“Del Tamburo e di altri vizi”: in uscita il nuovo libro di Fernando Mirra per Bastogi Libri
“Molte persone non danno un nome ai loro problemi, alle loro paure, ai loro fantasmi. Ma hanno una soluzione a portata di mano che è il cibo. Non più nutrizione, non più vita, ma ricerca di soddisfazione.”
In uscita nelle librerie fisiche ed online il nuovo libro di Fernando Mirra: “Del Tamburo e di altri vizi” edito dalla casa editrice Bastogi Libri.
Di seguito vi lasciamo in anteprima la prefazione del viaggio emozionale di Fernando tra passioni e disagi, tamburi e sigarette ormai spente, depressione e disturbo compulsivo alimentare per colmare un vuoto a cui spesso non si dà il nome.
“E ti prendo tra le gambe e ti stringo. Accarezzo la tua pelle, prima di iniziare. Ascolto il suono del silenzio che dura un colpo di tamburo dato a vuoto e poi inizio a percuoterti. Allora il tamburo che sto suonando mi risponde di vibrazioni e lo sento, mentre alterno la bacchetta destra e la sinistra e non finisce più, fino a che tengo gli occhi chiusi, fino a che ti ho con me fino a dimenticare come mi chiamo.”
L’Amore, la via verso la quale ognuno di noi può tendere in connubio al libero arbitrio che ci è stato conferito. L’Amore che, se autentico ed intenso, può far scordare il nome, il passato, il ricordo dei dolori, le aspettative verso il futuro. Fernando Mirra manifesta l’Amore con le vibrazioni delle sue bacchette, ritmando un infinito richiamo a se stesso, nella casa della sua anima.
Ed è un manifestarsi continuo, uno svelare nel senso di togliere dal velo ‒ e, dunque, di vedere oltre la confusa patina del mondo odierno ‒ ciò che è verità e gioia: il colpo ritmato del tamburo, il corpo sicuro nella stretta dello strumento, il passo scandito ed in geometria con i compagni durante le esibizioni pubbliche.
“Del Tamburo e di altri vizi” arriva dopo anni di silenzio da parte dell’autore, un silenzio che si è sviluppato nella stesura di pagine che guardano con una sincerità ammirevole la vita percorsa. Il 2012 è stato segnato dalla pubblicazione di “Mielinconie”, versi intrisi di miele e malinconia con il chiaro accostamento della dolcezza allo stato dell’anima, il sapore della poesia che incontra un giardino nel quale vagabondare stupendosi del mutamento. E la preveggenza della lirica “Un unico sole” nella quale si descrivono “Ore segrete, invidiabili minuti/ passi segnati dal tuo colore/ mischiato al sapore delle tue parole./ Ho concluso quegli anni/ torbidi e insignificanti,/ […]”.
Un musico che appartiene ad un gruppo, un musico che indossa dei colori, un musico che prova l’ebbrezza di ogni esibizione come se fosse la prima. Un uomo che riesce a godere del momento vissuto ma non frena il desìo di ricerca, quell’impulso al filosofeggiare sul perché del mistero della vita che ci attanaglia sin dalla notte dei tempi.
Fondamentalmente è questo che mi ha colpito di Fernando: il suo riconoscersi uomo ed il suo travagliato percorso verso l’agognata umanità. “Del Tamburo e di altri vizi” è l’indagine fattasi parola con la rara onestà della sofferenza e del riconoscere i propri peccati, l’individuazione dei momenti in cui si è caduti in disperazione e non si è combattuto ma piuttosto ci si è lasciati vincere da essa, la tentazione di risalita, il provare e riprovare verso una via conosciuta ma che tante volte è complessa.
Perché se fosse facile intraprendere la via della felicità e della soddisfazione personale non sarebbe cosa assai rara. Nei vari vizi presentati, Fernando si interroga su questa “liberazione dalle tentazioni”, sente la pressione del giudizio esterno, lo ammette, ma oggi non è più la paura che domina la sua mente: “Ormai sono quasi quattro anni che ho smesso di fumare. Ricordo perfino il giorno e l’ora in cui, spinto da una irrefrenabile voglia, mi accesi la prima sigaretta. Era il sei settembre del 1990. […] Un’esperienza come un’altra. L’esperienza è diventata poi un vizio che mi sono portato dietro per 22 anni, un mese e 13 giorni. Il 19 ottobre del 2012 decisi di smettere.”
E dopo qualche pagina troviamo: “Se hai paura, cammini con le paure, se non hai paura, ti svegli e ti rendi conto che quello di cui hai bisogno è lì. E io non ho paura di aver bisogno di Dio.” Perché oggi, nella sterile società neoliberista che, ogni giorno avvalliamo con il nostro menefreghismo, si ha paura di dialogare con Dio, si è scordata la parola di Dio, e badate bene non mi riferisco al timore verso un Dio che potrebbe punirci ma all’assoluto oblio dell’Amore in Dio.
Fernando in questi fogli ci presenta la sua nudità di uomo, ci rivela le sue tre D con un’ironia encomiabile: “Io ho sempre avuto tre piccole D che mi hanno fatto dannare e che tentano tuttora di stuzzicarmi e di prendermi in giro. Distonia. Disturbo compulsivo alimentare. Depressione.”
Le sviscera, le attraversa, le rinnega e ci convive. Tutto avviene all’unisono, giornate in cui il suo pensiero è saldo nel distacco dal vizio, giornate in cui la depressione s’impossessa di lui ed accentua il disturbo compulsivo alimentare.
È la domanda che fa spazio ad altre domande, sono le risposte che portano altre domande, quel dubbio delle persone che hanno esercitato la mente al pensiero ‒ atteggiamento non comune tra gli uomini ‒ quel dubbio che sussurra: e se non fosse così? E se la sentenza che ho proclamato è solo un atteggiamento paranoide? Quando, dunque, avrà fine questo viaggio nell’indagine all’interno del sé? Con la morte fisica, azzarderei.
Fernando lo sa, lo sa bene. L’ha intravisto nei geni dell’arte, della filosofia, della mistica ed ha capito che questa vita è una prova, come se avessimo iniziato dopo uno sparo ‒ il parto ‒ il movimento in una corsia della quale non si vede la fine, ma ogni balzo ne rivela una piccola visuale di spazio, e poi ancora ed ancora verso la meta ‒ la morte fisica ‒. Tante le corsie affianco a noi, alcune si intrecciano per diversi metri ‒ mesi, anni ‒ altre sono fuggevoli come uno sguardo reciproco dal finestrino di un tram.
“In alto le braccia quando si suona, usa i polsi e non le mani, non le braccia che altrimenti ti stanchi solo e poi giù a colpire la pelle e a farla vibrare.”
Written by Alessia Mocci
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