“Il buio” di Francesco Bennardis: un importante percorso di condivisione che porta ad alleviare il dolore
“La morte di un figlio è un abito stretto che ti toglie il respiro. Vorresti sfilartelo, ma non puoi: ormai ti si è cucito addosso e non potrai più separartene.”

“Il buio” (Sensibili alle foglie, 2016) è il romanzo d’esordio del romano Francesco Bennardis, classe 1971.
L’autore ha scelto una narrazione particolarmente difficile per affacciarsi al mondo letterario, per un duplice motivo: egli scrive in prima persona, nei panni di una donna; parla di un dolore semplicemente impossibile da rendere, quale quello della morte di un figlio. Ecco quindi che, alla luce di questi fatti, posso affermare che egli abbia superato egregiamente la prova.
Il lettore è indotto ad immergersi in tutte le sfumature di un dramma che fa sprofondare chiunque lo provi nel buio più cupo, metafora dell’allontanamento di ogni capacità cognitiva volontaria, per “lasciarsi vivere” senza più riuscire a provare nulla.
“Il dolore è un serpente viscido che cambia forma assumendone sempre una nuova. È un pozzo buio di cui non si conosce la fine, una bottiglia di veleno che ti brucia la gola e più brucia più ne bevi, per il solo gusto di farti male, di annientarti”.
Ma le ferite, anche quelle profonde ed incise nell’anima provocate dalla morte di un figlio, sono destinate a cicatrizzare, seppure non guariscano mai. Perché la vita va avanti, e l’istinto di sopravvivenza è portato a trionfare, per quanto possa sembrare incredibile. E soprattutto, gli ostacoli del dolore si superano attraverso la condivisione, unica cura possibile.
Siamo ad Ustica, ed è il 1980. Un anno che, al dolore privato di Irene e Antonio, una coppia che ha perduto l’amato figlioletto Flavio investito da un camion mentre era in procinto di recuperare dalla strada un pallone, fa da contraltare il susseguirsi di tre grandi tragedie collettive.
Prima il disastro aereo del 27 giugno, a cui l’isola vede da sempre accomunato il suo nome; in seguito, il 2 agosto la bomba alla stazione di Bologna; in novembre il terremoto dell’Irpinia. Irene è una donna distrutta dal dolore, che in un primo momento si seppellisce nel letto, incapace di reagire, perdendo anche l’interesse per il marito.

Alzare il dito e accusare Antonio d’incuria diventa facile, visto che Flavio quel giorno era affidato a lui; ma con l’aiuto dell’amica Silvia, e dell’amore dello stesso Antonio che non molla la presa, la rinascita sarà possibile. E proprio un personale contributo nei soccorsi ai terremotati, sarà un segno tangibile che del domani possa esserci ancora qualche certezza.
L’autore ha saputo descrivere un mondo in cui ancora non ci sono i telefonini, e l’isolamento di Ustica – soprattutto nei giorni di vento – contribuisce a “congelare” il fascino di un’ambientazione senza tempo.
L’immedesimazione nella parte femminile è ben riuscita, salvo in qualche piccola sfumatura che ho percepito in Irene, mentre descrive il proprio seno. Oppure nel rapporto con l’amica Silvia: forse noi donne siamo meno “fisiche” nelle descrizioni, ma è davvero poca cosa.
Nel complesso, “Il buio” è un romanzo coinvolgente, che fa totalmente immergere il lettore nella Sicilia degli anni Ottanta.
Un po’ surreale il finale; ma d’altra parte, è così bello credere nelle imprese eroiche che l’ho amato ugualmente.
Written by Cristina Biolcati