/10 (Metodologia della ricerca archeologica).
È autore di un discreto numero di pubblicazioni di tipo accademico.
A.M.: Ciao Paolo, oggi sei ospite di Neon Ghènesis Sandàlion perché anche tu come archeologo sei preoccupato per la fantarcheologia, che sta investendo non solo la Sardegna ma anche altre regioni di Italia, come espansione del complottismo esasperato da pochi ai danni di molti. Dunque partiamo subito parlando del territorio in cui vivi e di alcune bufale che girano sul web.
Paolo Gull: Fortunatamente devo dire che, nei confronti dell’archeologia, il Salento non conosce un fenomeno analogo a quello sardo. Un elemento caratteristico di questa regione, i menhir, è oggetto di qualche bislacca teoria archeoastronomica riproposta di tanto in tanto ma senza che questo abbia un reale impatto. Una identità salentina è stata già costruita in passato con operazioni tutto sommato incruente e le pulsioni identitarie viaggiano oggi su altri binari più espliciti come le rivalità territoriali con Bari che riguardano prevalentemente la distribuzione di risorse economiche. Niente cintura di Orione, insomma: almeno su questo non ci sono equivoci.
A.M.: “L’archeologia ha a che fare con la nostra relazione con ciò che rimane del passato”. Mi puoi raccontare la provenienza di questo attributo dell’archeologia?
Paolo Gull: Qui bisognerebbe fare un indigesto excursus metodologico che vi risparmio. Considerate solo che in storia, in archeologia e in tutte le scienze umane e naturali, il campo di indagine è sempre costituito da dati (i fatti in sé), ricerca di dati (il processo di conoscenza), affermazioni sui dati (la narrazione dei risultati della ricerca), tre aspetti in inscindibile relazione reciproca e che si alimentano a vicenda. L’accesso ai dati è sempre e comunque mediato, quindi la relazione tra noi e i fatti è strategica. Questa nozione è stata fatta propria da correnti dell’archeologia che, raccogliendo in modo talvolta estemporaneo gli stimoli delle controculture occidentali, hanno iniziato a dissodare un terreno estremamente incerto, un campo al di là dell’idea di “vero vs falso” molto difficile da gestire e su cui, in realtà, gli archeologi si muovono con grandissima difficoltà. Eppure questa è la sfida del futuro: incontrarsi tutti in questa diversa dimensione per riappropriarsi assieme dell’identità storica, pena la perdita dell’intera posta. La citazione che fai a mo’ di domanda è di Michael Shanks, uno dei più interessanti e bizzarri archeologi anglosassoni (visitate il suo sito per farvi un’idea). Certo Shanks sconta una specie di maledizione del Faraone, perché è omonimo di un popolare attore che, peraltro, interpreta proprio l’archeologo in una delle serie di Stargate, ma credo che la cosa lo faccia sorridere.
A.M.: Quanto l’astrazione, intesa come quel processo mentale che permette di isolare una cosa da altre per considerarla come unico oggetto di indagine, ha permesso agli esseri umani di scrivere la storia?

Paolo Gull: Non sono un filosofo né un epistemologo, ma penso che ragionare per concetti astratti sia alla base di qualunque forma di pensiero umano. Scienza e mito sono due modi diversi di vestire e organizzare le astrazioni, modi differenti di costruire l’ordine nel caos. Quindi, alla domanda “quanto il mito è alla base della storia”, la risposta è “moltissimo”. Poi per alcuni il ragionamento “scientifico” è superiore, più “moderno” per così dire. In realtà sono modi complementari di conoscenza e il vero rischio è un altro: che pescare nell’immaginario costruito attorno agli archetipi del mito sia un po’ fare come l’apprendista stregone e che mobiliti facilmente forze che diventano rapidamente ingestibili.
A.M.: Gli archeologi e studiosi contemporanei non sono contro le teorie alternative, perché come sappiamo più volte ci hanno potuto illuminare la strada. Ma, come fare a comprendere il limite che separa la teoria alternativa dalla sindrome del complotto?
Paolo Gull: La domanda appare semplice ma non lo è affatto, come la risposta non è scontata. Chiaramente la sindrome del complotto nasce se qualcuno accusa l’interlocutore di nascondere presunte verità e altre simili sciocchezze. Ma dietro c’è un problema più serio e suggerisco la lettura di Contro il metodo di Paul Feyerabend per capire meglio il rapporto fra “scienza ufficiale” e “teorie alternative”, tutto con robuste dosi di virgolette. In fondo è un discorso che si lega a quello del rapporto fra scienza e mito cui ho accennato sopra: per Feyerabend di frequente la scienza attinge consapevolmente o meno nei saperi prescientifici e questo è senz’altro vero, come è vero che la scienza non spiega tutto. Ma, aggiungo, se non si è in grado di gestire la complementarità fra saperi si finisce per fare un minestrone potenzialmente pericoloso. Anche perché il dibattito che in passato restava confinato in cerchie specifiche oggi deflagra sui social con conseguenze incontrollabili.
A.M.: C’è da dire che il fenomeno si è sviluppato soprattutto sui social network nei quali sono sempre più presenti i cosiddetti haters, cioè utenti/persone che con account fake sobillano le masse all’odio. Perché esiste questo fenomeno? Quali sono le cause sociali da cui deriva? Che ci sia troppo tempo libero causato da questa “crisi”, e con crisi intendo una totale mancanza di organizzazione da parte dello Stato per creare le condizioni di lavoro per i suoi cittadini, un dovere siglato dall’articolo 4 della Costituzione?
Paolo Gull: Appunto. Umberto Eco avrebbe scritto nei suoi anni più tardi che internet ha dato la parola a legioni di imbecilli. A parte il fatto che il semiologo non ha detto esattamente questo, se non in un passaggio arbitrariamente estrapolato dai media che ne hanno fatto un vero e proprio fake, a Eco si deve una teorizzazione molto precisa del concetto di “universo di discorso”, che è esattamente ciò che spiega questo fenomeno. Un universo di discorso è un ambito circoscritto in cui sono ritenuti veri determinati assunti, che tuttavia non sono accettati al di fuori di esso. È un po’ un’estensione del concetto di “incommensurabilità dei paradigmi”, per cui diversi orizzonti concettuali non comunicano tra loro. Facciamo un esempio: un gruppo di amici al bar sostiene insistentemente che gli slavi sono tutti ladri o che la chemioterapia è un complotto di Big Pharma. Dei sociologi in un seminario sulla delinquenza o degli oncologi ad un congresso sosterranno, invece, tesi esattamente opposte, ma nessuna delle parti sarà realmente in grado di convincere l’altra della bontà dei suoi argomenti. La cosa maggiormente sorprendente, peraltro, è che il paradigma degli “scienziati”, in questo caso dei medici o dei sociologi, non potrà in alcun modo prevalere su quello in apparenza più “rozzo”. Le motivazioni che lo sostengono infatti resistono a qualsiasi critica anche in modi che possono sembrare “irragionevoli”. Tuttavia, mentre in passato i due universi di discorso potevano non incontrarsi mai e, comunque, in una realtà fortemente gerarchizzata uno dei due prevaleva in maniera quasi scontata in forza della struttura stessa della società, oggi sono costantemente impegnati in un conflitto dagli esiti estremamente incerti. E questo ci disorienta anche perché si sottrae appunto alle categorie vero/falso, sebbene sia un fenomeno sempre esistito.
A.M.: Il 2 febbraio 2016 in una tua conferenza presso il Museo MUSA tratti dell’arresto di Sergio Abis, noto come l’Untore. Come mai ti sei interessato a questa storia e qual è la tua interpretazione sulla genesi del blog?

Paolo Gull: Ho trovato la vicenda davvero esemplare ed istruttiva, al di là dei risvolti penali rispetto ai quali preferisco astenermi da qualsiasi considerazione. Una cosa devo dire, però. Pur essendo io una persona priva di particolari tabù e pregiudizi, non ho mai gradito il linguaggio esageratamente scurrile di Untoreblog, sebbene spesso dicesse cose condivisibili. Sembrava cioè che solo esprimendosi sopra le righe si riuscisse a far sentire la propria voce: “non resta – insomma – che far torto o patirlo”. Il risultato è stato un gioco al massacro, ma del resto “reggere iniqui dolce non è”.
A.M.: Una domanda su Atlantide te la devo fare. Platone è stato un filosofo e qui ci siamo. La filosofia è un’attività che interpreta e cerca di definire i modi di pensare, del conoscere e dell’agire umano e qui ci siamo. Dunque, secondo te, perché si è arrivati ad identificare la Sardegna come Atlantide? Quanto è “assurdo” intendere le colonne d’Ercole ‒ che potremo considerare come i “limiti del pensiero” dati dalle istituzioni/organizzazioni sociali e non solo ‒ come “avvistamento” del mondo fisico? Oppure non è così assurdo perché c’è qualcuno che sta manovrando queste posizioni sconvenienti nei confronti della filosofia?
Paolo Gull: Qui mi do io dei limiti: è una questione in cui non so entrare. Ma sugli aspetti più “terra-terra” ho già sbirciato interessanti spunti nella domanda successiva!
A.M.: Nella questione sarda che idea ti sei fatto riguardo ai tuoi colleghi archeologi che hanno promosso o che non hanno preso posizione riguardo all’identificazione degli Shardana, uno dei popoli del mare riportato unicamente dagli antichi Egizi, come residenti della Sardegna o della già citata pubblicità di marketing di Atlantide?
Paolo Gull: Sinceramente: per epoche così antiche non ho nozioni sufficienti per una analisi “attiva” della questione. Tuttavia molte delle teorie che ho sentito, inclusa la possibile identificazione delle colonne d’Ercole con lo stretto di Messina e quindi della Sardegna come Atlantide, non mi sembrano irricevibili a priori sul piano del metodo. Ovviamente, alcuni dettagli folkloristici, come un’origine nuragica dei trulli, sono più che palesemente campati in aria, del tutto non necessari. E, si sa, entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem.
A.M.: Ora, dopo questa intervista che hai rilasciato, ti sentiresti al sicuro durante un tuo ipotetico viaggio in Sardegna?
Paolo Gull: In fondo sono un anarco-individualista, quindi con gli autonomisti mi trovo bene, tranne quando diventano nazionalisti. Ma riconosco l’odore.
A.M.: Salutaci con una citazione…
Paolo Gull: “La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek” ‒ Fabrizio De André
A.M.: Paolo ti ringrazio per il tuo intervento ed invito i lettori a visionare la conferenza del 2 febbraio 2016 nella quale tratti le tematiche velocemente esposte in questa intervista. Ti saluto anche io con De André: “[…] E Andrea l’ha perso/ ha perso l’amore la perla più rara/ E Andrea ha in bocca un dolore/ la perla più scura.// Andrea raccoglieva violette ai bordi del pozzo/ Andrea gettava Riccioli neri nel cerchio del pozzo/ Il secchio gli disse – Signore il pozzo è profondo/ più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto.// Lui disse – Mi basta mi basta che sia più profondo di me.”
Written by Alessia Mocci
Info
Rubrica Neon Ghènesis Sandàlion
Buonasera.
Mi manifesto per porre una domanda ad Alessia Mocci, l’intervistatrice: puoi spiegare perché, dopo aver creato una sorta di ‘format’ costituito da domande ‘fisse’, hai deciso – in ’occasione di questa intervista – di cambiare schema? E perché non si è optato prima per una variabilità delle domande?
Io mi son dato delle risposte.
Ma ti sarei grato, Alessia, se volessi offrirci le tue.
Intanto, grazie a te e a Paolo Gull per questa bella intervista.
Buon Anno.