“Moonlight”, film di Barry Jenkins: che cosa significa mascolinità, oggi?
“Chi sei Chiron?
Sono io, non sto cercando di essere nessun altro” risponde il protagonista di Moonlight. Ma è evidente che sta mentendo.

“Chi sei?”
Questa domanda, questa bugia, questa ricerca.
La straordinarietà del secondo lungometraggio di Barry Jenkins è quella di trattare un tema che è vicino a moltissime persone, eppure raramente portato sullo schermo (e ancora troppo raramente discusso): quello della mascolinità e dei suoi effetti normativi sull’identità.
Ci sono altri elementi che arricchiscono il film, tematiche razziali e d’orientamento sessuale molto importanti, che purtroppo hanno alimentato alcune polemiche (specialmente intorno alla vicenda della partecipazione – e vittoria – agli Academy Awards).
Se non ne tratterò direttamente è perché ci sono numerosi articoli che lo fanno con più cognizione di causa di quanto potrei mai fare io. Ma le polemiche intorno a questi aspetti della pellicola, ed al suo successo, sono davvero inutili per quanto mi riguarda; chiunque pensi che la visibilità guadagnata sia solo il frutto di motivazioni “politicamente corrette” probabilmente non ha visto il film.
Perché al di la del suo significato politico, Moonlight è semplicemente uno dei lavori più compiuti e potenti usciti negli ultimi anni.
Che cosa significa mascolinità, oggi? In che modo gli standard legati a questa parola plasmano le vite delle persone, soprattutto di quelle che non ci si riconoscono? Che cosa si diventa per adattarsi e sopravvivere?
La storia che vediamo scorrere sullo schermo ci mostra queste domande attraverso tre momenti fondanti nella vita di Chiron, attraverso il suo reagire, cadere, trasformarsi.
Attraverso il suo cercare parole che sembrano costare uno sforzo inaffrontabile, attraverso i suoi sguardi che rivelano dolore, paura, vulnerabilità.
“Quest’idea di voler essere toccati, ma avere così tanta paura di essere toccati” dice lo stesso regista parlando dell’elemento fondante della psicologia di Chiron.
Ci sono analisi molto interessanti sulla particolare difficoltà di trattare (pubblicamente) temi del genere all’interno della comunità nera americana, su come gli standard di mascolinità siano più forti e stringenti.

Ma, scrivendo dalla radiosa penisola italica, dove esistono floride sacche di popolazione che perpetuano idee di valori, modelli di vita, di rapporti di genere, di non ci sono più gli uomini di una volta, che sembrano rimasti fermi agli anni 50 (quando non direttamente al Pleistocene), mi sento di dire che “non ci siamo fatti mancare niente, signora mia”. E se vedendo scorrere questa storia non riconoscete almeno in parte le situazioni narrate, allora vuol dire che siete stati più fortunati di me.
Jenkins usa gli strumenti a sua disposizione nel migliore dei modi, dalla fotografia al montaggio, dalle musiche alla direzione degli attori.
Moonlight non è certo un film che esaurisce il suo valore nel “tema”, anzi utilizza ogni elemento nel migliore dei modi, passando dal realismo più trattenuto al lirismo sfrenato senza il minimo sforzo od apparente dissonanza. La forma è sostanza, e Jenkins sembra saperlo benissimo.
Il lavoro attoriale è eccellente su tutti i fronti. Spicca in particolare tra i ruoli di supporto Mahershala Ali nella parte di Juan, lo spacciatore che diventa una figura paterna e di riferimento per il piccolo Chiron, che lo prenderà poi a modello per la sua “trasformazione” adulta (facendoci chiedere se anche l’immagine proiettata da Juan, e la sua capacità di riconoscere Chiron, non siano frutto di un percorso segnato dallo stesso tipo di oppressione).
Ali infonde al personaggio una tale profondità e sensibilità che è difficile non restare impressionati, dando vita ad una figura lontana anni luce dallo stereotipo visto troppe volte di “spacciatore nel ghetto”.
Anche i tre attori che ritraggono Chiron nelle diverse vita riescono a creare un personaggio vivo e tridimensionale, nonostante spesso – soprattuto nei momenti importanti – Chiron eviti l’utilizzo delle parole.

In particolare è straordinaria la prova di Trevante Rodhes, che ha il compito difficile di navigare tra la rappresentazione di una mascolinità estrema, e la rivelazione che è solo una maschera, costruita per difendersi e non soccombere al mondo. Come si dice in questi casi, se avete un cuore e non lo sentite scricchiolare almeno nel terzo atto, forse dovreste andare a farlo controllare dal medico.
Moonlight è un film riuscito ed importante sotto ogni punto di vista, ed il tema che affronta, il modo in cui lo affronta, non potrebbero essere più rilevanti in questo specifico momento storico.
Per cui fatevi del bene, andate a vederlo. A meno che non siate maschietti preoccupati che quando scendono le lacrime si rischi che cada anche il pene. In quel caso mettete le mutande di ghisa e passa la paura.
“- Tu piangi?
– Nah. Mi viene voglia. Tu per cosa piangi?
– A volte piango così tanto che mi sembra di trasformarmi in gocce.”
Written by Corrado Meraviglia