“Pienamente Vivi – La scoperta della cosa più importante” di Timothy Shriver: il divertimento che dura
“Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze.” – Il giuramento dell’Atleta Special Olympics
Estate 1968. Un gruppo di ragazzi riempie le strade di una cittadina americana. Sono lì per disputare una straordinaria gara di atletica. Una gara di atletica che avrebbe regalato momenti di vera commozione. Era la gara di atletica dei trecento yard a cui partecipavano sette atleti, sette atleti i cui nomi si sono persi nel tempo: nessuno ricorda i nomi del vincitore, di chi vinse le prime medaglie. Ma qualcosa rimase nel cuore e nella mente di chi assistette e partecipò a quella gara.
Ecco cosa avvenne:
“Per i primi cinquanta yard il gruppo dei corridori rimase compatto, nessuno rimase indietro, Ma quando arrivarono ai 100 yard, uno dei corridori cominciò ad aumentare l’andatura e si portò in testa. Percorsero il tratto di ritorno ancora in gruppo, ma con uno di loro chiaramente in vantaggio. Imbucarono le curve finali tra le grida di incitamento dei volontari adunati intorno al perimetro della pista. Erano ancora abbastanza vicini da potersi sentire e vedere l’un l’altro; abbastanza vicini da stimolarsi a vicenda a scavarsi dentro alla ricerca di quel briciolo di energia in più; abbastanza vicini da capire che sarebbero state le ultime yard a coronare il vincitore. Ed eccoli percorrere quelle ultime cento yard, con il concorrente più veloce saldamente in testa, tallonato dagli altri sei, non ancora rassegnati alla sconfitta. Adrenalina pura, il traguardo in vista, il pubblico grida sempre più forte, l’energia è agli sgoccioli e allo stesso tempo al massimo.”
All’improvviso qualcosa accade. Qualcosa che lasciò a bocca aperta, qualcosa che merita tanti applausi più di quanto chi riuscirà a vincere, a salire nei gradini più alti di quel podio. Un podio molto speciale. Cosa accadde?
Ecco il resto del racconto: “Ma il concorrente in seconda posizione si inclina troppo in avanti e inciampa, finendo a gambe all’aria e razzolando sulla dura superficie della pista con un grugnito di dolore. E allora il concorrente in vantaggio, a pochi metri dal traguardo della vittoria, si ferma. Il suo amico è caduto. Si guarda indietro mentre gli altri lo superano senza rallentare e torna verso il suo amico, rimasto a terra, si china su di lui e lo aiuta a rialzarsi. L’altro si rimette faticosamente in piedi, zoppicando un po’, poi passa un braccio intorno alla spalle dell’amico. Camminano insieme verso il traguardo e lo superano per ultimi, abbracciati.”
Gli spettatori osservarono quanto accadde in silenzio. Non credevano ai loro occhi, ma all’improvviso iniziano gli applausi, applausi incessanti. Una vera apoteosi.
Solo pochi avrebbero fatto una cosa del genere, solo pochi atleti si sarebbero fermati per correre in aiuto ad un amico a terra, e forse anche solo poche persone comuni l’avrebbero fatto. Ma questa è una gara olimpica diversa dalle altre. Non si tratta delle Olimpiadi che vengono trasmesse in Televisione ogni quattro anni, quelle Olimpiadi che fanno tanto sognare milioni di atleti e amanti dello sport. No.
Anzi, stiamo parlando delle Special Olympics, ossia i giochi sportivi unificati dedicati alle persone con disabilità intellettiva, ragazzi che presentano “problemi” di autismo, sindrome di Down, disturbo sensoriale, e altri “disturbi dell’apprendimento”. Ragazzi che non hanno mai o in parte potuto frequentare le scuole, praticare sport, che hanno fatto tanta fatica a leggere, scrivere. Ragazzi che hanno faticato a costruirsi una relazione, a vivere normalmente questa loro situazione, vuoi perché i genitori avevano paura di fare sapere della loro presenza o perché pensavano che per loro sarebbe stato difficile farsi accettare dagli altri, costruirsi un domani, e per questo li tenevano sotto la loro ala protettiva.
Ma questi ragazzi, questi giovani adulti, questi bambini, non hanno voluto ascoltare questa paura, hanno voluto osare, anche se un po’ di paura ce l’avevano e ce l’hanno pure loro. Hanno insegnato a chi non credeva in loro, a chi non li comprendeva, a chi li derideva che anche loro valgono qualcosa, che non è giusto che solo perché sono diversi dagli altri senza problemi, non debbano farsi valere. Devono anche loro essere felici. Felici di osare, di provare, di vivere. Di credere in qualcosa di vero, di unico, qualcosa che possa abbattere qualunque barriera, qualcosa che possa aprire qualunque cuore. Qualcosa che possa donare a chi li osserva, a chi li accompagna un divertimento che dura, non un divertimento compassionevole, ma un divertimento più vero e unico. Più Empatico.
È questo il nocciolo della storia del romanzo quasi autobiografico di Timothy Shriver, presidente degli Special Olympics, “Pienamente Vivi – La scoperta della cosa più importante”, tradotto in lingua italiana da Stefano Salpietro – titolo originale “Fully Alive – discovering what matters most” – per la Casa Editrice Itaca, che l’ha pubblicato nel settembre 2016, a due anni dall’uscita della versione originale.
Un’autobiografia che racconta ogni momento decisivo che ha portato alla nascita di questo movimento voluto dalla mamma del nostro autore, Eunice Kennedy Shriver, sorella del 35° Presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, assassinato a Dallas il 23 novembre del 1963, a un anno dalla discussione e della preparazione di questo progetto di inestimabile valore, e del senatore Robert Kennedy, ucciso a Los Angeles nel 1968 alcuni mesi prima dell’inizio dei primi Special Olympics.
Perché Eunice ha voluto creare questo movimento? Quali motivi l’hanno spinta a far sì che qualcosa di molto importante e di estremo valore potesse dar voce a milioni, se non migliaia di bambini, ragazzi e adulti che presentavano sintomi di disturbo intellettivo? C’è stato uno scopo particolare? Ebbene sì, vi era uno scopo nobile per Eunice. Qualcosa che l’avrebbe cambiata per sempre, qualcosa che l’avrebbe fatta sentire fiera e felice di aver dato voce a queste persone emarginate dalla società, non riconosciute e tenute nascoste dai propri famigliari.
Forse non tutti sanno che tra i membri di questa famiglia vi era Rosemary, una bambina con problemi di disabilità intellettiva, che la famiglia Kennedy ha sempre voluto proteggere da sguardi indiscreti, da chi non comprendeva e non accettava le situazioni così delicate. Rosemary era nata disabile, quando “durante il travaglio la madre fu assistita da un’infermiera la quale, in attesa del medico, impedì a Rosemary di nascere, tenendola nel canale uterino per due ore in debito di ossigeno”, come leggiamo su Wikipedia. Visse assieme alla famiglia, cambiò sempre scuola e all’età di 23 anni fu sottoposta ad una terapia molto rischiosa e pericolosa, la lobotomia, che la trasformò molto e la famiglia fu “costretta” a nasconderla in un “ospedale”, da dove non uscì più e visse fino agli ultimi anni della sua vita. Il padre pensava che la figlia fosse d’intralcio per la carriera politica dei fratelli e così decise di sottoporre la figlia a questa terapia, sperando l’aiutasse a calmare gli sbalzi d’umore che la rendevano protagonista. Ma visti i risultati dopo preferì “far credere che era morta” per tanti anni, rifiutandosi di andare a trovarla nell’ospedale dove l’aveva fatta ricoverare in seguito all’operazione non andata come si sperava.
Ma Eunice non dimenticò la sorella. Pensava, come detto, a lei, quando volle creare gli Special Olympics. Voleva che altri avrebbero potuto avere quel miracolo che a sua sorella e ai tanti ragazzi con questa situazione, prima e dopo di lei che non avevano avuto diritti era stato negato.
Si dette da fare per permettere a queste persone di formarsi in ogni campo, istruirsi, crescere umanamente e insegnare ad altri cosa vuol dire vivere senza arrendersi, vivere perché si è felici di farlo, vivere per regalare attimi ovunque.
In questo movimento, in questa organizzazione si sono formati tanti bambini, tanti ragazzi, tanti adulti capaci di dare un senso in quella loro vita. Di credere fino in fondo nella loro forza, nel non arrendersi, nell’insegnare che non vi è interesse in quello che fanno e credono.
Donando sempre il proprio cuore, il proprio insegnamento.
Quanti di noi sono Rosemary? Quanti di noi hanno vissuto a modo proprio esperienze di emarginazione, di intolleranza, di incomprensione? Questo non solo accade a ragazzi con questi problemi, ma anche a grandi eroi che hanno vissuto momenti particolari della loro vita. Un nome fra tutti Nelson Mandela.
Già, perché Mandela ha reincarnato il senso della vita vissuta con coraggio e determinazione, un coraggio che a pochi manca, o è mancato. Quella voglia di ricominciare, dopo anni di carcere, ripartendo dalle proprie origini, insegnando il valore dell’umiltà e della semplicità. Quei valori che solo pochi riescono a comprendere, a valorizzare con estrema semplicità e dolcezza. Mandela è stato uno dei pochi leader, Leader con la “L” maiuscola, a donare qualcosa di speciale che si poteva, si può cogliere nelle persone che hanno subito atti di emarginazione, di incomprensione.
In questo libro, il nostro autore ci accompagna in ogni angolo della vita di alcune persone con disabilità, ci fa conoscere diverse storie, storie di vita che meritano di essere ascoltate, accettate. Ci porta a intraprendere viaggi nei tempi in cui questi giochi si sono disputati, queste persone hanno partecipato, Ci porta a conoscere quelle persone che hanno dato man forte nel progetto voluto ardentemente da sua madre per non dimenticare chi amiamo, chi ci sta accanto
Conosciamo così Loretta, Daniel, Donal e tanti altri ragazzi che hanno ispirato la vita dell’autore, di chi li ha conosciuti, accolti e visti lottare per qualcosa in cui credono e credevano davvero. Nel loro desiderio di farsi apprezzare, accettare da chi non smetteva di prenderli in giro, screditarli, di non permettere loro di farsi valere, crescere.
Perché chi ha detto che questi ragazzi non meritano di farsi una vita? Di non avere uno scopo? Quanti di loro sono ancora oggi nascosti dalle loro famiglie che ancora faticano a farli riconoscere, a donare loro un briciolo di affetto, a permettere che scelgano di essere felici, felici di poter vivere, di poter realizzare quello in cui credono, quello che più desiderano al mondo?
Ci saranno persone come loro che non riescono a farsi valere, anche se lottano per un posto al sole, anche se fanno di tutto per cercare questo loro diritto. Un diritto che non si può negare, che non si deve negare. Perché ognuno di loro, qualunque sia la propria situazione, ha diritto di sapersi realizzare, anche di amare, di innamorarsi, di donare sé stessi. Di far innamorare.
E ci provano regalando questi attimi in chi li osserva, in chi li cerca, anche solo tramite queste attività di sport unificato – Unified Sports – squadre di Special Olympics formate da ragazzi con o senza problemi di disabilità intellettiva e altri tipi di disabilità. E in queste attività si scopre il “divertimento che dura”, quel “divertimento che lascia senza fiato, anche più di una mattinata trascorsa a Disneyland”, come disse Sam uno dei figli dello scrittore che interrogato dal padre su cosa provavano lui e i fratelli quando assistevano a queste gare gli rispose “Quando andiamo a Special Olympics e giochiamo con gli atleti e facciamo il tifo per Matt, o DJ, o Maureen o Peter o Joelle e gli battiamo il cinque, è un altro tipo di divertimento. È un divertimento che dura. Non passa. Capito?”
Esempi ovunque, esempi che insegnano tanto.
“Pienamente Vivi – La scoperta della cosa più importante” è la storia di un movimento, di un’organizzazione che si sta sviluppando in tutto il mondo, creando squadre di ragazzi con o senza disabilità intellettiva capaci di regalare in tanti di noi qualcosa di bello, di unico, di durevole.
È la storia di una famiglia, la famiglia Kennedy, ma anche di tante altre famiglie con membri che presentano situazioni di disagio, che ha deciso di far conoscere la storia di Rosemary per far in modo che quello che è capitato a lei non possa più accadere. Che questi ragazzi possano riscattare la loro voglia di essere coloro che sono, non quello che hanno.
Qualcosa che ho sempre cercato di fare anche io, con il mio handicap uditivo e visivo, cercando di non arrendermi mai, di farmi accettare per la persona che sono, non per il problema che ho, ma anche di portare avanti qualsiasi progetto iniziavo, andando sempre contro questo problema, cercando di non farlo sembrare un problema anche per chi sta costruendo un nuovo rapporto di amicizia con me. Perché ogni progetto che ho costruito nel corso della mia vita ha avuto e tuttora ha un significato molto importante per me. Tutti, nessuno escluso, come la voglia di condividere il bello con coloro che hanno piacere, la voglia di stare con persone piacevoli che ti apprezzano davvero, non quelli che lo fanno solo per farti piacere o per interesse, ma anche la voglia di scrivere poesie, di raccontare libri e tante altre cose che mi rendono viva. Uno fra tutti il progetto di scrittura che sto portando avanti con “Oubliette Magazine” e con altri ragazzi della redazione, un progetto di inestimabile valore, un progetto che merita di essere apprezzato, stimato. E non mi fermerò (e ci fermeremo), perché l’ho desiderato, voluto con tutto il mio cuore, come Eunice Kennedy Shriver ha desiderato la nascita di Special Olympics e Sport Unified.
È la storia di Loretta Claiborne che, dopo aver disputato varie gare di Special Olympics, è diventata ambasciatrice di questo movimento, viaggiando con il presidente Shriver in ogni parte del mondo a promuovere le varie iniziative, cui Special Olympics e Sport Unified si rendono partecipi.
O di Donal e di tanti altri ragazzi che hanno fatto la storia di questi giochi olimpici, di questi Special Olympics.
È la storia di una vita trascorsa cercando di capire, di ascoltare anche in silenzio, l’urlo di chi viveva e vive ai margini della società, cercando di uscire da quell’oblio infinito di derisioni, incomprensioni e “lascia perdere”. È la storia di un uomo, Timothy Shriver, che ha deciso di portare avanti il progetto di sua madre ovunque nel mondo, facendolo conoscere anche in paesi con una politica piuttosto rigida, come la Cina e la Russia e altri paesi ancora. E ora quest’organizzazione è diffusa in più di 150 paesi.
È “Special Olympics” un modo di vivere lo sport, e la vita in generale, senza disagi, seppure vi siano ancora tanti ragazzi con queste disabilità che vivono ancora situazioni di discriminazione, di emarginazione. Riusciremo un giorno a vincere contro questa discriminazione? A farci rispettare da chi ci prende in giro? Da chi ci usa per i propri interessi? Ci sarà mai un mondo senza discriminazioni? Ci sarà mai un mondo dove tutti possano vivere la propria vita senza difficoltà, senza sentirsi un peso? Arriverà mai quel giorno?
Ricordiamoci il senso della vita grazie anche a queste parole della scrittrice Alice Walker, che penso possano incarnare il senso di tutto questo descritto tra le pagine di questo meraviglioso libro, “In ogni tipo di lotta c’è sempre un momento in cui ci si sente sbocciare. Splendenti. Vivi. […] Vivere momenti come questi o assistere a tale esplosione di trascendente presenza in qualcu altro permette di riconoscere che ciò che è umano è legato, da un ardito confronto, a ciò che è divino. Durante gli anni in cui sono stata vicina a persone impegnate a cambiare il mondo, ho visto la paura tramutarsi in coraggio, il dolore in gioia, un funerale in una festa. Perché qualunque siano le conseguenze, le persone, stando fianco a fianco, hanno espresso la loro vera identità e hanno potuto farlo perché hanno creduto abbastanza all’amore per il mondo e per il prossimo.”
“Pienamente Vivi” è il grido di tante voci che desiderano vedere rispettati i propri diritti, la propria vita, il proprio domani. Ma è anche il grido di chi non è riuscito a farsi riconoscere quel diritto negato, di chi non è più tra noi e avrebbe dato qualcosa per poter vedere esplodere questa forza paragonabile a un cuore che vibra di gioia pura sempre pronto ad “assaltare il castello”.
Un cuore innamorato, pazzo di gioia e di incanti.
“E allora ovunque tu sia e qualsiasi cosa tu stia facendo, vicino a te c’è un castello che solo tu puoi assaltare. Non perdere nemmeno un secondo, scegli il tuo obiettivo, sii coraggioso e divertiti. È sufficiente avere la volontà di metterti in gioco e di credere. Solo partecipando avrai la certezza di vincere la medaglia più importante.”
Written by Daniela Schirru