Intervista di Irene Gianeselli all’attore Simone Francia: non sfugge al passato, chi dimentica il passato

Simone Francia è nato ad Alessandria il 10 giugno 1982. Nel 2006 si diploma in recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Si è formato, in particolare, con i maestri Mario Ferrero, Lorenzo Salveti, Mauro Avogadro e Giancarlo Sepe.

Simone Francia

Tra gli spettacoli cui ha partecipato, in qualità di attore e/o musicista, si possono annoverare: La resistibile ascesa di Arturo Ui di B.Brecht, regia di C. Longhi, co-produzione Emilia Romagna Teatro e Teatro di RomaUn Paese a civiltà limitata di Paolo Sylos Labini, regia di C. Comencini; Il Romanzo di Ferrara, riscrittura teatrale di Tullio Kezich da Bassani, regia di P. Maccarinelli; Cechoviana, regia di Mario Ferrero; La Tempesta di W. Shakespeare, regia di Lorenzo Salveti; Franco Quinto di F. Durrenmatt, regia di L. Loris; Rumors di Neil Simon, regia di M. Chiesa; Il cerchio di gesso del Caucaso di B.Brecht, regia di Beppe Navello; Amata Mia, regia di Giancarlo Sepe.

Per la televisione ha recitato in alcune fiction, tra cui Sotto il cielo di Roma – Pio XII, regia di C. Duguay e Distretto di polizia 7, regia di A. Capone. Durante le ultime due stagioni ha lavorato al progetto Il ratto d’Europa (2013 e 2014, co-produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro di Roma).

È stato formatore per il progetto di alta formazione artistica, promosso da ERT Fondazione, Accademia Filarmonica di Bologna e CUBEC Accademia di Belcanto, Raccontare il territorio: per un’idea di teatro condiviso (2013-2014). Nell’autunno 2014 ha lavorato nella commissione artistica-organizzativa del progetto Beni Comuni Un teatro partecipato, per una cultura condivisa, finanziato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e promosso dal Comune di Carpi in collaborazione con ERT Fondazione e ATER.

 

I.G.: Ti ringrazio per la disponibilità. Come hai scoperto il teatro?

Simone Francia

Simone Francia: Facevo pulizia in camera, ho alzato il tappeto per togliere la polvere e… sbam! Era lì sotto! A parte gli scherzi. Più che scoprirlo, il teatro, me lo hanno fatto scoprire. A scuola, ogni tanto negli anni con la classe ero stato a teatro: lo trovavo interessante, ma niente di più. A Liceo, poi, durante un’ora di Inglese, la mia Professoressa mi chiese se volevo provare le selezioni per il corso di teatro che si teneva ogni anno; ero molto riluttante, anzi proprio non volevo, poi per non subire l’insistenza della prof, accettai. Da lì, una cosa tira l’altra… ad un certo punto decisi che avrei potuto considerare il teatro come il mio lavoro e siccome non ci si può improvvisare attori, pensai che sarebbe stato fondamentale frequentare una scuola.

 

I.G.: Puoi raccontarci il tuo percorso di formazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico?

Simone Francia: Raccontarlo in poche parole, sarebbe difficilissimo! Sicuramente se un allievo la frequenta con cognizione e umiltà è un percorso che ti fornisce tutte le basi tecniche necessarie per affrontare poi, una volta usciti, questo mestiere. Sono anni molto intensi e spesso duri, ma riservano grandi soddisfazioni. Quello che sicuramente ho imparato è che una volta finita l’Accademia (che tra l’altro quest’anno festeggia i suoi primi 80 anni) non sei ancora un attore, ne hai solo sviluppato delle competenze. Il difficile comincia dopo. E questo è bene che tutti i ragazzi che vogliono tentare questa strada lo abbiano ben presente. Entrare in una scuola non vuol dire essere arrivati.

 

I.G.: Ti sei formato in particolare con i maestri Mario Ferrero, Lorenzo Salveti, Mauro Avogadro: cosa hai imparato da ciascuno di loro?

Simone Francia: Inizio subito con Mario, che è quello che considero più di tutto come il mio Maestro. Ferrero o lo ami o lo odi, le mezze misure non sono permesse, perché lui stesso non aveva mezze misure. Per un giovane allievo che entrava in Accademia nel 2003, il suo teatro poteva risultare datato, e molto probabilmente era così, ma Mario aveva la capacità, se si sospendeva il giudizio, di farti capire l’essenza del mestiere. Da lui ho imparato il rispetto per il pubblico, che è parte integrante di uno spettacolo; che la recitazione è un testo portato da degli attori a un pubblico. Ovviamente crescendo il gusto personale e lo stile di un attore si modificano, ma per quanto mi riguarda, Mario mi ha insegnato a recitare; e ancora a distanza di anni, mi ritrovo a pensare, di fronte a certi modi di approcciare una battuta o un testo che all’epoca trovavo desueti… “Aveva ragione lui, maledizione!”. Sarò sempre grato a Salveti per il suo lavoro sulle intenzioni e Mauro è stato fondamentale per capire come un testo e una battuta possano essere interpretati in maniera più profonda, meno scontata; a decostruire una frase e a dare valori e pesi diversi alle parole.

 

I.G.: Il ratto d’Europa nella stagione 2013-2014 e Carissimi Padri nella stagione 2015-2016 sono due progetti in cui sei stato protagonista, diretto da Claudio Longhi. Sono progetti che hanno previsto anche un lavoro didattico capillare. Qual è il teatro che cercate di insegnare attraverso i numerosi atelier aperti al pubblico e quale è stata la tua personale esperienza?

Simone Francia

Simone Francia: Il teatro che ha bisogno di partecipazione. E con questo non intendo che più gente dovrebbe andare a teatro, ma al contrario che il teatro debba scendere dal palco e avere la capacità di coinvolgere più attivamente lo spettatore nel quotidiano. Eliminare la convinzione che gli attori, o meglio, chi fa teatro sia una entità astratta che appare su un palcoscenico per qualche ora e poi svanisce nel nulla. “Sono qui, sono io! Costruiamo qualcosa insieme!”. E per fare questo è necessario costruire un rapporto stabile con il territorio di riferimento, sopratutto oggi che le riforme sul teatro e il periodo economico sembrano portare sempre più il teatro verso la direzione della stanzialità.

 

I.G.: Il rapporto con il territorio è un altro aspetto particolarmente importante in questi progetti e in quello di alta formazione artistica Raccontare il territorio: per un’idea di teatro condiviso (2013-2014), promosso da ERT Fondazione, Accademia Filarmonica di Bologna e CUBEC Accademia di Belcanto. Ce ne parli?

Simone Francia: Il nostro gruppo di lavoro, ormai da anni, sta lavorando per costruire questo rapporto stretto con la comunità cittadina in cui operiamo. I progetti che proponiamo prevedono una forte partecipazione e formazione del pubblico. Si concludono con uno spettacolo vero e proprio di noi attori del gruppo, ma sono preceduti da almeno un anno di lavoro in cui coinvolgiamo scuole (con lezioni-spettacolo, laboratori drammaturgici in cui i ragazzi stessi lavorano sulla composizione e messa in scena di un testo), associazioni culturali e artistiche (con serate di letture dove si mettono in condivisione le reciproche competenze) e tutte le realtà aggregative proprie di una comunità. Insomma si tenta di stimolare alla partecipazione la città o un territorio a 360 gradi. Raccontare il territorio è stato uno di questi progetti, come il già da te citato Ratto d’Europa e l’attuale Carissimi padri. Carissimi Padri è un progetto che nasce a seguito di diverse considerazioni sull’ attuale situazione politico-sociale (e di conseguenza economica) dell’Europa. Chi sono i nostri “Padri”? Che eredità ci hanno lasciato? Per tentare di rispondere a queste domande o meglio per fornire degli elementi di lettura dell’oggi, in occasione del centenario della Grande Guerra, si è pensato di cercare in quel momento storico straordinario e terribile al tempo, che fu la Belle Epoque. Straordinario perché l’Europa attraversò un periodo di prosperità, pace e innovazione tecnico-scientifica come mai prima; terribile perché in questo stato di grazia il mostro di un conflitto così devastante si insinuò indisturbato e gli Europei ci si ritrovarono dentro come dei sonnambuli (come spiega in maniera molto chiara Christopher Clark nel suo libro che porta appunto il titolo “I Sonnambuli”). Studiando quegli anni ci siamo accorti che le analogie con il presente sono tristemente evidenti e facendo fede al buon Brecht che sosteneva che “non sfugge al passato, chi dimentica il passato” ci siamo proposti di analizzare e raccontare i meccanismi che hanno condotto a quella tragedia. Nel farlo abbiamo seguito il nostro “Modus operandi” di teatro partecipato. Il progetto è partito a Modena nel 2015 e quest’anno si concluderà a Firenze ad Aprile con la replica dello spettacolo finale  Istruzioni per non morire in pace.

 

I.G.: Ugo Riccarelli scrive in Il dolore perfetto (2004) «Le cose cambiano, avrebbe detto Telemaco, cambiano le stagioni e tutto torna, e forse pensare di sfuggire a questo rotolare è cosa ingenua, debole luce che contro il tempo non vale». Queste parole sembrano rimandare al teatro. In questi giorni si avverte un profondo distacco tra la società e il palcoscenico come se non si avesse più la volontà e la capacità di riunirsi per questo rito collettivo per prendere consapevolezza delle cose e del loro mutare. Una certa stanchezza è presente anche in molti attori. Come valuti la situazione attuale del teatro italiano?

Simone Francia

Simone Francia: Ci sono testimonianze in cui lo stesso Eschilo afferma che il Teatro era in crisi ai suoi tempi. Il teatro attraversa sempre dei momenti difficoltosi per sua natura. Certo il periodo economico non aiuta, e il sistema Teatro non è più quello di venti anni fa ma nemmeno di dieci. Sono convinto che, proprio per questo motivo, un attore debba rapportarsi sempre al sistema teatrale in cui vive. Oggi la figura dell’attore che si sveglia tardi va a fare le prove e poi la sera lo spettacolo, è destinata a scomparire. Il distacco dalla società di cui parli è anche figlia di questa percezione e ahimè anche dall’attaccamento di certi attori a quella idea. Ormai l’attore, il regista, il pedagogo, il drammaturgo non possono essere più figure disgiunte e specifiche. E più giusto parlare di operatore-culturale. Il teatro deve rinnovarsi e lo sta facendo, piano, con tanta difficoltà, ma lo sta facendo. E per farlo occorre rimboccarsi le maniche e (passami il termine) “sporcarsi” le mani.

 

Written by Irene Gianeselli

Photo by Alessandro Pensini

 

 

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