Intervista di Alessia Mocci ad Igor Sibaldi: essere liberi, essere disobbedienti ed “Il coraggio di essere idiota”
“Si tratta di te. In questo libro l’argomento sarai sempre tu: Dostoevskij ci servirà come esperto di tue faccende anche molto personali. A Dostoevskij avrebbe fatto piacere: sapeva che la grandezza di un autore dipende proprio da quanto ti narra di te e dei tuoi parenti e conoscenti. Tentava di farlo in ogni sua pagina, spesso si accorgeva di riuscirci, e sicuramente sperava che anche tu, oggi, te ne accorgessi.” – “Il coraggio di essere idiota. La felicità secondo Dostoevskij”
Inizia così il saggio “Il coraggio di essere idiota. La felicità secondo Dostoevskij” nel quale Igor Sibaldi si rivolge al lettore con un “Si tratta di te” che risponde al titolo del primo paragrafo “Di chi si tratta” del primo capitolo “Grandi autori e grandi lettori”.
In libreria dal 24 aprile ed edito da Mondadori, “Il coraggio di essere idiota” esplora uno degli autori russi più amati e conosciuti in Europa, Fëdor Dostoevskij (Mosca, 1821 – San Pietroburgo, 1881).
Non aspettatevi una critica letteraria standard, infatti, Sibaldi intercetta, nelle opere di Dostoevskij, la complessa struttura della ricerca della felicità dedicandosi ad un lungo discorso nel quale, forse, l’unica meta è aprire una breccia nella psiche del lettore per iniziare un cammino di ricerca “individuale” di questa “obliata” felicità.
Igor Sibaldi nasce a Milano nel 1957, è uno studioso di teologia, filologia, filosofia, storia delle religioni. Autore di numerose opere sulle Sacre Scritture e sciamanesimo, narrativa e teatro. Traduttore di svariati autori della letteratura russa, del Vangelo di Giovanni dal greco antico e di parte della Genesi dall’ebraico antico.
Dal 1997 è impegnato in seminari e conferenze in Italia ed all’estero su argomenti basilari per l’uomo che, nel corso dei secoli (con un picco dopo la Seconda Guerra Mondiale), son stati accantonati. Argomenti quali la mitologia, l’esegesi e la psicologia del profondo, di fondamentale importanza per individuare meccanismi psichici inconsci presenti in ognuno di noi.
Non mi dilungo oltre, vi lascio alle parole di Igor Sibaldi, e vi consiglio di non fermarvi all’intervista: ampliate la vostra conoscenza con la visione dei video presenti su Youtube, la lettura delle sue pubblicazioni e la possibilità di incontrarlo dal vivo. Le prossime date in Italia in cui sarà possibile assistere ad un suo seminario saranno il 28 maggio a Pordenone, il 3 giugno a Cagliari, il 9 e 10 giugno a Torino ed il 30 giugno a Milano.
A.M.: Circa tre settimane fa è uscito il suo ultimo saggio “Il coraggio di essere idiota. La felicità secondo Dostoevskij” nel quale tratta, come suggerisce il sottotitolo, della felicità prendendo spunto dal pensiero del grande autore russo. Nella prima parte denominata “Grandi autori e grandi lettori” si chiarisce che ogni parola è rivolta al lettore ed alle sue vicende personali perché la ricerca della felicità è affare di tutti noi, e dunque anche suo?
Igor Sibaldi: Anche mio, certamente. In un punto del libro si spiega la differenza tra contentezza e felicità. È contento chi si accontenta: contento viene dal latino contenere, che significa «trattenere». La contentezza è frenarsi, obbligarsi a pensare positivo, farsi piacere il proprio lavoro anche se non ci piace. «Felicità» invece è desiderare di più: felix, in latino, significava «capace di generare», di fare cose nuove; happy in inglese significa «uno a cui accadono le cose», uno che non si protegge dalle novità. La contentezza non mi riguarda di certo; la felicità mi ha sempre riguardato.
A.M.: “Essere liberi è essere imprevedibili.” In che modo si può conciliare l’imprevedibilità in questo mondo che ci vuole invece macchine dotate di asservimento?
Igor Sibaldi: Non si può, perché il mondo vuole che ci rassegniamo a essere soltanto contenti. Solo i protagonisti delle fiabe riescono a vivere sempre «contenti e felici». Conoscono qualche mistero, evidentemente, che io non so. E mi sento in buona compagnia: secondo tutti i grandi scrittori, se il mondo prevale l’individuo è più o meno infelice, mentre solo se il mondo crolla in un qualsiasi modo si apre all’individuo una concreta possibilità di felicità. È un’idea incominciata fin dall’Esodo (bisogna lasciarsi indietro l’Egitto per cercare la Terra Promessa), ed è tuttora attuale. È un po’ estremista, certo. E un bel po’ sovversiva.
A.M.: Essere disobbedienti. Il senso di piacere e la ricerca. Perché il voler capire è così fondamentale per l’uomo?
Igor Sibaldi: Anche «capire» è una parola di cui non conviene fidarsi, per ragioni analoghe a quelle che abbiamo già visto parlando di contentezza. «Capire» vuol dire, letteralmente, «sforzarsi di inserire qualcosa di nuovo in contenitori vecchi», la capacità dei quali è limitata. In pratica, quando abbiamo la sensazione di avere capito qualcosa, è perché abbiamo posto un limite alla nostra scoperta di quel qualcosa. «Comprendere» non è da meno: deriva infatti dal latino comprehendere, che significava «imprigionare». Quando esploriamo qualche territorio interiore o esteriore, è molto meglio puntare all’accorgersi, al sorprendersi, ovvero cercare sempre al di là di ciò che finora si è riusciti a capire. I bambini lo fanno, e in questo senso potremmo prenderli come maestri – cosa che tante antiche tradizioni consigliano di fare.
A.M.: Qual è la differenza tra immaginazione e fantasia?
Igor Sibaldi: Fantasia è un termine vago, che indica genericamente le capacità creative della psiche. Immaginazione è invece un termine tecnico preciso: indica quella facoltà che in noi si attiva quando giungiamo oltre il confine di quella parte di mondo che le nostre parole riescono a indicare. Non che questo confine sia molto lontano: se ci domandiamo «Di cosa sa una pesca?» ci accorgiamo di non avere le parole per rispondere a questa domanda, anche se sappiamo benissimo qual è il sapore delle pesche. Per descrivere il sapore di una pesca dobbiamo ricorrere appunto all’immaginazione, cioè ricorrere a metafore, a metodi artistici. Lo stesso avviene tutte le volte che, nelle nostre scoperte, ci spingiamo oltre ciò che i nostri contemporanei hanno capito – cioè inscatolato nei contenitori messi a disposizione dalle lingue attuali.
A.M.: Energia psichica ed Angelologia. Perché abbiamo bisogno di conoscere i simboli?
Igor Sibaldi: Noi siamo sicuri di vivere in un periodo molto più evoluto dei periodi precedenti, ma ciò è vero solo in parte: sicuramente siamo più evoluti di quanto lo si era nel XIX secolo, o nel XVII, ma al tempo stesso siamo molto più ottusi di quanto lo si era nel Cinquecento, o nei primi secoli dell’Era Volgare, o durante certe dinastie egizie. Da queste epoche passate, più sapienti della nostra, possiamo imparare cose utilissime. Per impararle, dobbiamo intendere il loro modo di comunicare, che era intensamente simbolico. Per esempio: l’acqua del Diluvio non era acqua come la intendiamo noi, era un simbolo, e precisamente il simbolo del passato. Noè è quel tipo d’uomo che si evolve più dei suoi contemporanei, e che li vede perciò rimanere indietro, sprofondati in un passato che lui ha superato. Se non decifriamo quel simbolo dell’acqua, non intendiamo nulla del racconto del Diluvio. E così è per i testi e per tutte le opere fondamentali di quei bellissimi periodi più sapienti del nostro. Lo stesso vale, naturalmente, per tutto ciò che quegli antichi ci hanno raccontato degli Angeli.
A.M.: Recentemente ho preso visione del libro di Haziel “Il libro delle invocazioni e delle esortazioni”; sono rimasta affascinata dalla bellezza delle esortazioni lette una di seguito all’altra. Haziel descrive 72 angeli serventi (o geni della Kabbalah) e questo numero mi ha riportato alle 72 vergini del Corano. Esiste una possibile connessione storica/culturale in merito?
Igor Sibaldi: Certamente. Il numero 72 (molto simbolico) è fondamentale nella mistica del Medio Oriente: nella tradizione ebraica è, già molto prima di Cristo, il cosiddetto «numero dei nomi di Dio», cioè la chiave per intendere tutti i modi in cui gli uomini hanno cercato di capire la divinità. E ogni volta che si parla di un qualche 72, anche nella tradizione islamica, si fa riferimento a quel tentativo di capire.
A.M.: In una sua conferenza intitolata “Al di là dei confini del mondo” espone alcuni particolari interessanti su Cappuccetto Rosso, sul fatto che il nome sia maschile e sulla stranezza di un lupo travestito che simula di esser la nonnina. Ritiene che tutta la tradizione favolistica sia da rileggere per comprendere, in chiave simbolica, la psiche umana?
Igor Sibaldi: Gli antichi erano affascinati dalla psicologia: erano giustamente convinti che sono conoscendo la psiche sarebbe riusciti a scoprire che cosa gli uomini sanno del mondo – e dunque anche cos’altro ci sia, nel mondo, che gli uomini non arrivano a sapere. Questo era uno dei significati dell’antico motto «Conosci te stesso!». Di psicologia parlavano le loro opere d’arte, i loro filosofi, i loro libri sacri (tutta la Bibbia è un immenso trattato di psicologia umana, divina e angelica). Una parte importante della cultura antichissima ci è arrivata attraverso le fiabe, specialmente quelle con protagoniste femminili, tutte risalenti a una cultura matriarcale che millenni fa fioriva sia in Europa sia nel Medio Oriente. A quanto pare, un punto focale di questa cultura era la cosiddetta iniziazione, cioè una serie di tecniche che miravano a far giungere la psiche di certi individui particolarmente dotati al di là di se stessa, in stadi evolutivi successivi: queste tecniche sono ben riconoscibili nelle fiabe, e mostrano che i matriarcali dovevano saperla lunga sulle dinamiche della psiche. Perciò è così interessante decifrare la simbologia delle fiabe.
A.M.: Chi sono i bambini indaco?
Igor Sibaldi: Penso che sia un piccolo equivoco, dovuto a un surplus di buoni sentimenti non ben gestito. Se ho ben capito, i bambini indaco sarebbero nuove generazioni più dotate di quelle che le avevano precedute. A me – e a moltissimi altri scrittori, psicologi, etologi, profeti, filosofi, fondatori di religioni – risulta che i bambini di qualsivoglia epoca siano più evoluti dei loro genitori, e che subiscano un’involuzione a causa delle istruzioni che ricevono da questi ultimi. Se c’è qualcuno «indaco» nelle recenti generazioni, saranno semmai quei genitori che finalmente si sono accorti di quanto i bambini siano più intelligenti di loro.
A.M.: Il simbolismo del 24 dicembre. Qual è il primo mito conosciuto che tratta questa data?
Igor Sibaldi: Difficile dirlo, data l’imprecisione delle cronologie antiche: ma era il compleanno di Dioniso, in Grecia, e di Horo, in Egitto, qualche millennio prima di diventare anche il compleanno di Gesù.
A.M.: In Europa il termine “Atman” è stato tradotto con il pronome riflessivo “sé”, ma una trasposizione più vicina all’originale è “soffio” “spirito” e, come racconti in una conferenza, “danzatore” nel senso di “uno che sei tu ma che non esiste”. In aramaico abbiamo “Nèfesh” per indicare “soffio vitale” ma anima il corpo fisico, mentre se ho capito bene l’Atman è un’energia più alta situata nella psiche e dunque mi chiedo e ti chiedo: potrebbe essere identificata con “Neshamà”? E, seconda domanda per l’argomento gestione dei sentimenti, se la triade è Atman, Atman limitato e sensi, dove è situata l’Ombra ed in che modo impedisce di parlare con l’Atman?
Igor Sibaldi: Non penso sia una triade (e in questo territorio non c’è risposta sensata che non cominci, umilissimamente, con «penso» e «non penso»). Penso sia una moltitudine di punti, ciascuno dei quali esigerebbe di essere considerato, dagli altri, il punto principale, il centro. E lo esigerebbe perché, se ci riflette per conto suo, ha troppi dubbi per pretendere a tale posizione. Quanto ai nomi delle anime nella tradizione ebraica, è bene considerare gli influssi che hanno alimentato e perturbato tale tradizione: da una parte gli Egizi, con la loro accuratissima, barocca topografia della psiche umana, e dall’altro Aristotele, con la sua avara sistematicità. L’influsso di Aristotele prevalse, e l’anima secondo la tradizione ebraica risultò tripartita: così come secondo Aristotele le anime dell’individuo erano tre, allo stesso modo nella tradizione ebraica c’era NEFESH, che indicava l’anima vegetativa, ovvero ciò che dà impulso vitale agli organi del corpo, c’era NESHAMAH, l’anima senziente, riflettente, e c’era RWAKH, lo Spirito, l’elemento ineffabile della psiche umana – o, come potremmo dire oggi, il nostro principio di identità al di fuori dal mondo noto, nel cosiddetto «Aldilà»… Anch’io, come te, ho la netta sensazione che a questi influssi debba aggiungersi l’elemento indiano, shivaita soprattutto, che certamente agì nella mitologia occidentale per via dei contatti marittimi con l’India, attraverso il Mar Rosso. Quanto alla splendida immagina shivaita a cui ti riferisci (secondo la quale l’ATMAN, lo Spirito di ognuno di noi, è il danzatore di cui bisogna contemplare i movimenti, mentre la nostra personalità è soltanto il suo arredo scenico) penso che quell’ATMAN danzante sia lo Spirito. RWAKH, che propriamente significa «vento»: vento messaggero di altre dimensioni, che si avverte soltanto fuori dal territorio del linguaggio logico, nella danza, nei gesti istintivi, nei sentimenti inspiegabili. Davvero la psicologia antica scorgeva orizzonti più ampi della nostra frenatissima psicologia occidentale attuale!
A.M.: Può consigliare ai nostri lettori una sua pubblicazione da consultare per iniziare questo cammino di conoscenza?
Igor Sibaldi: I confini del mondo, pubblicato da Arte di Essere e da Tlon, tratta proprio delle fiabe e delle iniziazioni. Ma per chi volesse cominciare a fare amicizia con me, suggerirei un libretto che ho scritto in collaborazione con il mio gatto Wellington: si intitola Il tuo aldilà personale, edito da Spazio Interiore.
A.M.: Quali sono i prossimi eventi dal vivo in programma?
Igor Sibaldi: Sono tanti quest’anno: è facile seguirli, sulla pagina facebook.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Igor Sibaldi: C’è una bellissima frase del I secolo d.C., che fa sempre cose interessanti: la scrisse un certo Iakobòs, Giacomo, nella Lettera di Giacomo, che si trova nella Bibbia: «Non avete perché non chiedete; e se chiedete ma non ricevete, è solo perché chiedete male». Grazie e a presto!
A.M.: Igor, ringrazio per il tempo dedicato alle mie domande. Saluto anche io con una citazione tratta dal Libro di Giobbe: “L’uomo oppresso conosce solo la sua miseria.”
Written by Alessia Mocci
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