Le métier de la critique: relazioni tra la teodicea di Lucio Anneo Seneca e Giuseppe Ungaretti

Seneca è il filosofo stoico più importante dell’antichità, quello che attraverso i dialoghi ha portato a perfezione lo stoicismo greco, inserendolo entro una concezione della vita coerente e coesa, benché si possano rintracciare delle evidenti contraddizioni tra il lusso in cui viveva presso la corte di Nerone e gli ideali di una vita sobria che va pubblicizzando nell’opera.

God -Sistine Chapel - Teodicea

Questo tipo di incoerenza tra reale e ideale è, però, ammessa dalla cultura romana in cui il sapiente deve collaborare col potere anche a rischio di cadere in contraddizione. Ben diversa la filosofia greca socratica, in cui il sapiente è integerrimo nella condotta morale anche a costo di entrare in collisione col potere.

Entrambi i filosofi sono condannati a morte, ma Seneca, prima della condanna, sostiene ed educa l’imperatore Nerone, nel cosiddetto quinquennio felice, e se ne dissocia quando le aberrazioni cui giunge il potere non rientrano più nella sua visione del mondo guidata dal logos (la ragione stoica).

Secondo la concezione senecana, a ciascun uomo è assegnata dalla legge universale una parte di destino (la moira dei Greci) e l’uomo deve nobilmente sopportare quanto la Provvidenza laica ha disposto per lui.

La sofferenza è una legge universale e il compito del sapiente è quello di arginare la sofferenza attraverso la meditazione che lo conduca ad una condizione di equilibrio interiore attraverso la atarassia (assenza di dolore nel l’anima) e l’aponia (assenza di dolore nel corpo).

L’equilibrio non è uno status dato per sempre, ma una tensione ad essere in armonia con le leggi dell’Universo che è guidato, come l’uomo, da una forza provvidenziale razionale.

Ciò che è nel cosmo (che significa ordine) è nell’uomo, e la ragione è immanente all’uomo che si rispecchia nell’Universo. Siccome l’uomo è animale politico lo stoico collabora con il potere per il conseguimento di un ordine, ma può ribellarsi a questo, quando nulla lo soddisfa, fino a darsi la morte.

Celebre è il suicidio di Catone di Utica che stoicamente si diede la morte quando vive tramontato il sogno della Roma Repubblicana.

Lucio Anneo Seneca - Giuseppe Ungaretti

Lo Stoicismo ha condizionato il pensiero di tanta letteratura e filosofia; potremmo definire “stoico” anche Giacomo Leopardi soprattutto nella sua opera “La Ginestra”, quando invita tutti gli uomini a nobilmente sopportare il dolore, stringendosi in una catena umana di condivisione della medesima sorte.

Poeta della ribellione ad oltranza che, però, non ammette il suicidio per il dolore che si procurerebbe ad amici e parenti in questa compartecipazione universale del dolore.

Il dolore di Leopardi è il medesimo di Ungaretti, in quale tra l’altro vive l’umanità lacerata dalla guerra. C’è in Ungaretti una acuta sensibilità verso sofferenza umana che fa a brandelli l’uomo.

Il suo stesso verseggiare franto è espressione di un’anima che con la guerra ha perso la direzione e condivide con tutte le anime del mondo lo stesso patire. Il sentire il compagno morto accanto a sé lo fa sentire partecipe di una legge universale e quindi attaccato alla vita perché la vita stessa è dolore.

La guerra ha lacerato i corpi e le anime degli uomini e si è smarrita la ragione (il sonno della ragione che genera mostri), ma una ragione nel cosmo c’è, come nello stoicismo: l’uomo l’ha violata!

Sicché, nella lirica “I Fiumi”, ripercorrendo le acque in cui si è bagnato, si sente parte dell’Universo e sente di avere ancora molto da comunicare attraverso il suo canto all’Uomo e all’Universo.

In tanto disfacimento bellico ogni tanto si affaccia il “miracolo”, quando il poeta si abbandona nella ricostruzione di un equilibrio interiore condividendo il dolore umano e sentendosi “una docile fibra dell’Universo”.

Questo percorso lo condurrà nell’ultima fase poetica ad una conversione religiosa che non può esserci in Seneca.

 

Written by Giovanna Albi 

 

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