“Saggio di traduzione – da Valéry e Verlaine” di Luciano Domenighini: le malinconie ed amare proiezioni
Interpretare e tradurre un testo o più testi, è fra gli esercizi letterari più complicati e tortuosi per chi si impegna a farlo.
Ancora di più se si tratta di tradurre autori di una certa difficoltà, vuoi per gli stili, vuoi per la comprensione non solo letteraria del testo, ma sopratutto dal punto di vista emozionale che l’autore/i ha voluto esaltare .
Luciano Domenighini con il suo “Saggio di traduzione – da Valéry e Verlaine“ (TraccePerLaMeta Edizioni), sceglie di tradurre il parnassiano Paul Verlaine con l’opera “Romances sans paroles” e due brevi poemetti di Paul Valéry già definito dai più come il poeta illeggibile, dai titoli “Jeune parque” e “Cimetiére marin”.
In particolare, quest’ultima opera pubblicata nel 1917, ha grandi difficoltà esplicative, 24 strofe in endecasillabo ricche di allegorie complicate che lo stesso Valéry ne ammise il difetto ma che comunque volle restare fedele a quella musicalità che tutto il poema esprime.
La complessità maggiore di traduzione per queste composizioni, anche se notevolmente diverse fra loro, sta proprio nel rischio di soffocare quella musicalità che nella creazione delle tre opere è stata esaltata da specifici stili metrici.
L’altra grande complessità è quella di scindere una buona tecnica di elaborazione a scapito di un’ essenza poetica lasciata ai margini, rischiando un’assenza di empatia tra il sentire del traduttore e la voce dell’autore da interpretare.
Domenighini elabora, senza perdere mai il senso della parola/forza e della narrazione lirica attraverso l’inserimento in doppio settenario (detto anche “alessandrino” oppure “martelliano”, dal nome P.J Martello il poeta che lo lanciò nella poesia italiana, imitando l’alessandrino francese.) Un lavoro piuttosto complicato per il ritmo, l’accento che dal francese all’italiano potrebbe avere stroncature o inesattezze di musicalità del verso.
In questo caso, con grande perizia e ascolto del messaggio il traduttore, non discorda mai dai testi originali, anzi ne sottolinea l’eleganza, le malinconie, le angosce esternate da una tipologia di autori che naviga in tal direzione mantenendo per quanto arduo, il ritmo e la cadenza musicale.
Domenighini sorregge e sostiene con fedeltà le opere marcandone le peculiarità e riuscendo a controllare le difficoltà che si impongono naturalmente fra l’intersecazione di uno stile metrico in italiano a quello che naturalmente nasce per mano degli autori in lingua francese.
Una scelta difficile che Luciano Domenighini elabora con grande rispetto del verso e della metrica portando di nuovo alla luce l’arte poetica verlaineana dai ritmi dispari pregna di malinconie e amare proiezioni e una nuova esegesi dell’ermetico e “illeggibile” Paul Valéry con i suoi brevi poemi dove imperano l’immaginazione e il dubbio, e dove l’io veggente e narrante pongono dogmi e riflessioni sull’esistenza umana oltre che sul senso del tempo.
Un viaggio letterario che Domenighini con abilità, osservanza e grande dominio letterario riesce a “leggere” fra quei richiami di chi ha lasciato grandi eredità di versificazione.
Una traduzione che rende pregio a qualcosa che di per sé ne ha grande quantità, dove l’attenzione al testo sa di rispetto, di amore e grande comprensione alla radice del pensiero autoriale.
Written by Marzia Carocci