Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Nicola Dessì
“Mi capita spesso di lavorare nel settore del turismo archeologico ed attualmente chi raggiunge la Sardegna, lo fa prevalentemente per il mare. Giunti nell’isola, i visitatori più sensibili scoprono che c’è anche un’altra Sardegna, quella dei nuraghi e tutti restano sempre piacevolmente sorpresi.” – Nicola Dessì

Settima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion”, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.
La nota “fantarcheologia” (e qui proporrei di utilizzare la parola “fantamania” per correttezza verso la disciplina) ha prodotto il disagio di intralciare la divulgazione archeologica “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo, veri e propri libri di fantasia senza alcun riscontro con le fonti, con la realtà e con l’investigazione della metodologia scientifica. E se è pur vero che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future, in questo caso ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà; tali e quali a quell’Icaro che, con ali di cera, tentò di avvicinarsi al Sole ed in un primo momento sentì la gloria della sua impresa.
“Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.
Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”
Lo scorso sabato abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologo Roberto Sirigu, ha preceduto l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.
Ognuno di loro si è espresso mostrando il proprio pensiero, ed ognuno di noi lettori potrà considerare la posizione che essi hanno preso nei confronti delle tematiche esposte perché sono distinte e mostrano lo spirito con cui ci si approccia all’archeologia. Lo si potrà notare sopratutto oggi con l’intervista all’archeologo e guida turistica Nicola Dessì.
Nicola Dessì (1981) si è laureato e specializzato sulla preistoria della Sardegna e la Civiltà Nuragica. Ha condotto scavi archeologici in Sardegna e partecipato a scavi archeologici all’estero come Tunisia e Spagna. Attualmente lavora prevalentemente nel settore dell’archeologia preventiva. Insegna archeologia presso diverse scuole di primo grado e secondo grado.
Ha condotto una rubrica televisiva dedicata all’archeologia sull’ emittente “Videolina”. Ha condotto una rubrica radiofonica dedicata all’archeologia sull’emittente “Radiolina”.
Da circa 10 anni a questa parte collabora con numerosi tour operator italiani e stranieri nell’organizzazione di tour culturali incentrati sulla conoscenza di siti archeologici preistorici e nuragici sconosciuti al grande pubblico.
A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?
Nicola Dessì: Credo che il concetto di storia come realtà differente da quella attuale sia relativamente moderno. Ancora alla fine del 1600 ad esempio, quando si raffigurava il Cristo crocefisso, i soldati romani erano rappresentati con un abbigliamento di epoca spagnola, proprio perché nell’immaginario collettivo, il passato veniva immaginato pressoché uguale al presente. Lo studio della storia è una disciplina giovane, ma che riscuote oggi un enorme successo, assistendo a volte ad un interesse quasi morboso nei confronti della ricerca delle proprie radici. Tuttavia anche nel lontano passato sarà capitato di imbattersi in materiali od edifici più antichi rispetto alla loro civiltà, ponendo indubbiamente delle domande sulla natura degli oggetti che loro non potevano aver prodotto. Nasce dunque la leggenda e l’astrazione al fine di dare una risposta ai loro quesiti, immaginando spesso, che quei materiali non fossero stati realizzati in tempi più antichi, ma forse, da entità parallele e soprannaturali.
A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?

Nicola Dessì: Il nuraghe, per poter essere definito tale, deve rispondere a determinate caratteristiche architettoniche che riguardano soprattutto la parte interna. Tra le più importanti ci sono, oltre alla cupola a tholos, il corridoio d’ingresso, le nicchie, la scala elicoidale, i piani sovrapposti etc. che attualmente esistono solo in Sardegna. Nel mondo esistono strutture simili ai nostri nuraghi (pensiamo ai broch scozzesi), ma solo per quanto concerne l’aspetto esterno. La estrema complessità esistente nei nuraghi non la si ritrova in alcuna struttura fuori dall’isola. Inoltre, nessuna terra al mondo registra un così alto numero di edifici (quasi 9000) di questo tipo e soprattutto nessuna di loro ha datazioni così antiche come i nuraghi (1800-1300 a.C.). È assai probabile che i talayot delle Baleari, le torri della Corsica e finanche le tholoi di Micene e le mura ciclopiche di Tirinto siano tutte costruzioni ispirate ai nuraghi della Sardegna.
A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?
Nicola Dessì: Dipende ovviamente a quale territorio ci riferiamo. Se nel caso della Scozia potremmo anche ipotizzare un fenomeno di convergenza (benché i rapporti diretti o indiretti tra la Sardegna e la Gran Bretagna siano attestati da comunanze di simbologie fertilistiche fin dal periodo neolitico), nel caso delle Baleari, di Pantelleria, della Corsica e della Grecia, è fin troppo chiaro che la Sardegna sia stato il centro propulsore di questa fantastica architettura alla quale si ispirarono gli altri popoli del Mediterraneo che però mai poterono eguagliarla.
A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?
Nicola Dessì: La visione “ex Oriente lux”, di cui si fecero portavoce molti archeologi del passato, è ormai obsoleta e pienamente sorpassata. Quando nell’isola si cominciò ad utilizzare la radice Nur, i Fenici non avevano fatto ancora il loro ingresso nella storia, né tantomeno in Sardegna. La radice Nur è chiaramente occidentale e preindoeuropea e non semitica (in questo caso si potrebbe parlare di convergenza di termini ma non di significato). È sicuramente corretto dire che il suo significato è indissolubilmente legato al cumulo di pietre ma già in età nuragica passò ad indicare anche i centri abitati, giungendo fino ai giorni nostri dove sono numerosi i nomi di luogo che iniziano per Nur: Nureci, Narcao da Nuracatum, Nùoro da Nùgoro, Nurallao, Nuraminis, e tanti altri ancora.
A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?

Nicola Dessì: Il diritto alla conoscenza delle proprie radici è primario e fondamentale come il cibarsi, come la libertà. Per questo i finanziamenti per gli scavi archeologici, per gli studi e la valorizzazione dei siti non dovrebbero mai mancare nei bilanci dei comuni della Sardegna. È altrettanto importante però avere degli obiettivi comuni per evitare al minimo lo spreco di denaro pubblico, faccio un esempio: trovo sia inutile scavare contemporaneamente due nuraghi a breve distanza tra loro e non portarne a compimento neppure uno come spesso accade. Poco o nulla ad esempio si sa del paleolitico nell’isola e le poche ricerche condotte finora sono ferme ai primi anni ’80. Forse interessano poco alle amministrazioni comunali poiché non presentano monumentalità come i nuraghi o altri edifici storici ma non è così, poiché i siti del paleolitico, oltre ad essere molto importanti dal punto di vista scientifico, sono oggetto di grande interesse da parte degli appassionati. Un esempio tra tanti è il sito del paleolitico medio di Atapuerca in Spagna, meta ogni anno di centinaia di migliaia di visitatori, contribuendo così a fare del turismo archeologico una delle risorse economiche più importanti di tutto il territorio. In passato sono state impiegate enormi finanze per lo scavo dei nuraghi in tutta l’isola ma attualmente nella Sardegna meridionale non esiste un nuraghe fruibile dal punto di vista turistico. Il turista che giunge a Cagliari, deve necessariamente recarsi a Barumini per visitare un nuraghe, quando invece potrebbe più agevolmente recarsi nello splendido nuraghe Diana sul litorale di Quartu Sant’Elena, scavato per diversi anni e mai aperto al pubblico.
A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?
Nicola Dessì: Che io sappia attualmente dovrebbe essere questo il più antico reperto epigrafico che menziona la radice SRDN, anche se sulla sua traduzione esistono differenti versioni che in alcuni casi hanno portato ad ipotizzare che benché l’alfabeto utilizzato sia di origine semitica, le parole appartengano invece al paleosardo. Non sarebbe il primo esempio poiché anche in età medievale sono numerosi i documenti epigrafici in lingua sarda scritti in caratteri greci (vedasi ad esempio la Carta di Marsiglia). Credo che in passato i Sardi si identificassero con il termine SRDN ma non fosse l’unico.
A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?
Nicola Dessì: Credo che ancora oggi l’errore (bonario) che si commette, è quello di vedere la Civiltà Nuragica come un qualcosa di estremamente unitario e statico. Così non è, e come tutte le grandi civiltà del passato, anche quella nuragica ha avuto le sue evoluzioni. Non tutti sanno ad esempio che tra la costruzione dei primi nuraghi e la realizzazione dei primi bronzetti intercorrono quasi 8 secoli (lo stesso arco di tempo che intercorre tra la nostra era e quella medievale, benché all’epoca i mutamenti avvenissero in maniera più lenta). Il cambiamento più importante dovrebbe essere avvenuto sicuramente tra il 1300 e il 1200 a.C., ovvero quando i nuraghi non si costruiscono più. Alcuni di essi vengono abbandonati, altri trasformati in templi, altri ancora vengono in parte smantellati dagli stessi Sardi per dare il via ad un sistema di edificazione di tipo urbano come le cosiddette “capanne a settore”. Questa premessa per cercare di capire se sia corretto ad esempio continuare a chiamare “nuragici” anche i Sardi che non costruiscono più i nuraghi, ma che comunque ne fanno un emblema religioso e fortemente identitario nei modellini in pietra, in bronzo e in terracotta. Io non so come chiamarli ma so per certo che i Sardi dell’età del ferro (più precisamente dal X al VII secolo a.C.) crearono un proprio sistema alfabetico (individuabile in numerosi frammenti di terracotta e di bronzo) che venne poi, per scelta degli stessi Sardi poiché più universale, sostituito gradualmente dal semitico.
A.M.: Chi sono gli Shardana?

Nicola Dessì: Partendo dal presupposto che tra il XIV e il X secolo a.C. almeno, non vi sono al di fuori dei Sardi, in tutto il Mediterraneo popoli che abbiano lo stesso nome, lo stesso abbigliamento e le stesse armi rappresentate dagli Egizi, non possiamo che arrivare alla conclusione che gli Sharden fossero gli eredi dei costruttori dei nuraghi. I rapporti tra la Sardegna e l’Egitto erano più che consolidati (lo dimostrano i rinvenimenti di numerosi oggetti egizi nei siti Sardi dell’età del ferro) prima della comparsa dei Fenici. I Sardi erano abili fabbricatori di armi ma soprattutto erano abili guerrieri i cui servigi probabilmente erano richiesti anche fuori dalla Sardegna. La guerra è una componente fondamentale delle civiltà antiche. Grazie al mercenariato e alle guerre si potevano accumulare beni preziosi e talvolta salire di grado nella scala sociale. Molti Sharden dunque presero il mare, alcuni di loro forse tornarono arricchiti, tanti altri probabilmente morirono nei campi di battaglia lontano dalla propria terra d’origine.
A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?
Nicola Dessì: Premetto che non adoro il termine “fantarcheologia” poiché se ne fa ultimamente abuso, spesso nel tentativo di denigrare altri studiosi o mettere il bavaglio per paura del confronto. La libertà di pensiero nel rispetto reciproco, per la quale si sono spesi molti illustri pensatori, non dovrebbe mai mancare neppure per gli studi sulla storia. Nessuno di noi ha la verità in tasca, esistono diversi modi per affrontare lo studio del passato ed ognuno di questi può avere una sua validità. Anche nella scienza è necessaria, come in tanti altri campi, l’immaginazione, perché è grazie ad essa molto spesso, che le teorie non restano imbrigliate ma possono trovare nuovi stimoli. Personalmente cerco di utilizzare e concentrare le mie energie per costruire e non distruggere. Trovo molto soddisfacente ad esempio, lavorare con le scuole elementari, dando il mio contributo divulgando in maniera semplice e comprensibile la nostra storia ai bambini. Credo infatti ci sia tanto da imparare dai più piccoli, la loro spontaneità, il loro modo di vedere le cose può essere molto utile per tutti gli studiosi, ma soprattutto è un’ottima palestra per chi come me ha deciso di intraprendere la strada della divulgazione.
A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamati nuraghi?
Nicola Dessì: Premetto che non mi sono mai occupato dell’argomento e poco o nulla conosco in merito, ma non credo che associare la Sardegna ad Atlantide sia necessariamente una “ridicolizzazione”. Forse si tratta di un mito, forse no, ma il punto focale non è questo poiché non sta a me giudicare cosa sia ridicolo e cosa non lo sia ma soprattutto come ho detto nella domanda precedente, utilizzo le mie energie per costruire le mie teorie e non abbattere le altre. Mi capita spesso di lavorare nel settore del turismo archeologico ed attualmente chi raggiunge la Sardegna, lo fa prevalentemente per il mare. Giunti nell’isola, i visitatori più sensibili scoprono che c’è anche un’altra Sardegna, quella dei nuraghi e tutti restano sempre piacevolmente sorpresi. Avere dei bei monumenti però non è sufficiente per farli apprezzare e farne capire l’importanza. Occorre invece impegnarsi per fare in modo che la storia della Civiltà Nuragica sia davvero alla portata di tutti.
A.M.: Salutaci con una citazione… (indicare nome e cognome dell’autore citato)
Nicola Dessì: “Con tutto il rispetto alle fonti ed ai loro sagaci commenti, sia permesso a me archeologo, di avere fede, speranza ed amore principalmente nell’indagine archeologica. Nell’indagine del passato tenebroso, lontano ed incerto la mia luce è quella della punta luminosa del mio piccone.” – Antonio Taramelli
A.M.: Nicola, in chiusura ti ringrazio per il tuo contributo, ed auspico una lettura del Timeo di Platone per poter concepire il perché del mio uso di “ridicolizzare”, ritengo sia infatti ridicolo “cercare” Atlantide al di fuori di noi stessi, essendo un’isola sprofondata nel mare. Se si leggono i testi di filosofia con significato letterale almeno lo si faccia per intero, dunque deduco che se la Sardegna è Atlantide noi ora non stiamo “vivendo realmente” ma siamo sotto coltri di fango, su un fondale: “Dopo che in seguito, però, avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi, tutto il vostro esercito sprofondò insieme nella terra e allo stesso modo l’isola di Atlantide scomparve sprofondando nel mare: perciò anche adesso quella parte di mare è impraticabile e inesplorata, poiché lo impedisce l’enorme deposito di fango che che vi è sul fondo formato dall’isola quando si adagiò sul fondale.” (trad. Dott. Patrizio Sanasi – Edizioni Acrobat)
Written by Alessia Mocci
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Rubrica Neon Ghènesis Sandàlion
Caro Nicola, mi piace quando indichi la via della costruzione come più importante nel proprio percorso di lavoro.
Nel merito ti vorrei chiedere quali sono “i rinvenimenti di numerosi oggetti egizi nei siti Sardi dell’età del ferro”. A me risultano, infatti, solo sette reperti di tipo egiziano: lo scaraboide di M. Prama, i due scarabei e lo scaraboide di S. Imbenia, lo scarabeo di S’Arcu e’ is Forros, lo scarabeo e l’amuleto di Nurdole (forse un ottavo dal nuraghe Flumenlongu). Di questi solo quello di Monte Prama può essere riportato come fattura all’epoca degli Shardana in Egitto, anche se più propriamente andrebbe definito egittizzante, in quanto di tipologia cananea. Tutti gli altri appartengono a epoche decisamente più tarde, sia come manifattura che come giacitura.
La “prova” degli oggetti egizi in Sardegna fu l’elemento principe delle ricostruzioni ottocentesche del problema- Dopo 150 penso che possiamo affermare che sia un percorso assolutamente sterile e privo di prospettive.
Cordialmente
Alfonso Stiglitz
Caro Nicola, tornando alla risposta sulla stele di Nora, il fenomeno che descrivi, cioè la traslitterazione di parole di una lingua in alfabeto “importato” è un fenomeno diffuso. Greci, Etruschi e Romani hanno scritto le loro parole in alfabeto fenicio i primi, greco gli altri. Più interessante è il fatto del nome SRDN, se cioè locale o dato da altri. Abbiamo il caso degli Etruschi che dai Greci sono chiamati Tyrsenoi, dai Romani Tusci, e che per conto loro si chiamavano Rasenna. Io penso che sia una denominazione locale, e che da questa derivi il nome greco Sardò, ma è solo una mia idea non supportata da studi che non sono in grado di fare. Quello che sarebbe molto interessante sarebbe il cercar di capire (non so in quale modo) come gli abitanti della Sardegna dell’età del Ferro avessero cognizione dell’unitarietà della loro terra, vista la parcellizzazione del dominio sul territorio. Vi attendono decenni di studi
Non esiste in nessuna Università una specializzazione in Preistoria della Sardegna e Civiltà Nuragica, ma un indirizzo generico di archeologia preistorica e protostorica, e soprattutto nessun insegnamento di archeologia nelle scuole di primo e secondo grado. Per essere preciso il collega poteva spiegare che si occupa di laboratori didattici. Le risposte alle domande sono piene di errori metodologici di ogni tipo e zeppe di teorie obsolete come quella ormai superata che la Civiltà Nuragica abbia influenzato quella Micenea. I pochi reperti rinvenuti in contesti sardi sono forse la prova di rapporti consolidati tra Sardegna ed Egitto? La carta di Marsiglia non è un’epigrafe, i sardi fino a prova contraria non crearono nessun sistema alfabetico e nemmeno le “capanne a settore” possono essere definite edifici di tipo urbano. Vorrei soffermarmi su questa affermazione espressa da Nicola Dessì:“Lo studio della storia è una disciplina giovane, ma che riscuote oggi un enorme successo”. La storia è la materia che si occupa dello studio del passato utilizzando fonti (documenti, testimonianze e racconti) indispensabili per elaborare un discorso su fatti accaduti in tempi remoti. Erodoto e Tucidide vissero nel V secolo. a. C. (non certo ieri) e proprio il secondo ha il merito di aver avuto per primo un approccio scientifico nei confronti della disciplina, narrando eventi in gran parte a lui contemporanei e considerando la storia come il prodotto di scelte e azioni degli esseri umani.
Complimenti Nicola, è sempre un grande piacere ascoltarti ! Grazie,continua così..