“Malamore – Esercizi di resistenza al dolore” di Concita De Gregorio: 19 storie di donne

“Il malamore è gramigna, cresce nei vasi dei nostri balconi. Sradicarlo costa più che tenerselo. Dagli acqua ogni giorno, alzare l’asticella della resistenza al dolore è una folle tentazione che può costare la vita.”

Malamore – Esercizi di resistenza al dolore

19 i capitoli e 19 le storie di donne raccontate dalla giornalista Concita De Gregorio nel saggio Malamore. Esercizi di resistenza al dolore, pubblicato da Mondadori nel 2008.

Attraverso storie vere, alternate a fiabe, a resoconti di cronaca nera o frammenti di vita personale, la De Gregorio si racconta e racconta sofferenza e umiliazione da cui molte donne sono investite.

Donne che ogni giorno subiscono un dolore invisibile ma soprattutto indicibile; una violenza che da millenni regola le relazioni tra i due sessi. Spesso si tratta di violenza fisica, ma non solo. Perché grave è anche quella psicologica, più subdola, che molte volte entra a far parte integrante di un rapporto malato.

Argomentazione di grande attualità quella trattata dalla giornalista, in tempi in cui ogni giorno la cronaca riferisce di nutriti femminicidi.

“Coi miei fratelli ci svegliavamo alla stessa ora, andavamo nelle stesse scuole, abbiamo avuto le stesse incombenze quotidiane: portare fuori la spazzatura; vedere se manca il latte prima di uscire di casa e comprarlo al ritorno; lavarsi a mano la biancheria che stinge e non stenderla in bagno…”

La lente d’ingrandimento, attraverso cui la scrittrice fa un pot-pourri di storie apparentemente slegate fra loro, è il dolore: quello che le donne hanno la capacità di sopportare. In certi casi sono obbligate a sopportarlo, in altri lo fanno in maniera volontaria.

Perché spesso il dolore è il focus del rapporto che lega un uomo a una donna, che a volte sconsideratamente sceglie l’uomo peggiore, colui che le farà del male.

E ciò avviene fin dai tempi più remoti, forse perché talmente abituate a non sottrarsi al dolore che le donne neppure conoscono l’origine di quest’ancestrale abitudine.

E, senza comprendere dove possa portarle, ne rimangono annichilite, se non addirittura uccise.

A fare da filo conduttore delle storie narrate in Malamore. Esercizi di resistenza al dolore è un’unica domanda: come mai le donne non si ribellano?

Sarò capace di aspettare, di trasformare la tua rabbia in qualcosa di positivo, tu cambierai…

Molte volte infatti sono i buoni propositi ad animare lo spirito da crocerossina delle donne, le quali si sentono investite di un potere, o forse di una peculiare forma di sensibilità che supporta l’illusione di cambiare un maschio violento. Sono donne che amano troppo l’altro e troppo poco se stesse, s’illudono di poter gestire la rabbia del proprio uomo, anche se in questo modo sminuiscono il valore di se stesse ed esaltano quello del compagno.

Ma, particolare non trascurabile, tutto ciò accade nonostante alcune siano donne affermate nella professione, altre figlie delle rivolte sociali e altre ancora manager di successo. Tutte comunque economicamente autonome.

Perché allora, si chiede l’autrice già nell’introduzione, queste donne sono disposte a sopportare una violenza, talvolta sottile ma che, profonda e infida, si insinua nella loro quotidianità?

Forse si vergognano della situazione in cui si trovano, oppure è la paura a spingerle a nascondere la testa nella sabbia e far finta che il problema non esista?

Qualunque sia la motivazione che muove le donne a tenere un comportamento erroneo, certamente non c’è giustificazione di fronte ai numerosi omicidi perpetrati a danno del genere femminile.

“Il mio nome è Dalia. Se fossi nata fiore avrei voluto essere giallo: come il sole, come i campi d’estate davanti a casa mia. Quello che vi chiedo è di ascoltare la mia storia perché potrebbe essere la vostra. Non voglio compassione, né pietà, né aiuto: non mi servono, non servono a nessuno. Non serve niente dopo, serve prima…”

Concita De Gregorio

A volte la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: a legare le donne a uomini distruttivi e manipolatori, si crea un vincolo strettissimo che non si può spezzare facilmente.

Un esempio eclatante è quello di Marie Trintignant, testimone eccellente della violenza dei nostri giorni, caduta sotto i colpi del suo compagno che ha infierito sul suo fragile corpo di donna.

Ma, facendo un passo indietro nel tempo, è doveroso ricordare alcune donne che si sono battute per la giusta causa, femministe ante litteram, senza sapere di esserlo.

Caterina da Siena, per esempio, che si rifiutò di sposare il cognato, vedovo della sorella maggiore appena morta di parto. Piuttosto che andare sposa chiese di entrare in convento. Ma, troppo giovane per realizzare il suo desiderio, si ammalò. Un modo come un altro per evitare un matrimonio obbligato, in tempi in cui le donne facevano fatica a ribellarsi a gesti di violenza messi in atto dagli uomini.

Allora, il rimedio per rispondere a tale sopruso era farsi streghe o sante: le benestanti diventavano sante, mentre le poverette finivano per essere definite streghe.

Giovanna d’Arco, prima strega e poi santa, bruciò sul rogo senza dire una parola, dando prova di una forza che impressionò sia i regnanti sia la gente del popolo.

Due secoli dopo, sul finire del Cinquecento, occorre menzionare Beatrice Cenci: fu decapitata per aver ordito l’omicidio del padre, piuttosto che venire violentata da lui.

Bellezza Orsini, la più famosa delle streghe, era stata data in sposa bambina a un uomo che l’aveva abbandonata poco dopo la nascita del loro figlio. La cosa che soprattutto non poté sopportare fu il rifiuto del proprio figlio da parte dell’uomo che l’aveva generato.

Artemisia Gentileschi, stuprata, fu sottoposta a un processo vergognoso e a torture indicibili, al fine di dimostrarne la credibilità, dopo aver osato denunciare il proprio stupratore.

E sono molte altre a fare compagnia a queste eroine di un tempo passato, lontano, ma ancora vicino per la triste questione che le accomuna alle donne dei tempi moderni.

Una carrellata interminabile di personaggi femminili, cui aggiungere altre e numerose figure di donne tradite, violentate e gettate via come fossero rifiuti.

Per esempio, Dora Maar, compagna e musa ispiratrice di Picasso, relegata al ruolo di oggetto e poi abbandonata.

Elizabeth Meer, fotografa, e fotografata nuda fin dalla più giovane età dal padre con intenzioni tutt’altro che limpide.

“Picasso era uno strumento di morte. Non era un uomo, era una malattia. Si nutriva del dolore che provocava negli altri per alimentare il suo. Individuava tra milioni le donne che avrebbero potuto essere crudeli con lui, più crudeli di lui, e questo chiedeva loro: uccidetemi, la vostra morte eventuale sarà un dettaglio nel percorso.”

Saggio che aiuta la riflessione, Malamore. Esercizi di resistenza al dolore offre alle lettrici uno spunto in più per non lasciarsi sopraffare dagli eventi, quando malauguratamente una donna incontra un uomo violento.

Un’esortazione quindi, a non fidarsi di maschi prepotenti, a evitarli e a non perseverare in una scelta sbagliata; senza per questo sentirsi colpevoli, e continuare a difendere e battersi per una causa già persa in partenza.

 

Written by Carolina Colombi

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *