Le métier de la critique: Saffo tra antico e moderno, il culto di Afrodite come garante dell’omosessualità #1
Un abisso divide la Saffo antica dalle interpretazioni moderne. È cosa nota che dalla poetessa Saffo, la prima e la più grande di tutta la cultura occidentale, sono nati il termine “saffico” e “saffismo”, ricondotti ad una dimensione omosessuale.
Ma, mentre l’omosessualità femminile moderna comporta un riconoscimento di una sessualità femminile che si rispecchia in una sessualità femminile con tutte le giuste e connesse rivendicazioni di una coppia di fatto, questa dimensione era estranea al saffismo antico, in cui prioritario era il riconoscimento di un rapporto educativo/paideutico che non esiste nella nostra realtà contemporanea.
La poetessa Saffo, originaria dell’isola di Lesbo, è stata la fondatrice di una “casa delle serve delle muse” erroneamente chiamato “tiaso” per definizione dello studioso tedesco Wilamowtiz.
Non è assolutamente vero che le donne di Lesbo fossero in maggioranza omosessuali, anzi erano le donne più belle del mondo; andare a Lesbo per un maschio era assistere ad una autentica meraviglia, incontrando donne filiformi, leggiadre, armoniose, danzatrici, flautiste, che spesso avevano ricevuto l’educazione femminile nel collegio di Saffo. Qui conoscevano le arti amatorie e si avviavano a diventare donne nell’accezione più nobile del termine.
L’esperienza omosessuale che si viveva nel collegio di Saffo e nell’Accademia Platonica non è fine a sé stessa, ma va intesa come un tirocinio prodromico alla relazione eterosessuale. All’interno del circolo di Saffo c’era un tempio in onore di Afrodite, la dea di cui la Maestra era sacerdotessa; Afrodite era la mediatrice del rapporto Maestra/educanda, favoriva la relazione anche omosessuale ed era dispensatrice dei “doni d’amore”.
Afrodite tesseva tra le amanti una rete a fitte maglie, da cui era impossibile fuggire, vigeva la legge della reciprocità del sentimento, per cui non era ammesso che una fanciulla amata non ricambiasse in qualche forma il desiderio amoroso nutrito dalla maestra. Per accedere ai doni di Afrodite bisognava aver compiuto i sedici anni, perché non era ammessa la pedofilia, e relazione omosessuale non era fine a sé stessa, ma era una preparazione al matrimonio.
Per questo motivo le liriche saffiche sono spesso intrise di melanconia per il distacco che sicuramente la separerà dall’amata che dovrà andare sposa. A parte la Maestra, che è comunque sposata e ha una figlia, Cleis, che ama sopra ogni cosa, non è ammesso né per gli uomini né per le donne praticare l’omosessualità in età adulta, pena il discredito e la pubblica infamia (La Commedia di Aristofane docet).
Non bisogna quindi pensare che i Greci non fossero omofobi, lo erano di fatto, e l’omosessualità era vissuto come un rito di transizione. Come a dire, che, conosciuta questa esperienza, ci si era liberati da essa, e si era pronti ad una vita matrimoniale nella quale pur, oggi come ieri, si correva il rischio di non riconoscersi.
Il dramma dell’omosessualità che oggi attanaglia tante persone, nonostante le battaglie per fortuna vinte, non era estraneo al mondo greco e l’omosessuale era spregiato e vilipeso soprattutto se a livello fisico denunciava tratti di evidente effeminatezza. Le classi sociali più basse pagavano lo scotto di tale discriminazione, perché gli aristocratici erano più tutelati iscrivendosi o al “tiaso saffico” o all’’Accademia platonica.
Saffo dunque educava le fanciulle a diventare donne attraverso la pratica del telaio, del canto, della danza, della musica, anche se spesso le donne non potevano sfuggire a quel regime di segregazione in casa in cui le relegava la nota misoginia greca. A questo proposito rinvio ai libri illuminanti di Eva Cantarella, da cui si evince come la donna fosse vissuta come un “malanno” nella civiltà greca.
Certo l’atmosfera che si viveva nell’isola di Lesbo non è paragonabile a quella della Grecia continentale. Nonostante le ovvie differenze, lungo era ancora il cammino che portasse la donna greca ad una condizione di libertà, potremmo parlare di “libertà vigilata” in una realtà di fatto fallocentrica.
Il Pantheon greco, che rispecchia ovviamente la realtà sociale greca, mette al centro la figura di Zeus, come dire che l’uomo domina senza dubbio la figura femminile. Saffo quindi si acconciava, suo malgrado, a lasciare le sue fanciulle destinate ad una vita coniugale non sempre felice e talora anche contraria all’orientamento sessuale delle fanciulle, perché ieri, come oggi, c’era una quota non indifferente di omosessualità femminile sommersa.
Di qui le lacrime versate da Saffo sui cuscini sui quali si era consumato l’amore e la saudade che attraversa la sua lirica, il rimpianto e il ricordo struggente e l’inseguimento dell’oggetto concupito che si allontana dalla vista anche proprio quando il desiderio è al culmine. Di qui una sofferenza struggente che porta Saffo a immaginare come un dio lo sposo che le ha rubato la fanciulla, mentr’ella cade in una vera sindrome amorosa che non dà tregua e si sente prossima alla morte. Quindi la necessità di ricorrere al soccorso di Afrodite che la consola, prestandole aiuto e ribadendo la legge della reciprocità in amore.
La poesia, in ogni caso, è l’estrema ratio della condizione saffica, l’ancoraggio sicuro, il luogo della condivisione e della rivoluzione valoriale della Maestra che rivendica il proprio diritto ad amare e a mettere al centro del suo mondo non ciò che viene universalmente riconosciuto bello, ma ciò che piace.
Di qui il significato universale della sua poesia, perché quanto scrive Saffo per le sue fanciulle è estensibile a qualsiasi soggetto innamorato, di qualsiasi sesso e orientamento.
Written by Giovanna Albi
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