Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologa Anna Depalmas
“Gli Shardana non sono giocattoli di gomma che possono essere allungati o compressi per soddisfare insana attrazione di chi si avvicina alla storia e all’archeologia con curiosità non equilibrate, né per scrivere articoli o libri che indubbiamente possono anche avere un successo di vendita ma alimentano queste curiosità episodiche e a volte nazionaliste che non giovano al progresso delle conoscenze storiche.” – Anna Depalmas
Nona intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion”, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.
La nota “fantarcheologia” (“fantamania” od “archeomania”) ha prodotto il disagio di intralciare la divulgazione archeologica “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo, veri e propri libri di fantasia senza alcun riscontro con le fonti, con la realtà e con l’investigazione della metodologia scientifica. E se è pur vero che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future, in questo caso ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà; tali e quali a quell’Icaro che, con ali di cera, tentò di avvicinarsi al Sole ed in un primo momento sentì la gloria della sua impresa.
“Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.
Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”
Lo scorso sabato abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologo Mauro Perra, ha preceduto l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.
Ognuno di loro si è espresso mostrando il proprio pensiero, ed ognuno di noi lettori potrà considerare la posizione che essi hanno preso nei confronti delle tematiche esposte perché sono distinte e mostrano lo spirito con cui ci si approccia all’archeologia.
Anna Depalmas è professore associato di Preistoria e Protostoria presso l’Università di Sassari dove impartisce, tra gli altri, i corsi di Protostoria della Sardegna ossia di Archeologia nuragica. È specializzata in archeologia e dottore di ricerca in archeologia preistorica. Le sue ricerche sono da tempo incentrate principalmente sul periodo nuragico, sull’assetto territoriale, gli sviluppi insediativi e l’organizzazione sociale delle comunità protostoriche, sulla navigazione e i traffici transmarini nel Mediterraneo nel corso dell’età del bronzo, sulle produzioni e sulle tecnologie metallurgiche protostoriche.
Si è occupata nel dettaglio di ricerche territoriali e di studi sulle dinamiche di popolamento e di ricostruzione degli aspetti paleo-economici di vari ambiti geografici della Sardegna centrale.
Ha diretto diverse campagne di ricerche e scavi archeologici in Italia e all’estero. In Sardegna a Sedilo (ipogei di Ispiluncas, tombe di Iloi, capanne di Iloi e Su Surpiaghe), ad Aidomaggiore (tomba di giganti di Iscrallotze), a Paulilatino (nuraghe Lugherras), a Cabras (insediamento di Sa Osa) e a Teti, dove indaga sul complesso cultuale di Abini.
All’estero, oltre ad aver partecipato alle ricerche pluriennali nel sud della Corsica ha diretto per molti anni le ricerche nel sito fortificato di Cap de Forma (Maó, Minorca) mentre in Tunisia, oltre ad avere lavorato al progetto sui megaliti dell’Alto Tell, ha svolto ricerche etno-archeologiche mirate allo studio delle preparazioni alimentari e della produzione vascolare. Ha partecipato alla progettazione e allestimento del Museo del territorio di Sedilo e dirige il laboratorio archeologico del Museo di Paulilatino, di cui cura l’allestimento dedicato al culto dell’acqua.
Nell’ambito delle ricerche archeometallurgiche sui sistemi di produzione dei manufatti come pugnali, spade, navicelle, bronzi figurati ed elementi vascolari, condotte attraverso analisi strumentali, diagnostiche e ricostruzioni sperimentali, ha fondato il Laboratorio RIPAM (Ricerche Integrate di Protostoria e Archeometallurgia Mediterranea) che opera nell’Ateneo di Sassari e al cui interno operano giovani archeologi e studenti di Protostoria.
Tra i numerosi articoli scientifici e i lavori monografici si ricorda il corpus delle navicelle nuragiche edito nel 2005.
A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?
Anna Depalmas: La storia si fa sui dati di fatto e, tra questi, sono molto importanti le fonti letterarie ma per noi archeologi lo sono molto di più le fonti dirette ovvero i dati archeologici. Le leggende solo raramente e tramite un’esegesi specialistica possono tramandare dei fatti della storia antica; generalmente riflettono un passato più recente, ma hanno importanza perché forniscono informazioni su tendenze e pulsioni dell’animo umano e dell’esistenza che operano in modo praticamente immutato dalla più remota antichità. Per quello che riguarda gli archeologi, l’astrazione corrisponde all’immaginazione, cosa ben diversa dalla fantasia, mediante la quale si ipotizzano, si confrontano e si valutano le ricostruzioni possibili sulla base dei dati archeologici.
A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?
Anna Depalmas: Non condivido pienamente l’uso dell’aggettivo sconosciuto riferito al nuraghe della Sardegna, dato che le ricerche archeologiche degli ultimi decenni hanno consentito di comprendere molti aspetti relativi alla cronologia, alla funzione primaria e ai riusi operati nel corso dei secoli. Non necessariamente le civiltà concepiscono le stesse soluzioni architettoniche in regioni diverse. Per questo le torre o turri della Corsica o i talayot delle isole Baleari, pur se richiamano i nuraghi, se ne differenziano sostanzialmente, specie dal punto di vista tecnico-costruttivo. D’altra parte è evidente che un legame concettuale e non filogenetico consente di collegare i nuraghi alle fortezze, ai castelli e alle torri diffuse in ogni parte del mondo. I rapporti diretti tra aree geografiche distanti tra loro, quando esistenti, sono in genere sostanziate anche dalla presenza di materiali di scambio provenienti dalle rispettive regioni di provenienza e se consideriamo, ad esempio, le regioni sopracitate questi non sono stati ritrovati o comunque non sono riconducibili ai tempi di costruzione degli edifici a torre.
A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?
Anna Depalmas: La domanda potrebbe ingenerare confusione e, poiché il senso è abbastanza chiaro, andrebbe semplificata. La questione dell’alternativa tra radici comuni e convergenza culturale si pone per alcune manifestazioni materiali per le quali sembra davvero difficile dover escludere contatti oppure per regimi di esistenza molto simili anche a distanze oceaniche (es. pastoralismo). Invece, nel caso citato delle architetture nuragiche non esistono altrove paralleli tali da porre la questione se si esclude una probabile iniziale inclusione dell’area sud della Corsica in una sfera culturale nuragica, vista la vicinanza geografica, non però sostanziata da una produzione di identici elementi di cultura materiale (vasi, oggetti di metallo, etc..).
A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?
Anna Depalmas: Non sono una linguista. Tuttavia penso che allo stato attuale delle conoscenze inseguire i percorsi dell’etimologia di un singolo termine come “nuraghe” non abbia nessuna importanza. Anzi potrebbe farci capire quali sono le rischiose vie d’entrata che conducono alla fantasia e alla fantarcheologia.
A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?
Anna Depalmas: I finanziamenti sono certamente la linfa della ricerca ma, come noto, allo stesso modo dell’archeologia, sono in cerca di finanziamenti le economie precarie, le opere pubbliche, la sanità, etc… Quindi, sarebbe opportuno organizzare il turismo e i beni culturali, ma anche quella parte della cittadinanza che li considera importanti, in direzione di attività di finanziamento che non attendano di “ricevere risorse” ma che le sappiano produrre in un ciclo continuo virtuoso. Questo non contraddice però l’esigenza di avere flussi costanti e garantiti di risorse per condurre la ricerca di base che è quella che ci consente di indagare e tentare di risolvere i molti interrogativi ancora aperti sulle fasi più antiche della nostra storia.
A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?
Anna Depalmas: La stele di Nora è il più antico documento, risalente al IX- VIII sec. a.C., in cui compare il toponimo ShRDN che è agevolmente riconducibile a quello identificabile con la denominazione storica della Sardegna. Concentrandoci all’età del bronzo, in cui il carattere materiale e certamente socioeconomico della Sardegna è ben definito, si tratterebbe di comprendere (e come vedremo oltre non possiamo attenderci un testo scritto) se per i componenti e i leader dell’isola fosse prevalente un concetto complessivo di Sardegna oppure quello delle aree certamente differenziate che la componevano. È però certo che un nome identificativo della grande isola dovesse esistere, se non altro nel linguaggio dei navigatori mediterranei che ne facevano una delle loro tappe (es. Cipro).
A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?
Anna Depalmas: Il mondo nuragico non rappresenta l’unico caso di civiltà che non ha lasciato una letteratura né epigrafi. Certo la storia dell’archeologia ci impone di non escludere nessuna futura rivoluzionaria scoperta. Ma ciò che bisogna indicare con fermezza è la debolezza delle ipotesi di considerare scrittura qualunque segno grafico anche decorativo, e con caratteri sempre diversi, presente su reperti archeologici sardi; ne deriverebbe la paradossale identità di un popolo che non scriveva per farsi capire ma per far capire il meno possibile: infatti, come è logico, le prime iscrizioni delle lingue antiche sono semplici e ripetitive ossia costituite da forme onomastiche, firme, dediche, epitaffi.
A.M.: Chi sono gli Shardana?
Anna Depalmas: Gli Shardana corrispondono ad un nome attestato da antiche fonti documentarie del Vicino Oriente e dell’Egitto. Sicuramente la presenza di gruppi denominati in questo modo ha interessato diverse regioni della parte orientale del Mediterraneo ma non possiamo affermare che sia esaustivamente definito il quadro delle conoscenze sulla loro cronologia, identità e patrimonio culturale. Molte ricerche archeologiche sono in corso nei luoghi in cui ci si aspetta di trovare testimonianze dirette della loro presenza e quindi auspicabilmente il quadro delle conoscenze è destinato ad arricchirsi. È noto comunque che l’identificazione degli ShRDN con gli antichi abitanti della Sardegna è tutt’altro che assodato proprio perché non sono stati individuati documenti archeologici che consentano di dimostrarlo. Sicuramente gli Shardana non sono giocattoli di gomma che possono essere allungati o compressi per soddisfare insana attrazione di chi si avvicina alla storia e all’archeologia con curiosità non equilibrate, né per scrivere articoli o libri che indubbiamente possono anche avere un successo di vendita ma alimentano queste curiosità episodiche e a volte nazionaliste che non giovano al progresso delle conoscenze storiche.
A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?
Anna Depalmas: Anzitutto potenziando la ricerca archeologica seria, le Università e le Soprintendenze. In secondo luogo sarebbe necessario conseguire un risultato ben più difficile che è quello molto discusso della qualità della classe politica; non dovrebbe infatti succedere che la politica finanzi e dia risalto a ipotesi strampalate portate avanti con il facile supporto di un attacco pseudodemocratico della scienza ufficiale. Altrimenti si rischia di confondere uno stagno con un oceano in ebollizione.
A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamate nuraghi?
Anna Depalmas: Le logiche di mercato sono banalmente le solite: conseguimento di benefici economici e di notorietà, che a sua volta può portare ulteriori guadagni e imperituro lustro personale. Bisogna rassegnarsi al noto fenomeno delle ondate di scoop che per un certo periodo obliterano i faticosi risultati della ricerca scientifica che è molto più complessa da seguire e da capire e non dà mai risultati semplici, riassumibili in una parola o in uno slogan. Però bisogna avere fiducia nel fatto che alla lunga l’argilla dei piedi di questi giganti rivelerà la sua debolezza.
A.M.: Salutaci con una citazione… (indicare nome e cognome dell’autore citato)
Anna Depalmas: “La classificazione dei materiali archeologici è il punto di partenza indispensabile per elaborare seriazioni cronologiche e definire aspetti culturali locali.” – Renato Peroni – archeologo
Ossia non possiamo ipotizzare sviluppi e processi del passato senza passare attraverso le maglie strette dello studio classificatorio che se da un lato costituisce un lavoro scientifico lungo, faticoso e, per certi versi, monotono dall’altro rappresenta sempre uno strumento potente di comprensione dei fenomeni archeologici e della ricostruzione storica che ne consegue.
A.M.: Anna ti ringrazio per la disponibilità e per l’accuratezza delle tue risposte in merito alle domande di questa rubrica archeologica. Ti saluto con le parole del filosofo francese Michel Foucault: “Come archeologo del pensiero umano sostengo che è facilmente dimostrabile che l’uomo è un’invenzione di data recente.”
Written by Alessia Mocci
Info
Rubrica Neon Ghènesis Sandàlion
In altre sue recenti pubblicazioni scientifiche la Prof.ssa De Palmas afferma a chiare lettere che l’ubicazione dei nuraghe non corrisponderebbe a criteri strategico – militari. In questa intervista sembra tornata sui suoi passi. Sarebbe interessante sapere quali evidenze scientifiche l’abbiano portata a riconsiderare precedenti conclusioni sulla funzione dei nuraghe