Donne contro il Femminicidio #30: le parole che cambiano il mondo con Daniela Alibrandi
Le parole cambiano il mondo. Attraversano spazio e tempo, sedimentandosi e divenendo cemento sterile o campo arato e fertile.
Per dare loro il massimo della potenza espressiva e comunicativa, ho scelto di contattare, per una serie di interviste, varie Donne che si sono distinte nella lotta contro la discriminazione e la violenza di genere e nella promozione della parità fra i sessi.
Ho chiesto loro, semplicemente, di commentare poche parole, che qui seguono, nel modo in cui, liberamente, ritenevano opportuno farlo. Non sono intervenuta chiedendo ulteriori specificazioni né offrendo un canovaccio. Alcune hanno scritto molto, raccontando e raccontandosi; altre sono state sintetiche e precise; altre hanno cavalcato la pagina con piglio narrativo, creando un discorso senza soluzione di continuità.
Non tutte hanno espresso opinioni univoche, contribuendo, così, in modo personale alla “ricerca sul campo”, ma tutti si sono dimostrati concordi nell’esigenza di un’educazione sentimentale e di una presa di coscienza in merito a un fenomeno orribile contro le donne, che necessita di un impegno collettivo.
Oggi è il turno, per “Donne contro il Femminicidio” di Daniela Alibrandi, nata a Roma e cresciuta tra l’Italia e gli Stati Uniti. Nel contesto professionale si è occupata, tra l’altro, di scambi culturali con l’Estero nell’ambito del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea. Ha scritto e pubblicato sei libri e un’antologia di racconti. Alcune delle sue opere sono state tradotte nelle edizioni inglesi e diffuse all’Estero. Le sue opere esprimono particolare attenzione verso l’universo femminile e le problematiche connesse con la negazione dei diritti delle donne.
Femmina
È un termine che può essere utilizzato in molti modi. Una semplice definizione biologica, individuo portatore di gameti femminili, in senso dispregiativo, con riferimento ai ritmi ormonali che ne determinano l’umore e all’uso che può essere fatto del suo corpo, o laudativo, colei che seduce, intuisce, riesce a custodire il segreto del venire al mondo.
Per me il termine Femmina racchiude un universo complesso, morbido, luminoso, contrastante, passionale, profondo, divertente e soprattutto incompreso, forse proprio per l’imponderabile versatilità che contraddistingue la natura femminile in contrasto con la prevedibile natura maschile. Eppure, non so perché, mi viene in mente l’espressione felicemente infastidita di alcuni padri quando si sentono comunicare “È una bella femminuccia!” Il mito del figlio maschio non ha ancora abbandonato la nostra cultura, come se avere una figlia significasse di per sé essere vittime di una grana. Per fortuna è sempre più circoscritto questo fenomeno, almeno da noi, mentre in altre società si tende a bruciare o seppellire vive le neonate, come in India, oppure a selezionare le nascite dei maschi, se il governo permette la nascita di un solo figlio a famiglia, come in Cina.
Femminismo
È un movimento del quale ho condiviso le ragioni ma non la violenza verbale o fisica, pur riconoscendone il pregio di aver fatto vacillare per sempre il maschilismo, grazie al coraggio e alla risoluzione che ha dimostrato. Negli anni ’70, che hanno visto la nascita della seconda ondata del femminismo (la prima si era affacciata addirittura nel periodo rinascimentale ma venne nel tempo oscurata), si veniva da un medioevo legislativo nel quale, ad esempio, il reato di adulterio si attribuiva solo al tradimento della moglie e si puniva con un anno di reclusione. Vigeva inoltre il divieto assoluto di gestire il proprio corpo anche in riferimento al desiderio di portare avanti o meno una gravidanza, e uno dei tanti obblighi della moglie era quello di seguire il marito dovunque lui eleggesse la dimora, pena la perdita dei figli. Purtroppo però, secondo me, nel cercare di affermare alcuni sacrosanti diritti, si è oltrepassato il limite, rinnegando paradossalmente quei valori che fanno di una femmina una donna. Il gesto di sollevare le dita a triangolo sopra la testa, un simbolo sessuale esplicito mostrato nelle manifestazioni, gli slogan indirizzati a impressionare, a voler impaurire il maschio hanno rappresentato un eccesso e sono stati causa di ulteriori squilibri tra i due sessi. E adesso mi fanno sorridere le quote rosa, grazie alle quali riconoscere il valore e il contributo delle donne sembra dipendere solo dal numero di sedie occupate e non dal merito che si può riconoscere loro. Il voler essere chiamata Ministra, Sindaca o Direttora sembra addirittura puerile. E la ricerca ossessiva della parità tra i sessi fa perdere di vista la magnifica realtà che, per certi versi, essere alla pari dei maschi per una femmina può essere addirittura riduttivo.
Omicidio di una donna, una femmina. Fa impressione l’idea che un essere tanto complesso e determinante, come è la donna in molte culture presenti e passate, sia stato schiacciato, ucciso, eliminato come fosse un insetto che ha dato fastidio. E non ha importanza se è stata capace di ospitare e custodire la vita nel suo corpo, se ha amato e protetto il proprio ambiente con le sue intuizioni e con il suo infaticabile lavoro. Alla fine ha dato fastidio ed è per questo che è stata uccisa. Forse aveva smesso di amare, illudendosi di essere una persona libera, o più semplicemente era cresciuta e non si vedeva più in sintonia con tutto ciò che la circondava. La sua determinazione è stata interpretata come un insulto, la sua voglia di emancipazione e la ricerca di libertà sono state un’offesa punibile sì, ma solo con la morte. Per fortuna gli uomini non sono tutti uguali e non è giusto generalizzare, ma quelli che arrivano a tanto non si pentono. Anche se chiusi in gabbia il loro pensiero vola solo a quell’ultimo istante nel quale, con il loro drammatico gesto finale, hanno dimostrato qual’era la vera essenza del loro amore, quel malsano senso di possesso, la naturale inclinazione alla prevaricazione. Sentimenti che non si placano, neanche se sono chiusi in una cella. Mi sembra di vederlo quel guizzo soddisfatto, un sorriso mal celato mentre guardano il mondo attraverso le sbarre e, nella loro mente, scorrono con intimo compiacimento le immagini di quegli occhi sbarrati che chiedono pietà, di quella femmina che nell’ultimo alito di vita ha ascoltato solo il sibilo delle loro parole: “Tu sei mia e non te ne vai!”
Educazione Sentimentale
Anche se sono cresciuta in un’epoca colma di passioni per certi versi “disperate”, sia personali che politiche, con la convinzione quindi che i sentimenti non dovessero essere insegnati, mi convinco sempre di più che l’educazione al “sentire” debba essere indirizzata sin dalla prima infanzia. Il primo insegnamento è quello che parte dalla sfera familiare, dove le figure accudenti hanno la responsabilità di avviare il piccolo all’empatia, cioè al saper cogliere il sentimento altrui. Poi la scuola deve completare il compito. Solo così si può sperare di appianare quelle frange di crudeltà che esistono nelle differenze di genere, nei fenomeni di bullismo o addirittura di cyber bullismo, a causa dei quali un numero sorprendente di adolescenti trova, se non l’istigazione al suicidio, almeno la sensazione di emarginazione che probabilmente li accompagnerà per tutta la vita, scatenando conseguenti disagi. Insomma, non basta provare i sentimenti, è necessario cercare di infondere la capacità di sapersi immedesimare nell’altro, di saper gestire sin dai primi anni di vita sentimenti negativi, come la rabbia e la vendetta. Chissà che non si riesca a ottenere una società diversa, lontana dalle brutture a cui ormai, ahimè, siamo quasi abituati.
Written by Emma Fenu
Info
Sito italiano Daniela Alibrandi
Sito inglese Daniela Alibranti
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