Donne contro il Femminicidio #28: le parole che cambiano il mondo con Federica Flocco

Le parole cambiano il mondo. Attraversano spazio e tempo, sedimentandosi e divenendo cemento sterile o campo arato e fertile.

 

Femminicidio

Per dare loro il massimo della potenza espressiva e comunicativa, ho scelto di contattare, per una serie di interviste, varie Donne che si sono distinte nella lotta contro la discriminazione e la violenza di genere e nella promozione della parità fra i sessi.

Ho chiesto loro, semplicemente, di commentare poche parole, che qui seguono, nel modo in cui, liberamente, ritenevano opportuno farlo. Non sono intervenuta chiedendo ulteriori specificazioni né offrendo un canovaccio. Alcune hanno scritto molto, raccontando e raccontandosi; altre sono state sintetiche e precise; altre hanno cavalcato la pagina con piglio narrativo, creando un discorso senza soluzione di continuità.

Non tutte hanno espresso opinioni univoche, contribuendo, così, in modo personale alla “ricerca sul campo”, ma tutti si sono dimostrati concordi nell’esigenza di un’educazione sentimentale e di una presa di coscienza in merito a un fenomeno orribile contro le donne, che necessita di un impegno collettivo.

Oggi è il turno, per “Donne contro il femminicidio” di Federica Flocco, napoletana, giornalista pubblicista, scrittrice per passione, ballerina per amore: si è diplomata in tecnica jazz, insegnandola per anni, prima di diventare madre di quattro figli. Ha iniziato a lavorare con i libri nel 1998 scrivendo recensioni per un quotidiano partenopeo, acquisendo così, una conoscenza profonda dell’editoria campana. Dal 2008 collabora con Canale 21, una emittente televisiva regionale, per la quale cura la rubrica “Il libro della settimana”. Lettrice competente e appassionata, saltuariamente ancora scrive su riviste di settore. Partecipa attivamente alla vita culturale della sua città, è vicepresidente e membro del consiglio direttivo di Iocisto, la prima libreria ad azionariato popolare. MIA, che tratta il femminicidio, è il suo esordio letterario.

 

Femmina

Adoro tutto ciò che è contenuto nel termine Femmina. Amo quel che rappresenta nella sua accezione positiva, la terminologia applicata a un sentire, a un vedere, a un modo di vestire, a quello di camminare, di muoversi, di ballare, persino di odorare. Legata alla dolcezza, alla forza, alla possibilità e anche alla necessità di essere multitasking, al sentire materno, inteso come accudimento del prossimo, teso a prendersene cura. Le Femmine, quelle vere, lo sono nell’animo, e non ce ne sono più tante. In questa continua corsa all’apparire, a fare, ad agire per piacere agli altri, si è persa un po’ la voglia di essere se stesse, così come dovrebbe venirci naturale, e tutto passa attraverso il filtro del come dovrebbe, lasciando una patina di falso che non mi piace. Come una forzatura, poi, la necessità di rimarcare una uguaglianza con il maschio, che uguale non è, ha prodotto ibridi che non sanno a quale genere appartenere. La femmina vera, invece è un tutto che non trova scissioni nel suo essere tale, né le cerca, semplicemente perché è. Per questo amo tanto essere femmina e amo le femmine, quelle vere, quelle magari nate con il pene, ma che dentro lo sono quanto e più di me e lo dimostrano al mondo con il loro agire con l’anima, l’anima delle femmine.

Femminismo

Federica Flocco

Sarà per questo e per tanto altro ancora, che, tutto sommato, non vado molto d’accordo con il termine femminismo. Come fosse la negazione, ossia l’accezione negativa del femminile, il femminismo mi dà noia. Non c’è bisogno di continuare, ancora oggi, a farci scudo con un movimento, né con una parola che garantisca, nella nostra diversità dal genere maschile, i nostri diritti. Le mie lotte, quelle di genere, la mia uguaglianza sociale e materiale, la mia consapevolezza di esistere, non ha necessità né pregio nell’essere imbavagliata in un termine. È stato necessario per un lasso di tempo perché il mondo capisse determinate cose, ma adesso, ora che ci siamo ritrovate e che addirittura si lotta perché un terzo genere venga riconosciuto nei suoi diritti, proprio ora, mi sembra una forzatura che non ha più ragione di esistere se non in sede parlamentare quando, a ragion veduta, si riesce a dare alla donna la stessa opportunità degli uomini, (ché, pare, ancora ci sia da combattere, per rimarcare questa uguaglianza in ambito lavorativo più che familiare).

Femminicidio

Chiedere ad una donna che si è occupata per anni di femminicidio e che poi è arrivata a scrivere un romanzo in cui ha tentato di declinarlo in tutte le sue accezioni, è come chiedere ad un barista di fare un caffè. Prego, accomodatevi, cosa volete che vi racconti? Quanto tempo abbiamo per dire che la violenza di genere esisterà finché esisterà il mondo, l’ignoranza, la paura, la gelosia, il sentimento negativo, la cattiva educazione, le famiglie malate, la paura di rivolgersi a chi realmente può aiutarci, la politica sbagliata, la famiglia sbagliata, il modo di amare sbagliato, il senso di possesso, la mancanza di comprensione. Continuo? Perché ce ne sarebbe da dire, se già dall’infanzia le favole che raccontiamo ai nostri figli sono tutte con il principe azzurro che salva la principessa dal drago cattivo e le poche eroine che fanno da sole sembrano maschi sbagliati. Qui però, devo ammetterlo, sconfiniamo un po’ nell’educazione sentimentale che è, poi, anche ciò che mostriamo ai nostri figli, ragazzi, alunni.

Educazione sentimentale

Ciò che insegniamo ai nostri figli loro diventeranno. Non è difficile da capire. Servirebbe, quindi, una decerebrazione e un innesto successivo, perché alcune dinamiche alchemiche muoiano definitivamente. Perché prendersi cura non significa servire e amare non significa perdersi. L’annullamento, (e questo dovremmo insegnarlo alle donne come agli uomini,) non deve esistere, mai. E a tal proposito mi piace citare una poesia di Erri de Luca, mio conterraneo: “Quando saremo due saremo veglia e sonno/ affonderemo nella stessa polpa/ come il dente di latte e il suo secondo,/ saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,/ come i cieli, del giorno e della notte,/ due come sono i piedi, gli occhi, i reni,/ come i tempi del battito/ i colpi del respiro./ Quando saremo due non avremo metà/ saremo un due che non si può dividere con niente./ Quando saremo due, nessuno sarà uno,/uno sarà l’uguale di nessuno/ e l’unità consisterà nel due./ Quando saremo due/ cambierà nome pure l’universo/ diventerà diverso.” Ecco, ciò che per me significa essere due e uno insieme, nel pieno rispetto delle identità di ognuno, ma perché ciò si avveri bisogna partire dalla base, dall’esempio in casa e dall’educazione a scuola, da uno stato che sia garante e da una società che sia presente, vicini di casa come parlamentari lontani, che non usino la violenza, mai, in nessuna delle sue forme. Solo così, forse, potremo avere un numero inferiore di vittime di femminicidio, donne morte fuori, ridotte in cenere, oppure morte dentro, perché annullate psicologicamente, donne vive, ma uccise nella loro identità perché sfregiate, bruciate oppure ustionate con l’acido. Dunque, e lo rimarco, per me femminicidio e cura dei sentimenti, più che educazione sentimentale, vanno di pari passo. Quando il genere umano avrà capito che si è diversi nell’uguaglianza, quando avremo insegnato ai nostri figli a vivere d’amore, quando chi ci ascolterà saprà riconoscerci come un uno, con i suoi sentimenti, proprio allora, forse, il mondo comincerà a svoltare. Una visione utopica, forse, ma è la goccia a fare il mare ed io non mi stancherò mai di parlarne.

 

Written by Emma Fenu

 

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