“Kubo e la spada magica” di Travis Knight: un poema a cartoni per chi ama le storie senza tempo
Il ritorno alla narrazione epica nel cinema d’animazione oggi trova realizzazione grazie alla troupe di Travis Knight, esordiente alla regia in casa Laika, per la quale era già stato produttore di “Boxtrolls – Le scatole magiche” (che nel 2015 gli ha fatto guadagnare la sua prima nomination all’Oscar) e “ParaNorman” (2012).

“Kubo e la spada magica” si prospetta come una grande avventura di formazione al cui centro agisce un ragazzino dell’antico Giappone che vive in cima ad una rupe impervia con la laconica madre, profondamente segnata da un passato al tempo del racconto ormai impossibile da tacere.
Kubo è figlio di magici sortilegi e l’energia che scorre dentro di lui non si limita a renderlo un apprezzato menestrello che col suo shamisen pizzicato da un prodigioso bachi (il plettro usato per questo strumento a corda tipico della cultura nipponica) ripete le eroiche imprese di un samurai apprese nella spelonca domestica, portando in vita una pila di fogli colorati che assumono volanti le forme degli origami agenti sulla scena.
Un pericolo oscuro incombe sul ragazzino, il cui unico occhio buono rimastogli dopo aver subito violenza anni addietro è al centro dei desideri delle sue due zie, spiriti maligni dal volto coperto soggiacenti al loro re e padre Luna, il quale brama accogliere il più giovane erede della sua fredda e perfetta famiglia niente meno che nel cosmo ultraterreno, dove le sofferenze umane non sono contemplate, così come non è risparmiata alcuna vita ne metta in discussione i dettami.
Il titolo originale, tradotto dozzinalmente nell’edizione italiana mutandone il valore semantico, suona “Kubo and the Two Strings”, riferendosi alle “corde” su cui il protagonista evoca gli incantesimi salvifici non tanto nel corso delle sue performance, bensì soprattutto una volta allontanato per sempre dalla madre, la quale durante un attacco delle sue spietate sorelle ha animato un amuleto dal profilo scimmiesco affinché potesse prendersi cura del giovane.
Scimmia e Scarabeo (un bizzarro umanoide intrappolato nel corpo di un insetto) sono infatti i compagni di viaggio di Kubo, la cui missione principale diviene trovare i tre pezzi di cui è composta l’unica armatura in grado di permettere a chi la indossi di sconfiggere il nonno celeste.

Difficile non percepire un aura mitica alleggiare sulla vicenda, costruita ossequiando il sacrosanto gioco delle metafore, attraversando magnifiche prove di coraggio, amicizia e amore, cui fa da accompagnamento costante e moderato una certa ironia levigata, mai fuori tono, inclinazione intelligente di una sceneggiatura che mai cade nei luoghi comuni del genere e sa peraltro riservare sviluppi di sicura efficacia drammatica, oltre alla colonna sonora del pluripremiato Dario Marianelli, tornato alla Laika dopo la collaborazione offerta ai tempi di “Boxtrolls”, abile nell’alimentare con garbo il pathos di stampo leggendario.
L’elemento musicale d’altronde copre un ruolo di vitale importanza all’interno dell’opera: di fronte Kubo si apre via via la strada della poesia epica, sempre più gli si addice la figura del cantore, destinato a salvare la storia immortale di cui egli stesso è l’episodio conclusivo, l’anello forte della famiglia che ha perso e certo non smetterà di onorare, immerso in boschi dalle ammalianti tonalità cromatiche, alcuni dei plurimi aspetti in cui si manifesta una cura estetica di gran pregio (a tal proposito non lasciatevi sfuggire la piccola sorpresa celata nei titoli di coda, sulle note della malinconica ed adattissima “While My Guitar Gently Weeps” scritta da George Harrison nel 1968).

Rattrista invece appurare che “Kubo e la spada magica” si trovi a un passo dai 70 milioni d’incasso worldwide, deludenti a fronte di un budget di soli 10 in meno (una somma certo non discreta, ma assai inferiore rispetto gli usi della Disney e della Pixar); “Coraline e la porta magica” (2009), “ParaNorman” e “Boxtrolls” partendo dalla stessa quota avevano raggiunto rispettivamente i 124, 107 e 109 milioni, mentre “La sposa cadavere” si era comunque elevato ai 117 muovendo dai 40 stanziati.
Va detto purtuttavia, in antitesi al prospetto negativo, che la nota qualità artistica delle produzioni Laika è sempre stata generalmente riconosciuta tra le fila della critica e lo stesso in casa Academy: nessuno dei titoli citati ha finora mai mancato di entrare in competizione per la statuetta dorata. I pronostici danno anche questo quinto maiuscolo contributo come favorito, su tutti accanto al più fortunato “Zootropolis”. Conservando ognuno la propria unicità e la propria solida poetica, beninteso, che vinca il migliore!
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni