Ischia International Festival of Philosophy and Summer School of Humanities 2017: il castello e la torre
“Sii pensante, non pesante!”
L’associazione culturale InSophia in collaborazione con il Comune d’Ischia, il CRF – Centro Internazionale per la Ricerca Filosofica, l’Università di Toronto Mississauga (dipartimento di Visual Studies), l’associazione culturale Napoli Filosofica, con il patrocinio del Circolo G. Sadoul, dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo hanno presentato la III^ edizione del festival internazionale di filosofia “La Filosofia il Castello e la Torre – Ischia International Festival of Philosophy and Summer School of Humanities 2017”, tenutosi a Ischia dal 23 settembre al 1 ottobre 2017.
Ad arricchire l’offerta del festival e ponendosi in perfetta sinergia con esso, si è tenuta la Summer School of Humanities alla sua II edizione. Quattro giorni di formazione e condivisione, arricchimento professionale e umano non solo per studenti, ma anche per professori e appassionati della materia.
Nelle sessioni mattutine e pomeridiane esperti di diversi settori disciplinari hanno tenuto lezioni per i soli iscritti relative al tema ‘Figure del nichilismo’, ma pur sempre gravitanti attorno a quello più ampio del festival: ’Valori, Continuità e Cambiamento’.
“L’idea è quella di una filosofia che non si perda in una sua autocelebrazione, chiusa nelle mura accademiche in cui il sapere è spesso viziato da rapporti di potere”, – dichiara Raffaele Mirelli, direttore scientifico e ideatore del festival- “ma sia recuperata come spazio di riflessione, creazione e interazione”.
L’obiettivo è portare la filosofia dove non c’è, recuperare l’idea di una disciplina che sia sostrato di tutte le altre e che con esse possa costantemente collaborare. Nell’ambito del festival il marchio Eticit(t)à porta avanti una campagna di sensibilizzazione al bello e alla sua cura, rivolta ai cittadini e in particolare ai più giovani, con progetti che coinvolgono direttamente le scuole.
“I ragazzi sono sempre pronti a chiedersi il perché delle cose”- afferma il dott. Mirelli – “e per questo la filosofia può essere uno strumento che fornisca requisiti per la riflessione”.
La stessa Summer School si configura come un luogo e un’occasione di scambio critico e di formazione, aperta a giovani studenti, professori e appassionati. L’evento, organizzato dall’associazione NapoliFilosofica con il patrocinio dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del circolo Georges Sadoul di Ischia e del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università “Federico II” di Napoli, ha visto la partecipazione di un discreto numero di studenti e la presenza di professori di alto spessore intellettuale. Gli incontri seminariali si sono tenuti nella Torre di Guevara, uno dei luoghi più suggestivi dell’isola d’Ischia, da cui si gode di una prospiciente veduta sul mare e sul Castello Aragonese, con accesso diretto allo storico borgo medievale di Ischia Ponte. Ingredienti questi che hanno prodotto una viva atmosfera di confronto critico e interdisciplinare, di divulgazione filosofica ma anche scientifica e di convivialità e condivisione, creando legami umani all’interno dei quali può davvero sedimentarsi il sapere e l’amore per esso.
“(…) In quali condizioni l’uomo è andato inventando quei giudizi di valore: buono e cattivo? E quale valore hanno in se stessi? Fino a oggi hanno essi intralciato o promosso il felice sviluppo umano? Sono un segno di angustia estrema, d’impoverimento, di degenerazione vitale? Oppure, viceversa, si rivela in essi la pienezza, la forza, la volontà della vita, il suo coraggio, la sua sicurezza, il suo avvenire?”. – Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale
“È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?” – F. M. Dostoevskij, L’idiota
Gli aforismi sopra riportati potrebbero rappresentare la sintesi dell’iter concettuale del festival e quindi anche della Summer School, nella quale il percorso tra i valori e la bellezza si snoda attorno alle Figure del Nichilismo. È sulle strade parallele della Continuità e del Cambiamento che si muovono i Valori, sui quali è posto il riflettore del festival. Giustizia, Bellezza, Bontà e via dicendo costituiscono quelle verità valoriali assiomatiche che riteniamo essere imperiture nel tempo; degli universali cui ci sembra di poterci sempre rivolgere, indipendentemente dalle condizioni storiche, perché immutabili e immutati. Tuttavia, gli ospiti del festival accolgono e inverano l’invito nietzschiano a interrogarsi su questi valori universali. L’emergere di nuove dinamiche sociali, il diffondersi d’inedite pratiche di vita, alla luce di mutamenti storici ben visibili, richiedono con urgenza la messa in atto di un’indagine filosofica che recuperi la discussione sui Valori.
In questa precisa parentesi storica i valori sembrano confluire nell’annullamento, nella negazione di tutti i valori, proprio a partire da quella καταστροφή (catastrofè) cui Nietzsche ci invita. Ma allora dove ci porta la scala valoriale cui siamo intimamente legati? Continua a essere necessaria e immutabile nella modernità in cui viviamo oppure occorre ricostruirla? Infine, ci basterà indagare e valutare questi valori oppure ci dovremo spingere fino a una loro transvalutazione? La stessa filosofia allora ci aiuterà a porre meglio le domande, piuttosto che a trovarne le risposte.
L’atteggiamento nichilistico con cui lo stesso Nietzsche riformula tali questioni, ancora oggi può dirci qualcosa. A presentare il potenziale attuale del suo discorso è in primis il prof. Luigi Vero Tarca, professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia e direttore del Centro Studi sui Diritti Umani. Da questo primo e introduttivo intervento sulla sua filosofia positiva, si dipana poi il percorso seminariale che ha visto protagonisti altri tre illustri docenti. Nicola Russo, professore associato di Filosofia teoretica presso l’Università “Federico II” di Napoli ed esperto del pensiero di Nietzsche e Platone; Giovanni Covone, astrofisico e ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dell’Università “Federico II” di Napoli; Raffaello Palumbo Mosca, critico letterario e saggista.
Le lezioni dei primi giorni, tenute dal prof. Tarca ci introducono nel vivo del panorama nichilista, nel quale tutto può essere messo in discussione, senza la presunzione della verità: è l’atteggiamento antidogmatico della nostra epoca. Tuttavia, nella sua tesi, l’unico elemento che può essere presupposto come valido è la negazione che è innegabile. Lo stesso negativo, nel momento in cui è negato, si riafferma. Nel momento in cui ogni valore è costantemente esposto alla catastrofè, anche il positivo, pensato come non-negativo, è negativo. Riecheggiano qui le parole di Leopardi, Zibaldone: “Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male”.
La deriva estrema del nichilismo sembra risiedere, per Tarca, proprio in questa costante negazione, nella perenne minaccia di un rovesciamento valoriale; ogni negazione, nel momento in cui nega, è anche necazione, ovvero uccisione. Ogni necazione è esperienza del dolore, che è tale solo se implica un rifiuto dello stesso.
Tuttavia, attenti a non rimanere impantanati nella trappola del negativo, occorre cercare una via d’uscita che, ad esempio, le filosofie e religioni orientali hanno rintracciato nel Nirvana, nella Sapienza del Buddha. La filosofia, invece, dopo aver chiamato alla confusio confusionis in cui ogni innegabile è negato, deve riprendere la via per la Verità. Quest’ultima verità quando nega, nega se stessa; dunque, se la verità assoluta si determina negativamente e si dicesse in opposizione che non è vero, la si confermerebbe. Il piano si ribalta: tutto diventa positivo. La Verità se e in quanto è negativa, nega la non-verità e negandola, afferma se stessa.
Il risvolto etico- pratico di questo nichilismo positivo è lo splendore della verità, che va rintracciato nell’esistenza dei viventi: splendor est veritas. C’è un’idea di bellezza che è costantemente presente e va colta. La stessa gioia della vita, avvenendo, rischia sempre di deteriorarsi, è costantemente esposta al capovolgimento (καταστροφή). Tuttavia, la pratica filosofica consiste nel dire la verità; essa crea il luogo in cui la verità risplende e la meraviglia che ne è alla base permette il miracolo dell’eterno ritorno della gioia, che può distruggere il negativo sorpassandolo.
Proseguendo nel percorso seminariale della Summer School alle lezioni del prof. Tarca, si affiancano quelle di Nicola Russo, che illustra la sua tesi su ‘Ontologia e Nichilismo’. L’ontologia è nichilismo da sempre; essa tratta del positivo (l’essere) e del negativo (il non essere), come già Parmenide aveva sostenuto. Nella sua riflessione il punto di partenza è rappresentato da Nietzsche che ha posto il nichilismo come principio della metafisica. Il principio nichilistico porta con sé lo scardinamento e la demitizzazione di tutte le certezze umane: l’arte, la politica, la poesia e la scienza che credono di aver raggiunto una verità che in realtà è nulla.
La metafisica con Nietzsche giunge al suo frutto ultimo che è il nichilismo, lasciando posto a un’ontologia non metafisica. Nella prospettiva del prof. Russo il λόγος riconosce il suo legame con l’ente, che è tale solo se detto dal lògos, esistente solo all’interno di cardini umani. La domanda cui occorre rispondere è Che significa essere? Esso non significa nulla, non indica nessuna determinazione precisa ed esatta poiché è la precondizione di ogni ente: in questo nulla alberga il nichilismo dell’ontologia. Anche a livello sintattico il verbo essere non ha un significato proprio ma rende possibili tutte le predicazioni; il predicato essere non significa nulla (nichilismo) ma proprio per questo può significare tutto. L’essere produce e realizza una sintesi, si limita a separare o unificare elementi di una stessa frase minima.
Il verbo essere, a livello predicativo, è dunque privo di significato semantico ed è definibile parafrastico universale. Esso, inoltre, svolge una funzione sintattica polarizzata poiché esprime la figura logica dell’antifrasi: affermando il sì, nega il no complementare e viceversa.
Possiamo affermare solo negando ed è questo il nodo nevralgico nel quale si situa la radice nichilistica dell’ontologia. La domanda che sorge spontanea dinanzi a questa tesi logico – ontologica è se tale nichilismo ontologico possa scivolare in un discorso antropologico. La risposta è sicuramente sì e il perché è da ricercarsi nella comunicabilità linguistica del lògos, nel passaggio dal theorein (dato osservativo) al leghetai (dato linguistico). La stessa attività filosofica si configura come una vera e propria pratica di vita di apertura al mondo, sostando nell’inquietudine che tale apertura provoca in noi. Un βίος che definisce l’attività filosofica come sguardo costante alla tradizione (storia della filosofia), per cogliere i successi e comprendere gli errori, per permettere una costante intersezione con le varie discipline. Una filosofia che stia in medias res.
Proprio in virtù dell’interdisciplinarietà che il festival e la Summer School intendono proporre, non sono mancati esperti estranei, solo apparentemente, all’ambito di studio della filosofia. Caso lampante è la presenza dell’astrofisico Giovanni Covone, divulgatore scientifico di eccezionale bravura, interessato allo studio della natura della materia oscura, delle strutture cosmiche e dello sviluppo del pensiero scientifico. Il viaggio interstellare in cui il professore ci accompagna inizia proprio da Anassimandro e dai suoi contemporanei, che per primi hanno indagato la natura razionalmente. Le speculazioni filosofiche spesso, nel tempo, si sono dimostrate terreno fertile per la nascita di teorie scientifiche, come per il caso del 1917: anno in cui Einstein avanza la teoria della staticità dell’universo.
La filosofia, dunque, non è così slegata dalla fisica e dalla cosmologia, come apparentemente sembrerebbe; la stessa cosmologia parte da un approccio teorico e non da un esperimento empirico, spesso difficile da riprodurre in laboratorio. È proprio a partire da opzioni filosofiche che sono stati definiti i due pilastri della cosmologia moderna: principio copernicano e isotropia. L’universo su larga scala è omogeneo e isotropo: a ogni fissato istante tutti gli osservatori nell’universo vedono, in media, le stesse strutture elementari. Dunque, la Terra non è di sicuro un luogo di osservazione privilegiato. Un principio che nega, anche qui nichilisticamente, l’innegabilità dell’antropocentrismo.
Il prof. Covone continua a spiegarci come oggi la cosmologia sia tornata a partire dall’osservazione, non più da un sunto teorico assiomatico. Le parole di Eraclito “Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare” rappresentano un monito per la ricerca scientifica odierna, soprattutto nel campo della cosmologia. La difficoltà epistemologica di questa disciplina rende quasi imprescindibile la presenza, al suo interno, di una riflessione che provenga dalla filosofia della scienza. Lo studio sulla possibile, se non probabile, esistenza di forme di vita extra-terrestri, si coadiuva alle più recenti riflessioni filosofiche: il nostro “the pale blue bot” è davvero l’unico in quest’Universo? Occorre arrendersi a un destino di solitudine cosmica oppure prepararsi all’incontro con l’ignoto?
A coniugare l’importanza dell’indagine filosofica con la bellezza dello studio della natura e dei suoi fenomeni, non può che essere un letterato: Italo Calvino. Lo scrittore italiano in Cosmicomiche, nella storia Senza Colori, lascia al lettore una testimonianza importante sulla scelta che ognuno di noi può fare: appiattire la realtà su una monotonia cromatica o sbirciare attraverso le maglie della natura: “Cercavo tutto quello che si distaccasse in qualche modo dall’uniforme superficie del mondo, tutto quel che marcasse una screziatura, una macchia. Ma dovetti presto rendermi conto che Ayl e io avevamo gusti differenti, se non addirittura opposti: io cercavo un mondo diverso al di là della patina scialba che imprigionava le cose, e ne spiavo ogni segno, ogni spiraglio (…); invece Ayl era un’abitante felice del silenzio che regna là dove ogni vibrazione è esclusa; per lei tutto quel che accennava a rompere un’assoluta neutralità visiva era una stonatura stridente; per lei là dove il grigio aveva spento ogni sia pur remoto desiderio d’essere qualcos’altro che grigio, là cominciava la bellezza”.
Proprio ripartendo dalla letteratura ci avviciniamo al termine di questa Summer School of Humanities 2017. L’ospite conclusivo di questo viaggio nel mondo della conoscenza tout court è, infatti, un critico letterario e saggista: Raffaello Palumbo Mosca. I suoi interessi principali riguardano il romanzo europeo moderno e contemporaneo e il nesso tra letteratura e morale. La scelta dei romanzi da trattare ricade su I Promessi Sposi, classico letterario ottocentesco di Alessandro Manzoni, e su I Viceré di Federico De Roberto. Questi testi, in apparenza scollegati dal tema nichilistico, ne sono in realtà intimamente intrisi. Il prof. Palumbo Mosca ci propone una rivisitazione del testo manzoniano, lontana dalla visione tradizionale di un autore cattolico e pacificato.
Già con il saggio di Gramsci “Letteratura e vita nazionale” i personaggi dostoevskiani vengono contrapposti a quelli manzoniani: se per i primi una redenzione è sempre possibile, per i secondi invece non vi è mai un idillio conclusivo. La storia de I Promessi Sposi è un terreno di scontri, un universo hobbesiano. Storia e Natura diventano, all’interno del romanzo, incubatrici di cataclismi che impediscono all’uomo di autodeterminarsi. La natura manzoniana è una natura ombratile, così come la Storia prevede ciclicamente la presenza di vincitori e vinti. Nella lettura che Palumbo Mosca propone s’inserisce bene l’interpretazione di Giovanni Macchia che ha definito I Promessi Sposi un “romanzo di morte con epopea negativa”; la stessa Storia della Colonna Infame, alla vicenda di Renzo e Lucia indissolubilmente legata, inserisce il romanzo «nella grande corrente inquisitoriale del romanzo moderno, da Stendhal a Dostoevskij» (Macchia, Manzoni e la via del romanzo).
Manzoni parte dal disegno provvidenziale per poi giungere a negare nichilisticamente il senso della vita, a rimanere protagonista è solo la dura e cruda realtà dei fatti. Un risultato nichilistico cui si perviene anche nel secondo testo preso in esame: I Viceré di De Roberto.
De Roberto opera in un momento storico di cesura e per questo si tratteggia come l’ultimo esponente del Verismo italiano, come l’autore più impressionista e delirante del movimento. Nel romanzo I Viceré l’impianto metafisico nichilistico si fa ancora più stridente. L’autore nega l’idea di un progresso storico e sociale positivo; il popolo è caratterizzato da assoluta insipienza, preda degli istinti più beceri; il governo, il potere coincidono con la sopraffazione poiché nessuna classe è in sé, adatta al potere, come poi ci dirà anche Sciascia.
“Il fatto dimostra, al contrario di quel che gli altri lo interpretano, che l’uomo è per natura il più antisociale di tutti i viventi che per natura hanno qualche società fra loro. Da che il genere umano ha passato i termini di quella scarsissima e larghissima società che la natura gli avea destinata, più scarsa ancora e più larga che non è quella destinata e posta effettivamente dalla natura in molte altre specie di animali” (Giacomo Leopardi, Zibaldone). Le parole con cui Leopardi descrive l’antisocialità dell’uomo, l’amor proprio insito nella sua vera natura, si traducono in De Roberto in volontà di potenza, amore narcisistico da cui scaturisce l’istinto di sopraffazione. Se in Leopardi non si esclude la realizzazione di quella catena umana presentata nella Ginestra, per l’autore napoletano l’esito è necessariamente drammatico. La Natura è causa dell’infelicità umana, che ha sì diviso uomini e donne, ma contraddittoriamente li spinge a unirsi per costruire un’illusoria felicità. Il Male, che è sempre universale e inevitabile, non ammette variazioni nella catena evolutiva dell’umanità.
Scompaginando le più classiche interpretazioni letterarie scolastiche, il prof. Palumbo Mosca ci consegna l’idea di una letteratura che può intrecciarsi con la filosofia, con la quale è già – sempre intrinsecamente connessa.
Al termine di questo percorso inter e multidisciplinare, non possiamo che sentirci viaggiatori, insieme. Abbiamo veleggiato sui mari della conoscenza con la lanterna della curiosità; abbiamo costeggiato le rive del sapere e navigato verso nuovi orizzonti; siamo approdati nei porti della filosofia, della scienza e della letteratura, per poi scoprire, alla fine, di non essere mai scesi dalla stessa barca.
In chiusura ringrazio i professori ospiti della Summer School of Humanities che si sono resi disponibili, con le loro interessanti risposte, per una breve rubrica sul Nichilismo che andrà online su Oubliette Magazine con cadenza settimanale.
Written by Maria Cristina Mennuti
Photo by Maria Cristina Mennuti
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Sito Summer School of Humanities
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