Sardegna da scoprire #12: Capo Testa ed i resti di una città romana dimenticata
Oggi voglio portarvi nel mio personale Paradiso.
Ogni essere umano ha un’idea propria di dove vorrebbe vivere in eterno ed io, uomo fortunato, ne ho almeno due, di luoghi del cuore.
Vi descriverò quello più vicino, dove passo i miei giorni più sereni, quando sono in Italia. L’altro è lontano, un’isola sul Nilo vicino a Luxor, ma è una storia diversa.
Oggi andremo a Capo Testa, vicino a Santa Teresa di Gallura.
Siamo al confine, qui, su questa quasi isola che sembra sempre volersi staccare dall’Isola più grande, come un figlio ormai grande vuole staccarsi dalla mamma.
Ho detto confine, ma in realtà i confini sono tanti: tra Italia e Francia, tra Sardegna e Corsica, tra cielo e mare e tra terra e cielo, tra passato e futuro e tra natura selvaggia e turismo sfacciato.
Arrivi percorrendo una strada che sembra debba portarti chissà dove, tra tornanti e dirupi che la costeggiano. Ma non riesci, rapito lo sguardo, tra una collina e l’altra a levare gli occhi dal mare, ossessionante presenza.
Azzurro, indaco, verde, blu, se esiste un colore con cui dipingere il mare, qui troverete il modello perfetto.
Attraversate il ponte, nella stretta striscia di sabbia che unisce Capo Testa alla terra ferma, e sarete in un altro mondo.
Vi accolgono odori, colori e rumori che parlano di serena convivenza tra uomo e natura. Le spiagge sono linde e soffici, coperte di rena più chiara, quasi bianca, a ponente.
Certo, ci sono case, villaggi turistici e attività commerciali, per mia e nostra fortuna, ma solo quel tanto che basta a non rompere l’equilibrio tra natura e progresso, cosa che rende unico, in Sardegna, questo meraviglioso posto.
Ma si sa, io sono un uomo curioso, non potrebbero certo bastarmi la calma, gli animali, il mare ed il vento, mentre potrei volentieri fare a meno di certi zotici che arrivano, in agosto, a impadronirsi di quest’oasi, insozzandola con la loro maleducazione.
Ma occorre sopportare, temo.
Se superate l’irritazione, oppure venite direttamente in un altro periodo dell’anno, vi assicuro, è ancora più bella Capo Testa da ottobre a maggio, guardatevi attorno.
Con calma, non c’è fretta.
Capo Testa è dove, in antico, c’era una città romana, sepolta, smarrita, quasi dimenticata, però, quando scendete in spiaggia, da Zia Culumba, Roma riappare, nel suo lato più disumano.
Le cave di granito che servirono a fare le colonne per molti palazzi a Roma compreso il Pantheon, sono ben visibili, come ferite che non si rimarginano, sulle bianche rocce che si bagnano nel mare. Intere colonne, o pezzi di esse, giacciono ancora sul bagnasciuga, o affogate nelle acque limpidissime del golfo di Santa Reparata.
Bagnarsi dove un tempo si sentivano solo le bestemmie degli schiavi destinati ad un lavoro disumano, lo schioccare delle fruste degli aguzzini e le mille voci di marinai, commercianti e soldati di guardia agli schiavi, mi fa sempre una strana impressione, se penso alla pace che regna ora su quei luoghi che furono di sofferenza per molti.
Ma lo storico prevale sul poeta, in me, e allora cerco.
Cerco Roma, che ha lasciato i resti dei suoi vasi, delle sue colonne, addirittura le ossa lasciate a sbiancare al sole dai suoi schiavi su queste spiagge, ma nessun muro, una casa, una torre.
Forse è solo che nessuno, finora, ha cercato nulla.
Poi vai più a fondo e scopri resti di nuraghi, un bel villaggio, Lu Brandali, parzialmente scavato, colla torre che domina su tutto il Golfo dell’Asinara, a sorvegliarne gli approdi.
Però se camminate per i bellissimi sentieri naturalistici aperti dal comune di Santa Teresa e dalla Forestale, e se avete occhi addestrati, vedrete molto altro.
Un nuraghe che fa da base ad uno dei bellissimi fortini, costruiti nella seconda guerra mondiale per fronteggiare la nemica Francia e la sorella Corsica.
Vedrete un santuario megalitico, col suo ingresso ancora integro e le coppelle che lo delimitavano, usato per costruirci un bunker e una postazione di artiglieria.
Il miscuglio, la profanazione, direbbe qualcuno, è talmente suggestivo che merita una visita.
E poi Dolmen, ormai scoperchiati e menhir gettati a terra.
La passeggiata finisce a Santa Teresa, dov’era iniziata, a guardare nel porto, con nostalgia, i resti del forte di Longon, fatto costruire dalla nostra Regina Eleonora e distrutto, come molta nostra memoria, dagli spagnoli.
Ecco, avete visto tutto il visibile, ma se volete di più lo potete ancora avere, perché Capo Testa ha sempre qualcosa da offrire, in più.
La grotta in cui venivano alloggiati gli schiavi che cavavano il granito fin dentro il mare, col suo ingresso nascosto in bella vista, vi porta in un attimo nell’atmosfera lugubre di un passato tremendo fatto di sudore, sangue e fatica.
Mentre la Turri, sopra l’emergenza granitica più alta della penisola, invece, vi immerge nella Storia più antica, fatta di coraggio e costanza.
Ceramiche nuragiche, puniche, romane, medievali, sparse per terra, lassù tra il cielo ed il granito, raccontano delle guardie che si sono succedute, su quella torre fatta di sassi e malta, che guarda la Corsica, il mare e anche la Sardegna, con la diffidenza di chi ha, come patria, solo quel lembo di terra.
Written by Salvatore Barrocu
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