FEFF 2017: Sezione Classici Restaurati – “Cain at Abel” di Lino Brocka

Udine. Giovedì mattina è il turno dell’unico film filippino cui ci approcciamo come web media partner, appartenente alla sezione, appuntamento costante di anno in anno, riservata alle pellicole restaurate.

Cain at Abel di Lino Brocka

Nel Paese del Sud-est asiatico si incontra lo stesso problema che qui in Italia si registra con un gran numero di produzioni della prima parte del secolo scorso, ovvero il loro diffusissimo smarrimento.

Cain at Abel” (aka “Cain and Abel”) rappresenta una singolare eccezione, specie se si tiene in debito conto anche la qualità fotografica successiva al recupero.

Lino Brocka, cineasta poco conosciuto al di fuori dei confini natii per quanto nominato ben due volte alla Palma d’oro, è morto in un incidente automobilistico all’età di 52 anni: in un ventennio ha posto la firma a circa 60 lungometraggi.

Il titolo presente rientra fra i 5 da lui diretti nel 1982; uscito in patria, fino ad oggi non aveva mai varcato l’oceano, sicché quella del 19esimo Far East Film Festival si caratterizza quale sua première internazionale.

Teatro principale della vicenda è la grande tenuta di provincia che un’anziana, ricca ed inferma possidente (interpretata da Mona Lisa, autentica leggenda locale attiva fin dagli anni ’30 e in seguito fino al 2005) ha affidato al primogenito Lorenzo (Phillip Salvador); di punto in bianco torna in visita Ellis (Christopher de Leon), il quale a differenza del fratello non ha abbandonato il percorso di studi: al suo seguito c’è Cita (Carmi Martin), compagna universitaria in vesti succinte, agli atti nuova fidanzata con cui intende sposarsi.

La Señora Pina, d’impianto conservatore e preoccupata di quello che la gente nei dintorni possa pensare della sua casata, pone loro il veto al matrimonio, cosciente dell’atteggiamento eccessivamente libertino per cui si è sempre distinto il secondogenito, in passato già responsabile della gravidanza di diverse donne, compresa l’attuale massaia Rina (Cecile Castillo), divenuta la prima ad essere pagata dalla matriarca non per abortire, bensì per partorire, ed ora mantenuta assieme al figlio neonato in cambio della sua fedeltà.

Cain at Abel di Lino Brocka

Nonostante ciò il favore nei confronti di Ellis non tarda a sopravvenire, offertosi egli stesso di sostituire Lorenzo nella gestione dei poderi in modo da autorizzare la permanenza di Cita; venuto a conoscenza del consenso rilasciato dalla madre, ormai prossima alla stesura del testamento e testardamente chiusa nella sua ottusità, Lorenzo le rinfaccia con rabbia di non essere mai stato considerato all’altezza del fratello e abbandona la dimora per trasferirsi con la moglie Becky (Baby Delgado) e i figli.

Sull’onda dell’aggravarsi dei mai sani rapporti fra Ellis e Lorenzo, da tutti riconosciuta nel primo la figura dell’adulto giocoso (per piacere ai nipoti porta con sé regali, si atteggia a prestigiatore, si diletta al pianoforte), mentre nel secondo quella del genitore burbero con la prole, che alle cure della famiglia e degli affari preferisce mantenere stretta l’amicizia coi compagni ubriaconi, si formano due bande oppositive coagulate attorno ai fratelli.

Va evidenziato a questo segno che, ancor prima lo si dica esplicitamente per voce di uno dei più agguerriti sostenitori di Ellis, il quale per indole ripudia ogni azione impetuosa e in quanto a farsi valere è inferiore alla compagna, non è fuorviante da parte di chi assiste al film assecondare l’impressione di aver a che fare con una sorta di cugino asiatico di “Cane di paglia”: l’atmosfera di allarmante tensione che s’è creata, l’edificio d’un tratto accerchiato dalla fazione nemica pronta a sparare sugli artefici delle ingiustizie subite dal capo, richiamano legittimamente l’opera che Sam Peckinpah girò non più di 11 anni prima.

E come David (Dustin Hoffman) in Peckinpah, infatti, il figlio codardo si vede costretto a reagire alle aggressioni avversarie, precipitando in un gorgo di violenze e rappresaglie tale da fargli perdere la cognizione, al pari del consanguineo belligerante, del motivo primo per cui stia continuando ad alimentare una simile carneficina.

Cain at Abel di Lino Brocka

Muore Becky, incinta del terzo bimbo, muore Cita (in una sequenza di stupro della durata di circa 16 minuti, assente dalla versione disponibile a causa di un intervento censorio di stampo marcosiano che l’ha espunta direttamente dal negativo, facendone irrimediabilmente perdere le tracce), muore la vecchia Pina, muore Rina con l’infante fra le braccia: mentre i principali responsabili di questa catastrofe familiare restano in vita, a perire sono anzitutto gli innocenti, chi aveva tentato di ricucire le ferite, o comunque chi non ha mai avuto la mira di imbracciare le armi, pur magari ritenendo di agire secondo giustizia acuendo l’astio verso chi ha favorito provvedimenti illegittimi.

A completamento di un simile climax dichiaratamente tragico, al momento dell’a lungo sospirato tentativo di riconciliazione, avanzato peraltro da entrambi i fratelli, il dubbio ribollente soffoca ogni buon progetto che sembrava aver preso piede, cosicché il disastro non può che compirsi nel suo grado più alto e assurdo, terminando anche l’estrema occasione di riscatto.

Il dramma allestito da Brocka, tirando le somme, si contraddistingue per un accumulo ammirevole di spinose vicissitudini, da grande mélo generazionale: esordisce bene, solido nella sceneggiatura come solide paiono le interpretazioni. Quando tuttavia scivola nel thriller d’azione sanguinolento, la gradevole intenzione cui si era fatto in tempo ad abituarsi viene improvvisamente a mancare.

Non si impiega molto a scadere nel patetismo, sia in presenza di un dipartita prevedibile, sia trattandosi di un delitto terribilmente efferato.

Cain at Abel di Lino Brocka

La scelta del soggetto resta coraggiosamente truce, così come può esserlo ab origine l’insegnamento biblico, dove però, occorre notare, il pastore è interamente mondo da ogni colpa, diversamente da quanto accade in “Cain at Abel”, sia nella relazione tra fratello e fratello che nei riguardi di colei che ha messo entrambi alla luce.

Ma pur considerando l’intrinseca parzialità di cui la nostra visione è condannata a soffrire in eterno, non potendo in alcun modo colmare l’ellissi sopracitata né ricostruirne il vero servizio prestato all’economia complessiva del racconto, ammettendo inoltre la sincerità garantita dai propositi narrativi almeno sulla carta, il risultato ugualmente non convince del tutto, specie in corrispondenza di quelle cadute di stile a motivo delle quali ci si disaffeziona dai personaggi, tutt’altro che eroici, e si comincia conseguentemente a presentire la ragione per cui non verrà imboccata alcuna via di salvezza, cosicché anche il piacere della scoperta non potrà evitare di uscirne tarpato.

 

Voto al film

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

Info

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