Selfie & Told: il cantautore Ellis Cloud racconta il disco “Born in The 20’s”

Leftover of dreams, we’re made of it” – “Moody Movie

 

Ellis Cloud

Ciao Oubliette, mi chiamo Ellis Cloud e sono l’ennesimo cantautore under 30 (ancora per poco) che ha dilapidato le sue esigue fortune per incidere un disco travagliatissimo e che per poco non usciva post-mortem.

Se non altro adesso la mia famiglia sarebbe già ricca. Il fatto è che questo disco è uscito il 17 Ottobre.

Si intitola “Born in The 20’s”, è nato mentre vivevo a New York ed è la raccolta di mini storie più impersonale e personale a cui io abbia mai dato vita da quando ho imbracciato uno strumento.

Sono storie ambientate nel 2040 e vissute da ventenni dell’epoca, con i loro momenti bizzarri ed a noi adesso incomprensibili.

Ho sempre preso molto seriamente la musica ma proprio adesso in cui la serietà dovrebbe essere al massimo, la mia voglia di de-costruire tutto e buttarla a caciara è forte come non lo è mai stata. Mi avete proposto di parlare con me stesso ed eccomi… in questa Selfie & Told.

 

E.C.: Com’è nato questo disco? No dico, davvero com’è nato?

Ellis Cloud: Mentre vivevo a New York avevo già le canzoni, ma non avevo uno spazio dove inciderle. Rompevo i coglioni a gente random ovunque fiutassi music business e produttori, ma evidentemente gesticolavo troppo terrorizzandoli, e non sono mai riuscito a farmi mio uno di questi qui, o quando ci sono riuscito mi hanno chiesto così tanti soldi che forse mio figlio avrebbe finito di pagarlo, il disco. Poi di ritorno in patria ho incontrato Roberto Terranova con il quale ho prodotto il primo singolo, ed è stato lì che ho scoperto il mio amore totale per la dimensione studio e la direzione in cui doveva andare il disco. Dopo l’avventura con lui stavo per andare a Berlino ad incidere il resto, mentre poi mi venne presentato Gabriele Plescia, il produttore dell’intero disco, e nonostante il divario di età (lui aveva 21 anni) e le perplessità relative ad esso, si è rivelato un genio con più esperienza e visione di chi è nell’industria da trent’anni. Ci siamo presi tanto tempo perché lui è un perfezionista ossessivo ed io sono un rompiballe molto lunatico, e dopo tanti musicisti, tante sessioni e tanta post, ce l’abbiamo fatta.

 

E.C.: Quali sono i prerequisiti indispensabili per il successo di un artista pop oggi?

Born in the 20’s

Ellis Cloud: Fare credere al tuo pubblico che tu abbia già una carriera avviatissima anche se sei nato stamattina, che sei amico di tutti gli altri musicisti e che quella volta in cui hai vinto quel contest di provincia sfidando in finale la coverband paesana dei Dream Theater eravate alla Wembley Arena e che quel premio era in oro. Il tuo Instagram deve avere la stessa verve di quello di Katy Perry, devi utilizzare più hashtag di quanti peli hai nel culo e perfezionare l’arte dell’inganno fotografico. Se poi sei molto ambizioso spendi 200 euro su siti come Promolta e ti compri 10000 views al tuo video per cominciare, tanto la maggior parte del pubblico non sa distinguere le views dei bot da quelle organiche e quindi la teoria de ‘il ristorante è pieno, entriamoci, si mangerà sicuramente bene’ avrà sempre la meglio. Millanta ogni traguardo raggiunto. Pubblica foto della riunione di condominio e raccontaci che è il meeting mensile del tuo fanclub. Fatti prestare soldi dagli strozzini, affitta l’arena di Verona, regala migliaia di crediti ed ingressi omaggio per la stampa/blogger/influencer e fai scrivere al tuo ufficio stampa che hai fatto sold out dopo avere coperto con dei pannelli neri il 60% dello spazio reale della location, tanto in foto non si capirà. Diventerai Gigante in tre mesi!



E.C.: Perché non fai niente di tutto questo?

Ellis Cloud: Ti direi che è perché ho un’etica di fondo, ma è semplicemente perché sono un cretino pigro e mi interessa di più suonare che spendere tutto il mio tempo su Instagram. Ma c’è ancora tempo per unirmi al dark side.

 

E.C.: Come sei finito da questa parte della musica?

Ellis Cloud: Come cantautore mi sono fatto ‘le orecchie’ nelle fogne dell’universo indie, quando ancora quella parola aveva un senso. Passavo le giornate su Soulseek, su blog di gente che aveva cento follower ma erano reali e davvero appassionati e fedeli a chi scriveva. Ero su Last Fm dal day 1 ed era una gara a chi faceva scrobbling delle cose più sconosciute. Conoscevo a memoria le pietre miliari di Ondarock quando erano meno di 70, leggevo ancora tanto cartaceo come Rolling Stones prima che il pattern diventasse ‘5 pagine di pubblicità, 1 articolo’, ho speso anni in apnea dentro tutta la new wave ed i suoi derivati fino allo Shoegaze e la dark wave più psichedelica. Ho pianto quando ho ascoltato per la prima volta ‘Funeral’ degli Arcade Fire e quando nel 2007 ascoltai l’esordio della ancora sconosciuta St. Vincent dissi a me stesso “Forse posso farlo anche io senza dover imparare la supermegavelocità alla chitarra tipo Van Halen”.
Ed ho cominciato ad avere la Gear Acquisition Syndrome per colpa di Jonny Greenwood, una cosa bruttissima.

 

E.C.: Poi cos’è successo?

Ellis Cloud

Ellis Cloud: Succede che si cresce, ti accorgi che quelli indie lì erano quasi tutti fenomeni vanesi e legati alla spensieratezza e l’irriverenza dei vent’anni, ma ti accorgi anche che le migliori cose si fanno e si assorbono proprio a vent’anni, almeno artisticamente parlando. Mi sento quasi vecchio a pensare che ho assistito ed assorbito come una spugna il crescere di fenomeni dai Grizzly Bear ad Amy Winehouse, e guardo il panorama attuale, senza trovare dei fuochi vivi e nuovi come quelli. Guardo i teenager sul bus che ascoltano la trap dagli speaker del cellulare e la mia prima reazione è cercare una farmacia e prendermi 5 gocce di Xanax. Mi sconcerta pensare che nel 2003 questa cosa succedesse con fenomeni come 50 Cent, e che comunque il prodotto avesse più senso nella sua totalità.
Appartengo ancora a quella categoria di dinosauri che vedono realizzato il proprio lavoro quando hanno un pubblico reale davanti, piuttosto che followers e gente che clicca pigramente mi piace mentre sta facendo altre dieci cose.



E.C.: Perché dovremmo ascoltare il tuo disco e perché dovremmo venire a sentirti live?

Ellis Cloud: Non dovreste su nessuna forzatura ascoltare il mio disco in realtà. Mi piace pensare che se avete condiviso anche solo la metà dei miei stessi amori musicali, potreste trovare sollievo e distrazione nelle mie canzoni. Durano anche poco, ho cercato di farle durare quasi tutte meno di tre minuti, perché oggi l’attenzione è merce rara. Se siete arrivati a leggere fino a qui è già un traguardo, lo giuro! C’è tantissimo sul disco, ogni brano ha un beat deciso, non ci sono mai momenti di down, ed è un disco fatto per accompagnare ogni attività, dal traffico al cucinare, all’ubriacarsi da soli in un pub o in compagnia. Vorreste venire a sentirmi live perché ripropongo i brani in chiave diversa e molto più organica. Perché in genere dico cose imbarazzanti sul palco per farvi stare ulteriormente meglio, e perché sono circondato da tre musicisti così giganti che fanno sentire me a disagio! Sono Dario, Federico e Ruggero, vengono tutti dal jazz e sanno modellarsi come pongo facendoti sognare quando li lasci liberi di fare. Mi trovate su Facebook come… incredibile, ma come Ellis Cloud. Ed il mio sito internet è Elliscloudmusic.com perché il sito Elliscloud.com è stato comprato da un 65enne repubblicano guerrafondaio texano che gestisce un ranch di cavalli in mezzo al nulla e che non ha voluto vendermi il dominio (inutilizzato da tre anni) nemmeno sotto tortura. Vi sembrerà una storia inventata, ma vi giuro che non lo è.

 

Is this hip hop? Alternative? Electro-glamour-punk?: Can I say just pop?”  ‘Leave me Alone

 

Written by Ellis Cloud

 

 

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