Ischia Summer School of Humanities: l’intervista all’astrofisico Giovanni Covone, dialogo tra filosofia e fisica
“Se il nostro stesso pianeta Terra si configura come esempio tipico di una società intelligente e tecnologicamente avanzata, dobbiamo dubitare delle capacità delle specie intelligenti di superare questi momenti di crisi. Il nichilismo nella scienza cede il passo ad un monito per il futuro.” – Giovanni Covone
All’interno del percorso dell’Ischia Summer School of Humanities a condurci alla scoperta della dimensione interstellare è stato Giovanni Covone, astrofisico e ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dell’Università “Federico II” di Napoli.
Docente di Storia dell’Astronomia, Fisica delle Galassie e Cosmologia osservativa. I suoi interessi scientifici riguardano lo studio della natura della materia oscura, l’evoluzione delle strutture cosmiche e lo sviluppo del pensiero scientifico.
In questa breve quanto densa intervista, il professor Covone ci spiega perché ha deciso di avventurarsi in un ambito che i più considerano così lontano dalla fisica: quello della filosofia.
Incredibilmente i due campi disciplinari si mescolano nelle sue parole; rivelano una consonanza di fondo, un intreccio spesso celato. E così si scopre la possibilità, la concretezza di un dialogo tra filosofia e fisica che ha molto da dirci, più di quanto potremmo immaginare.
M.C.M.: Può essere possibile il dialogo tra filosofia e fisica, in particolare per quanto riguarda la cosmologia, e in che modo possono secondo te collaborare entrambe alla conoscenza?
Giovanni Covone: Quando sono stato invitato a partecipare alla Summer School ho accettato subito con entusiasmo perché era un tipo di confronto con il mondo umanistico – filosofico che cercavo da tempo in qualità di fisico, anche se sul tema del Nichilismo era difficile anche per me prevedere inizialmente un punto di contatto. Per dirlo in modo diretto, infatti, per sua stessa natura il fisico, lo scienziato sperimentale non è e non può essere nichilista. C’è un aspetto del nichilismo, emerso maggiormente nel confronto col prof. Tarca, che è quello del nichilismo epistemologico che nega la possibilità alla specie umana di conoscere, di indagare il mondo esterno, se non addirittura negare la realtà esterna in qualche modo; oppure, altrimenti, nega la fiducia nella possibilità che il mondo esterno sia razionale, che sia un cosmo. Queste sono forme di nichilismo che non appartengono allo scienziato; tuttavia, c’è un nichilismo che può essere inteso come metodo, metodo del dubbio, che è parte integrante dell’indagine scientifica. Se ad esempio pensiamo a Nietzsche, massimo esponente del nichilismo attivo nel ‘900 europeo, egli conferisce alle scienze naturali una funzione nichilistica importante, perché distruggono e decostruiscono l’impianto razionale che presenta l’uomo al centro. La rivoluzione copernicana, la rivoluzione di Darwin hanno parimenti questo compito e perseguono una decostruzione nichilistica, condivisa anche da molteplici tesi filosofiche.
M.C.M.: Abbiamo parlato di nichilismo in filosofia. Come definiresti il Nichilismo in fisica?
Giovanni Covone: La mia stessa perplessità di trovare del nichilismo in fisica è un fattore che mi accomuna ai miei colleghi fisici; ma probabilmente l’aspetto nichilistico delle scienze sosta proprio nel metodo, il mettere in dubbio le verità già dette, il continuo esperimento di teorie già formulate. Un astrofisico osservativo come me o un fisico sperimentale, hanno come massima aspirazione quella di fare un’osservazione, un esperimento che falsifichi la teoria, la neghi. In questo senso lo scienziato presenta un atteggiamento nichilistico nella metodologia, pur mantenendo un atteggiamento positivo nei confronti della realtà e di fiducia incondizionata nella razionalità del mondo e della possibilità di comprenderlo.
M.C.M.: A proposito del confronto con Tarca è emerso il tema della Bellezza: una bellezza che va tirata fuori dalle fessure della realtà e di cui si può godere. In questo modo preserviamo quell’atteggiamento di meraviglia da cui, come già ci ha insegnato Aristotele, si dipana la speculazione filosofica. Secondo te anche in fisica la matrice, lo stimolo originario dello studio è la meraviglia, oppure occorre porre basi diverse per le indagini scientifiche?
Giovanni Covone: Indubbiamente si desidera diventare scienziati proprio perché si parte da un atteggiamento di amore per la conoscenza e di meraviglia verso il mondo esterno. Lo scienziato parte dalla consapevolezza di quanto l’universo, il mondo, la natura siano tanto affascinanti quanto misteriosi per poi lasciare posto alla volontà e alla curiosità di scoprire le loro funzionalità interne, le leggi matematiche intrinseche che governino i fenomeni. La meraviglia è una costante nell’indagine scientifica: è la sorpresa per la “funzionalità degli elementi naturali” e per la scoperta di teorie che sembrano spiegare il mondo esterno. La meraviglia quindi si rivolge anche al metodo. È grazie alla meraviglia che lo scienziato conserva sempre l’interesse per la scoperta, la curiosità per una ricerca inesauribile.
M.C.M.: In uno dei tuoi lucidi fornivi come incipit di discussione la solitudine cosmica: secondo te oggi la scienza può nutrire la speranza nel non essere nichilisticamente soli nell’Universo?
Giovanni Covone: Questo sì, è sicuramente un altro aspetto del nichilismo. Attivamente noi ascoltiamo sempre l’Universo nella speranza di ricevere un segno, un messaggio, consapevole e non, dell’esistenza di specie intelligenti come noi. La speranza da un lato viene nutrita con l’osservazione di pianeti della galassia per molti versi simili al nostro, nelle medesime condizioni ambientali; d’altro lato intorno a noi c’è il nulla, nessuno ci ha visitato, mettendo da parte rapimenti e incontri alieni del terzo tipo (sorride). Possediamo programmi con i quali ascoltare il cosmo, ad esempio il SETI (Search for Extra – Terrestrial Intelligence), che però non ci hanno fornito alcun risultato, ci hanno restituito e continuano a restituirci il silenzio. Dunque, esiste un paradosso: perché un ambiente così pieno e foriero di vita è così vuoto? Allora, il nichilismo non sta tanto nell’assenza di speranza, ma in quella possibile, catastrofica risposta che la scienza ci può dare: una società aliena che potrebbe esistere ma che si trova sempre in crisi ed è incapace di superarla, come la crisi che viviamo in questo momento per la gestione sostenibile del nostro pianeta. Se il nostro stesso pianeta Terra si configura come esempio tipico di una società intelligente e tecnologicamente avanzata, dobbiamo dubitare delle capacità delle specie intelligenti di superare questi momenti di crisi. Il nichilismo nella scienza cede il passo ad un monito per il futuro.
M.C.M.: Dunque, sembra che dal tuo discorso emerga una nota positiva circa questa Summer School. Cosa ti ha lasciato questa esperienza, la ripeteresti?
Giovanni Covone: Non c’è dubbio, la rifarei! È stato un modo inedito per conoscere un mondo a cui non mi ero mai approcciato direttamente. Il contesto della Summer School è stato sicuramente fertile per confronti con colleghi appartenenti ad ambiti disciplinari diversi, ma anche per rapportarmi con gli studenti e costruire diversi livelli di discorso. Inoltre, è stato stimolante fare la conoscenza di diverse generazioni di filosofi, per le quali ho registrato un interesse crescente per il dialogo interdisciplinare. È emersa una concreta possibilità e disponibilità a superare le distanze, soprattutto fra i più giovani. Ed anzi, proprio le domande che mi sono state rivolte da questi ultimi e che mi hanno maggiormente messo in difficoltà, mi hanno fatto capire l’esigenza di una maggiore chiarezza in termini e concetti. Ho toccato con mano la possibilità del futuro di superare questo divario tra filosofia e scienza, che nasce innanzitutto dalla mancanza di insegnamenti incrociati tra queste discipline in ambito accademico.
M.C.M.: Infine, concludo con una domanda un po’ provocatoria: chi preferisci tra Aristotele ed Hawking?
Giovanni Covone: (ride) Sono innanzitutto distanti 2500 anni e avevano interessi per problemi differenti. Aristotele ha avuto la fortuna di vivere in un momento storico in cui si poteva fare filosofia e fisica contemporaneamente; uno scienziato come Hawking può sforzarsi di interessarsi alla filosofia, ma non può praticarla nel senso più professionale del termine. Se vogliamo Aristotele, così come Leonardo, appartenevano ad un’epoca d’oro in cui ci si poteva interessare di più ambiti del sapere e dare un contributo concreto a ciascuno di essi. Oggi il rischio è la settorializzazione ed Hawking è un risultato di quello. Quando il fisico inglese, secondo me, prende delle cantonate negando qualsiasi importanza alla filosofia, non tiene conto di quello che è oggi la filosofia: non è più la filosofia aristotelica che vuole competere con la fisica. Tuttavia, lo stesso Hawking è vittima di quel sapere settorializzato per cui si diventa massimi esperti di un particolare ambito della conoscenza, precludendosi il dialogo con altre branche del sapere. Pertanto, quando poi ci si avventura fuori dal proprio giardino, si rischia di camminare male. La sfida che ho raccolto e attuato in questa Summer School è stata proprio quella di “nuotare fuori dal mio acquario”; un’esperienza di dialogo con la cultura in senso lato sconsigliata nel mondo accademico, se non addirittura ostacolata, ma che ineludibilmente procura piacere ed è utile a capire il senso di quelle che sono le nostre attività quotidiane.
Queste le parole con cui il professor Covone conclude questa piacevole chiacchierata. Non resta che accogliere i molteplici input di riflessione che possiamo cogliervi e farci continuamente animare dalla meraviglia filosofica e dall’interesse scientifico.
E se Hawking ci dice che “La filosofia è morta!” non possiamo proprio credergli!
Written by Maria Cristina Mennuti
Photo by Maria Cristina Mennuti
Info
Intervista a Raffaello Palumbo Mosca
Reportage Ischia Summer School of Humanities
Sito Summer School of Humanities
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