“Ancòra”, romanzo di Hakan Günday: un viaggio di redenzione in quattro tempi

Ancòra, la parola ripetuta di coloro, i fantasmi migranti, che disperatamente implorano acqua e cibo.

 

Ancòra di Hakan Gunday

Ancòra, ovvero la coazione a ripetere e a perpetuare, quasi meccanica inevitabile, la violenza del dominio.

Ancòra è anche uno spazio di attualità geopolitica: “la differenza tra l’Oriente e l’Occidente è la Turchia. (…) Il nostro paese è un ponte antico, con un piede scalzo a Oriente e l’altro infilato in una scarpa a Occidente, da cui transita qualsiasi merce illegale”.

Protagonista di questo multiforme e bellissimo romanzo di Hakan Günday, edito da Marcos y Marcos (2016), è Gaza, bambino cresciuto nell’esercizio della violenza, che intraprende un percorso empirico di ricerca sul mondo e sul male.

Un romanzo di formazione in quattro tempi, con struttura a spirale: dagli ultimi come fredda merce agli ultimi come unica calda esperienza di humanitas. In mezzo, a orientarne la struttura, una esperienza di vita sull’orlo della follia osservante.

Gaza è il custode di una cisterna che contiene la merce migrante. Ne diventa il padrone assoluto rendendola un laboratorio di ricerca antropologica, determinando all’interno di quello spazio estremo le medesime logiche di dominio e di violenza che sembrano connaturate all’essere uomo. Un incidente, occorso durante il trasporto dei migranti presso le coste, mette Gaza, unico sopravvissuto, a contatto carnale con le sue cavie ormai cadaveri.

Tale punto di rottura determina un cambio di rotta verso la “normalizzazione”. E dal momento che Gaza è un ragazzo molto dotato, si offrono le condizioni per un successo entro il mondo falso e ipocrita dell’arrampicata sociale. Ma il passato riemerge come fattore biologico pronto a infiltrarsi attraverso il canale dei sensi.

La lunga malattia che ne consegue trova una via d’uscita nell’esercizio del Linciaggio come forma suprema di esercizio anonimo del dominio e della violenza. Ma anche in questo caso lo stato di grazia acquisito si sgretola dinanzi ad un episodio nel quale Gaza, suo malgrado si ritrova immobilizzato, perché solo, con la sua corporeità sensibile, dinanzi alla vittima prescelta.

Di qui il viaggio salvifico all’indietro verso Cuma (venerdì in turco, da cui il richiamo non troppo velato al Robinson di Defoe e di Cèline), sua vittima del passato che prima di morire gli aveva donato un origami che rappresenta una rana e che richiama il suo paese d’origine, Bamiyan in Afghanistan, dimora delle statue del Buddha distrutte dalla violenza iconoclasta dei talebani.

Gaza è un personaggio che acquisisce una straordinaria consapevolezza del Male cercando invano di navigarci con benessere personale. Prova a partecipare emotivamente all’esercizio del potere ricavandone anche momenti di temporanea felicità: progetta la sua interpretazione del traffico di migranti, trasformando la cisterna/deposito in un vero laboratorio di sperimentazione sociale ed antropologica; vive con ipocrita facilità la sua formazione “normalizzata”, agendo con cinismo, calcolo e freddezza in una potenziale arrampicata sociale; entusiasta va alla ricerca del linciaggio come forma assoluta e totale di inserimento in società. Ma tra l’una e l’altra fase ci sono gli spazi della malattia, della presa di consapevolezza del male, della coscienza della dimensione sociale come spazio di coercizione, falsità e violenza.

Hakan Gunday

Si tratta di un viaggio nel vuoto, un precipizio nella nuda vita, una peregrinazione in un presente ormai privato della politicità dell’umano.

Di qui la lenta e dolorosa conquista del linguaggio e della relazione attraverso la dinamica della prossimità e dell’empatia. Perché, quando la prossimità è Carne, biologia senza chimica, bisogno primario senza politica, cioè senza linguaggio, come nel caso estremo del giovane Gaza ricoperto di cadaveri, l’unico movente all’azione “sociale” è l’esercizio del Dominio, del potere e della violenza, strumenti di inserimento, gli unici riconosciuti da un mondo irreparabilmente corrotto.

Un viaggio di redenzione il suo. E in effetti Gaza raggiunge una salvezza dopo avere sperimentato anche con partecipazione emotiva al male del mondo. Che è male come effetto del potere. E la ritrova, quasi ciclo che si chiude, proprio nell’esperienza di chi nulla ha, quei migranti, cioè, che hanno costituito il suo esordio nel mondo, il suo incipit al male.

Buona lettura!

 

Written by Mauro Tuzzolino

 

 

 

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